Betlemme: dentro e intorno

Betlemme si trova sullo stesso percorso che si deve fare per andare da Hebron a Gerusalemme, più o meno a metà strada. Di rado la raggiungo da sud, da Hebron, passando accanto a diversi insediamenti israeliani, posti appena in alto sui colli. Sono facilmente riconoscibili per le loro linee architettoniche, forse anche esteticamente belle, forse invece opinabili, ma di sicuro un pugno in un occhio rispetto al paesaggio e ai profili dell’edilizia locale.

Panoramica di Betlemme

Più spesso ci vado da Gerusalemme con le autolinee palestinesi che partono appena fuori dalla porta di Damasco, dove si trova la stazione degli autobus. Il tratto è di una decina di chilometri e, volendo, si potrebbe percorrerlo a piedi. Una volta, in un bel pomeriggio autunnale, l’ho fatto in direzione Gerusalemme. Ci si impiega un’ora e mezza e, come sempre accade, a piedi si possono osservare dettagli del paesaggio e della presenza umana, che dall’interno di un mezzo pubblico inevitabilmente sfuggono. Il percorso del pullman attraversa i quartieri meridionali di Gerusalemme, quelli che, durante i diciotto anni in cui la città rimase tagliata in due, con israeliani a ovest e giordani e arabi palestinesi a est, si trovavano in questa seconda zona. Quartieri tranquilli, edifici residenziali in stile coloniale britannico e aree di verde. Poi le case diradano e lasciano spazio al terreno naturale, la terra di Giudea, con ogni probabilità non dissimile a quella su cui possono aver camminato i re di Israele, le legioni romane, la famiglia di Gesù. O il Saladino, i Mamelucchi, o, ancora, i Turchi ottomani…. La fantasia corre e ce li fa immaginare lì a fianco a noi, sui loro cammelli, a piedi o forse a cavallo. Il pullman prende poi una deviazione; deve servire quartieri e villaggi situati a lato della strada principale. Lo stile architettonico degli edifici cambia e ci segnala che stiamo entrando in un altro mondo. Si passa nelle strade tortuose del centro di Beit Jala, un sobborgo a un paio di chilometri dalla nostra meta. L’autista deve essere esperto a destreggiarsi tra strade strette, curve e traffico disordinato, con l’agilità di un motociclista che va di fretta. L’arrivo si trova alla periferia di Betlemme. Appena scesi dal pullman si deve resistere al consueto assalto dei taxisti che offrono passaggi per ogni dove. Con loro bisogna essere risoluti e dichiarare con fermezza di non volersi avvalere dei loro servigi. Se invece li si vogliono utilizzare, allora è prima di tutto necessario trattare sul prezzo della corsa e qui bisogna essere abili. Ad insegnarmi come destreggiarsi tra la decina di persone che ogni volta ti si affolla attorno, è stata una persona incontrata per caso, proprio su uno di quei pullman. Sentita la lingua italiana con cui tra di noi parlavamo, una giovane signora, una quarantina d’anni molto ben portati, si intromise e, parlando in un italiano del nord, ci chiese dove fossimo diretti. Per farla breve ci si raccontò le solite cose, ma una fu una sorpresa: era una suora francescana originaria della Svizzera italiana. Da quelle parti i religiosi e le religiose cristiani là residenti, quando escono dai loro conventi quasi tutti indossano abiti civili. Quell’incontro era di una qualche decina di anni fa, quando il pullman fermava molto più lontano dal centro cittadino di quanto non faccia ora. Prendere un taxi era quindi necessario per non perdere troppo tempo. Fu proprio lei ad insegnarci come fare, senza creare confusione e, soprattutto, senza provocare tensioni tra gli stessi taxisti. La suora si spostava spesso tra Gerusalemme e Betlemme e per lei quella della trattativa con i taxisti era ormai prassi consolidata. Fu incredibile come quella gentile signora fosse stata in grado di digrignare i denti, guardare negli occhi a muso duro taxisti che malvolentieri trattavano condizioni con una donna, tenere a bada gli altri. Imparai bene come fare e, devo ammettere, ancora oggi funziona.

Grotta del latte

Fu grazie a quella suora che conobbi il sito detto della “Grotta del latte”. Si trova a poche centinaia di metri dalla piazza principale e dalla chiesa della Natività. Allora era sconosciuta ai più e fu lei ad accompagnarci e a raccontarci la tradizione locale che la riguarda. Si narra che la Sacra Famiglia non lasciò Betlemme subito, ma vi abitò per un paio d’anni. Altri racconti affermano invece che si fermarono là solo per poco tempo, prima di recarsi in Egitto. Ad ogni modo, durante la permanenza in quello che a quei tempi doveva essere stato un piccolo villaggio, la famigliola di Gesù si stabilì in quella grotta. Durante l’allattamento del figlio, sua madre doveva aver perso del latte, che cadde a terra. Quel contatto trasformò la pietra rossastra che divenne bianca, come la si può vedere ancor oggi. Sempre la tradizione locale vuole che le donne che non riescono a generare figli, possano finalmente farlo, ingerendo un po’ del terriccio derivato dalla macinazione di quella roccia.Tornando a noi, appena scesi dal pullman, l’occhio cade su due siti: il primo è la sede locale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees), a ricordare al visitatore che gli abitanti della città (ma, in generale, tutti gli arabi originari della regione palestinese a vario titolo e in varia misura), sono sostenuti sia sul piano economico, che sanitario, educativo e quant’altro, da quell’Organizzazione che fa capo alle Nazioni Unite, in attesa di una composizione del contenzioso territoriale che da ormai più di settant’anni tormenta quella parte di mondo. Il secondo edificio che si fa notare, è una bella struttura bianca a bordo strada, con una grande scritta: Effatà Paolo VI e una volta ci siamo andati in visita.

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