Lo scontro

Ho accompagnato la salma di mia madre al cimitero. Ho camminato lungo i vialetti contornati da cipressi. Nessun parente, nessun conoscente, nessun amico. Solo un sacerdote attendeva l’arrivo delle tue spoglie mortali. Dopo una frettolosa benedizione, la bara è stata calata nella fossa e il prelato mi ha lasciata sola a osservare gli addetti alla sepoltura finire il loro lavoro.

Tornata a casa mi sono abbandonata sul divano in cerca di sollievo e riposo. L’agitazione non mi ha lasciato prendere sonno e quasi per disperazione, allungando la mano, ho aperto Hillman, “Il codice dell’anima” un libro che stavo leggendo da qualche tempo. Nemmeno questo è servito a rilassarmi.

Ho chiamato il direttore dell’albergo dove lavoro.

«Ho ancora delle ferie da consumare?» Spero di non averle usate tutte per colpa tua, mamma.

«Non si preoccupi, prenda pure qualche giorno, se lo merita.»

Così mi sono calmata un poco e la mia mente è tornata agli ultimi periodi della vita vissuta con te.

È tutta colpa della malattia che ti ha ucciso: la SLA. Lenta ma inesorabile. 

Fisso la sedia a rotelle, mi sembra di vedere ancora il tuo corpo infermo lì sopra. Insieme alla tua immagine cresce una tensione insopportabile, la stessa che mi ha accompagnato gli ultimi mesi.

Hai voluto essere assistita solo da me. «Non voglio nessun estraneo in questa casa, capisci? Tu sei mia figlia, ti ho dato il mio amore per tutta la vita, ora tocca a te ricambiarlo.» 

Mi hai oppresso fin da piccola. Ho interrotto gli studi alla fine delle ‘Medie’ perché dovevo andare a lavorare, per aiutarti per il mio e tuo mantenimento. Eri già ammalata e con la fissa che dovevo aiutarti, io, giovane e sana. Ti sei approfittata della mia disponibilità di figlia che non sa dire di no, anche di fronte alle pretese più assurde. L’assistenza sociale ti aiutava economicamente. Se avessimo potuto permetterci una badante sarei stata sollevata non poco dalle preoccupazioni e dalle fatiche a cui mi obbligavi.

Mi hai tolto la gioventù e ora, a trent’anni, mi trovo sola e invecchiata. 

Ho chiuso gli occhi ma la tua visione che mi comandava di accudirti non se ne è andata, così come la cattiveria che esprimevi. 

Quando ti rendevi conto della tua completa inefficienza scaricavi su di me il tuo disappunto. Mi sono tenuta tutto dentro, anche l’orticaria mi è venuta. Grazie che te ne sei andata, non ce la facevo più.

Finalmente ho capito di essere libera, mi sono rilassata e ho dormito per molte ore, fino al trillo del telefono.

«Pronto, qui è la banca Trentino Alto Adige, parlo con la signora Anna Maestri, figlia della defunta Marta Maestri?» 

«Sì, ma perché?»

«La informiamo che lei risulta l’unica erede di sua madre. Si tratta di un numero considerevole di azioni depositate da noi più di vent’anni fa’. Sua madre le ha ottenute in eredità da un suo parente vissuto all’estero. È un capitale notevole, in grado di cambiare la vita a chiunque lo possieda. Attendiamo una sua visita al più presto, per definire quello che ne vuole fare.»

Wow, mi gira la testa. 

«Come! Io eredito da mia madre una notevole fortuna?»

Mi hai fatto vivere quasi in miseria, sfruttandomi nel più odioso dei modi, mentre eri seduta su una fortuna di dimensioni così grandi che avremmo potuto permetterci una vita piena di ogni confort.

Oh mamma, ti odio! Il tuo lascito non può ridarmi gli anni della mia gioventù. Ormai sono perduti.

Certo che andrò in banca! Devo iniziare una nuova vita, prendere quel diploma che mi hai impedito di ottenere, trovare un lavoro migliore.

Spero di girare un po’ il mondo per vedere e imparare cose che mi sono state sempre negate. Voglio dare un aspetto più dignitoso alla casa in cui ho sempre vissuto e a quel piccolo giardino, nel quale da bambina sognavo una vita piena di amici e di gioia.

Signore Dio, tu che hai voluto togliere da questo mondo l’egoismo odioso di mia madre, fa che io possa vivere il resto della vita aprendomi agli altri con dignità e altruismo. Fa di me una persona capace di dare senza nulla pretendere in cambio.

E infine, dammi la forza, un giorno, di perdonare la donna che mi ha messo al mondo. Ha vissuto così, ma forse non tutto per colpa sua. Quando sono nata, lei era sola, disperatamente sola.