Betlemme: quel venerdì di ramadan

Conversando con un’amica suora che vive a Gerusalemme, quel giorno le dissi: “domani porto il mio gruppo a Betlemme”. L’avevo deciso senza guardare il calendario, né le festività. Fu un grave errore.

Lei mi rispose soltanto: “domani è il primo venerdì di Ramadan, troverai un po’ di confusione”. Ramadan è il nome del nono mese dell’anno nel calendario lunare musulmano, nel quale, secondo la tradizione islamica, Maometto ricevette la rivelazione del Corano. La festività dura tutto quel mese, durante il quale si devono rispettare specifiche prescrizioni alimentari e rituali. Convinto intendesse dire che ci sarebbe potuta essere un po’ più di gente in giro, non diedi importanza a quella considerazione. Ma avrei dovuto. 

Quella mattina ci portammo di buonora alla fermata del pullman a Gerusalemme. Notai però che di pullman ne transitavano parecchi, ma erano vuoti e nessuno si fermava. Chiesi ad un ragazzo che passava di lì come fare a raggiungere Betlemme. Era arabo ed era ben informato al riguardo. Ci spiegò che ogni primo venerdì di Ramadan, la città di Betlemme, come le altre città della Cisgiordania, quasi si svuota; i loro abitanti si riversano a Gerusalemme per unirsi alla preghiera che si tiene alla Spianata delle Moschee. Spiegò quindi che i pullman passavano per andare nei vari paesi a raccogliere tutte quelle decine di migliaia di persone (quell’anno la polizia stimò fossero 150 mila!) dirette a Gerusalemme, senza raccogliere passeggeri in uscita dalla città, dei quali peraltro non vi era traccia. C’eravamo solo noi, replicai io. Allora il ragazzo fece una grande cosa. Con un cenno l’autista di uno dei pullman di passaggio si fermò subito. Gli spiegò la situazione e l’autista ci fece salire, poiché, guarda il caso, era diretto a Betlemme. Sorpresi e contenti prendemmo quel passaggio, oltretutto gratuito, fino a destinazione. Una volta scesi, però, dovemmo fare un lungo tratto a piedi per raggiungere il centro. Dovemmo superare una lunghissima coda di mezzi pubblici di varie dimensioni, tutti in attesa di caricare i fedeli, man mano che superavano i controlli al check point per condurli a Gerusalemme. Visitammo quindi la città, insolitamente poco affollata. Anche per rientrare, la sera, a Gerusalemme dove alloggiavamo, dovemmo rifare a piedi un percorso un po’ diverso, ma altrettanto lungo. La strada da un certo punto in poi correva lungo il “muro” che separa Israele dalla Cisgiordania. Visto da vicino è ancora più opprimente. Passammo accanto alla Tomba di Rachele, biblica moglie del patriarca Giacobbe. Non si trova proprio a Betlemme, ma poco più a nord, già a Efrat. Nel Libro del Genesi è scritto che morì dando alla luce suo figlio Benjamin e che Giacobbe la seppellì proprio lì, anziché a Hebron, dove si trovavano già le tombe degli altri patriarchi e matriarche. Betlemme – Efrat è il terzo luogo più santo dell’ebraismo, dopo il Muro Occidentale (del “Pianto) di Gerusalemme e le tombe dei Patriarchi di Hebron. Gli ebrei vi fanno pellegrinaggio fin dai tempi antichi, poiché la matriarca rappresenta un pilastro dell’identità ebraica. I musulmani, dal canto loro, rivendicano il sito come islamico. Negli ultimi decenni, attorno alla tomba di Rachele si sono verificati diversi scontri e attentati con molte vittime, sia israeliane che arabo palestinesi. Oggi è protetta da mura e le possibilità di farvi visita sono scarse. 

Il Walled Off Hotel

Camminando lungo il muro, si notano diversi graffiti, alcuni di Bansky, uno dei più importanti esponenti della street art del mondo. Ma il luogo più curioso è proprio “the Walled off hotel” (l’albergo murato), un piccolo albergo posto di fronte al muro di separazione, che contiene decine di opere proprio di Bansky. Alcune di esse si trovano nelle sue dieci camere; altre, invece, sono nella hall e sono liberamente accessibili ai visitatori esterni. 

L’attraversamento del check point, quella sera, fu un evento drammatico. Centinaia di persone, stanche, sudate e urlanti, incanalate in uno stretto corridoio delimitato da un alto muro su entrambi i lati, premevano in modo dissennato per passare attraverso l’unica porta girevole lasciata aperta dalle autorità israeliane. Oltre quella porta, vi era un solo soldato preposto al controllo passaporti, per cui faceva passare una sola persona alla volta, pressata da una calca che rendeva difficoltoso perfino respirare.

Il riattraversamento del check point di quel primo venerdì di Ramadan rimarrà nella mia memoria come uno degli episodi più inquietanti dei miei viaggi, un’esperienza di cui poter fare volentieri a meno. 

Questo è ciò che accade una sola volta l’anno, quando l’attraversamento del check point si deve necessariamente effettuare attraverso il transito pedonale, non essendoci mezzi pubblici disponibili in partenza direttamente da Betlemme. Nelle altre giornate, il rientro a Gerusalemme avviene attraversando su di un pullman il passaggio carraio ed è decisamente più routinario; tuttavia, mi lascia sempre un po’ di amaro in bocca. All’arrivo al posto di blocco, che di fatto è il confine tra lo Stato di Israele e i Territori della Cisgiordania, i passeggeri palestinesi devono scendere per il controllo dei loro lasciapassare (non dispongono di un passaporto in quanto non sono cittadini di un vero Stato sovrano). Ciò accade poiché non di rado i loro documenti non sono in regola, sono scaduti o quant’altro e doversi mettere a discutere dentro gli spazi angusti della cabina di un pullman non è la migliore condizione per affrontare quelle circostanze. I pochi altri passeggeri in possesso di passaporto, per lo più turisti occidentali, invece, possono rimanere al loro posto. Un poliziotto o un soldato israeliano sale sul mezzo e passa ad effettuare il controllo. I palestinesi poi risalgono a loro volta uno ad uno sul pullman e, infine, si può ripartire. Non posso tuttavia ogni volta non notare i loro occhi bassi, i volti scuri, umiliati e offesi per quella diversità di trattamento. Provo sempre un forte senso di disagio nei confronti di quelle donne, quegli uomini, di quei ragazzi, a causa di una situazione che non riesce a trovare una soluzione accettabile per tutte le parti coinvolte.

Graffito di Banksy al Walled Off Hotel

A quelle latitudini la sera scende in fretta. In lontananza si vedono già accendersi le luci di Gerusalemme. Secondo la tradizione ebraica, il tramonto segna già l’inizio di un nuovo giorno.

2 pensieri su “Betlemme: quel venerdì di ramadan

  1. Buongiorno,non andrò a Betleme . non faccio parte di nessuna setta .Per caso avevo ammirata Delphine Horvilleur (unica gran rabin femme au monde) e mi sono affrettata a comprare il suo libro che purtroppo non corrispondeva alle mie aspettative Vivre avec nos morts.Se la può interessare lo regalo e uscito ora il mio e in francese sono a sua disposizione cordialmente christiane Christiane Begonnet Mail: cbegonnet@outlook.it Mobile: +393387679795

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  2. La ringrazio, purtroppo la mia conoscenza del francese non va molto oltre il oui e il non….
    Tuttavia non credo si debba appartenere ad una qualche setta per andare a Betlemme o da qualunque altra parte in Israele (Gerusalemme, Tel Aviv o altro). Ci si va in visita come si va in qualunque altra parte del mondo, a prescindere dal proprio credo o dalle proprie convinzioni.
    La ringrazio anche per aver letto il mio articolo. Conto che leggerà anche i prossimi e che mi scriva i suoi commenti. Buona serata! Giorgio Tavani

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