Prometeo eroe e semidio discendeva dall’antica stirpe dei Titani verso cui commise il primo dei suoi molti tradimenti indotti dal suo pensiero preveggente (pro-manthanei – colui che vede prima). Quando Titani e “nuovi dei “ arrivarono alla guerra abbandonò la sua gente e si schierò con Zeus che vittorioso conquistò l’Olimpo. Verso la nuova stirpe, però, il Titano continuerà a serbare sordo rancore: “nuovi signori governano ora l’Olimpo e con nuove leggi. Al di fuori del giusto Zeus governa e annienta ora le potenze di un tempo” (Eschilo – Prometeo incatenato). Il disegno di Prometeo è quello di stringere una nuova alleanza con l’ultimo arrivato nel mondo: l’uomo. Per far questo occorreva fornire gli umani della potenza necessaria e Prometeo rubò il fuoco, padre della

metallurgia e condizione per qualsiasi tecnica, a Zeus e ne fece dono agli uomini. Il castigo non si fece attendere, Zeus lo fece portare nel Caucaso da Kratos e Bia (forza e violenza) ed incatenare ad una roccia per la sua condanna. Qui l‘incatenato Prometeo non cessa di rievocare i doni che ha elargito agli umani, dopo quello basilare del fuoco: “prima avevano occhi e non vedevano, orecchie e non sentivano, come le immagini dei sogni vivevano una vita inconsapevole. Facevano tutto senza coscienza finché insegnai loro a distinguere il sorgere e il tramontare degli astri, e il numero che è principio d’ogni sapere, e le lettere e la scrittura che è memoria di tutto” (Eschilo – Prometeo incatenato). Nelle parole del Prometeo incatenato si coglie tutto il compiacimento di chi ritiene di essere giunto al termine il proprio disegno: ha concesso agli uomini la potenza necessaria a misurarsi con gli dei, li ha resi padroni delle tecniche, del numero e della scrittura: ecco l’uomo prometeico visto con gli occhi orgogliosi del suo creatore. Più inquietante è lo sguardo “umano” che ci viene dal Coro dell’Antigone di Sofocle qui troviamo una sorta di auto colpevolezza: l’uomo si avverte potente, capace di navigare il mare e di lavorare la terra, di catturare ed addomesticare animali selvatici, ma ancora manca qualche cosa. Lo sguardo di Prometeo non si sarebbe potuto spingere oltre l’immagine dell’uomo tecnologico, lo sguardo umano del coro sofocleo coglie invece una linea di frattura, l’uomo adesso “ora al bene, ora al male serpeggiando volge”. Bene, male, giustizia, legge, una dimensione del tutto estranea all’uomo di Prometeo, che il vecchio Titano non ha attrezzato a fronteggiare. Nel dialogo di Protagora raccontato da Platone lo scenario non è cambiato molto: Zeus aveva ordinato di distribuire ai diversi animali della terra le dotazioni necessarie alla sopravvivenza, lo sbadato Epimeteo (fratello di Prometeo) dimenticò l’uomo che, pertanto, rimase senza difese:“ nuda vittima delle fiere”. Prometeo decise di intervenire, rubando ad Efeso il fuoco e ad Atena la sapienza tecnica e facendone dono agli umani così che essi ebbero la sapienza tecnica per sopravvivere ma non la sapienza politica poiché ad essa Prometeo non poteva accedere in quanto era presso Zeus. Ecco quindi, che i doni di Prometeo rivelano quella insufficienza, già emersa nell’Antigone e che si rivela allorché gli umani cercano di riunirsi in comunità: “ma allorché si raccoglievano si recavano ingiustizia l’un l’altro non possedendo l’arte politica e quindi di nuovo si disperdevano e perivano”. Per evitare la strage Zeus ordina ad Ermes di distribuire agli uomini le doti del reciproco rispetto e della giustizia: Aidos e Dike, che sono i principi ordinatori di città e dei vincoli di amicizia. L’uomo prometeico, forte solo del controllo delle tecniche, non poteva vivere in comunità politica, per far questo occorrevano condivisione di valori etici, morali e di giustizia, senza i quali l’uomo non poteva fare neppure la guerra poiché anch’essa “è parte dell’arte politica ch’egli non possiede poiché essa è inaccessibile a Prometeo”. Si è spesso interpretato il Mito di Protagora come riposta alle teorie tecnicistiche dell’ “homo aeconomicus” secondo cui le competenze sarebbero di per sé sufficienti a formare

e guidare città (tesi sostenuta anche da Democrito). Platone col suo dialogo si oppone alla pressione crescente di una classe di “technitai” che si candidano a governare la “polis” tendendo a marginalizzare la dimensione politica, senza la quale, però, la “polis” semplicemente sfoca e scompare. Tornando su nel Caucaso, dal vecchio Titano incatenato, la sua pena non durerà indefinitamente poiché egli è depositario di un segreto ignoto allo stesso Zeus e dal quale dipende la sopravvivenza stessa del suo regno olimpico. Zeus libererà Prometeo per il timore che il Titano possa rivelare il segreto a orecchie ostili ma anche nella speranza di poterne venire a conoscenza. Forse il devastante segreto è rivelato da Aristofane (Le Nuvole) in un dialogo che ha per protagonista Socrate e che va a toccare gli dei olimpici e la loro esistenza:
Strepsiade: ma per te Socrate, in nome della terra, Zeus Olimpio non è un dio?
Socrate: quale Zeus? Non dire sciocchezze, Zeus Olimpio non esiste.
Certamente il segreto definitivo per porre fine al potere di Zeus e dei tanti dei.