«»
I rami si diradano per mostrare un elegante edificio dallo stile classico. L’inquadratura si concentra sull’ingresso, in cui corrono ragazzi e bambini di tutte le età.
«Benvenuti al Rosalind Franklin College», annuncia una voce calda di donna. «I nostri studenti li conoscete già, sono i vostri figli.»
Si susseguono immagini di aule, di laboratori e campi sportivi. Giovani biondi e rossicci con occhi chiari occupano ogni stanza.
«Non manca nulla per lo sviluppo delle loro capacità. Ogni programma è personalizzato e curato nei minimi dettagli.»
Ci sono chef in cucina, insegnanti solo under quaranta, allenatori con visi già visti in televisione.
«La nascita è solo il primo passo. Noi siamo pronti a camminare con voi.»
La scritta “R. Franklin College” riempie lo schermo in dissolvenza. In un angolo c’è il logo del Franklin Institute and Clinique.
Lo schermo si spegne e Vittoria guarda il dottore e la rappresentante, sembrano non avere età. Denti bianchissimi e occhi analitici. Aspettano una reazione.
«Bello. Molto bello, vero Marcus?»
«Mmm», il marito sta fissando l’orologio su cui c’è l’ennesima riunione.
«Come avete potuto vedere la nostra nuova proposta è quella di un pacchetto completo.», inizia a recitare la bambola di porcellana.
«La nostra assistenza non si limita alla gravidanza. Abbiamo costruito un collegio in cui ogni scelta è presa sulla base del proprio genoma. È ormai risaputo che fattori genetici ed ambientali collaborino nello sviluppo di un individuo, ed ecco quindi l’ambiente ideale per crescere.»
Vittoria vorrebbe ricordarsi almeno il nome di uno dei due, ma le ricordano solo riviste di moda.
«Vogliamo un maschio.», annuncia Marcus al Dottor Vogue. «Potete farlo, vero?» Comunque è Marcus a volerlo per forza maschio.
«Certo, la preferenza del sesso è un processo molto semplice: basta scegliere la coppia di cromosomi giusta. La nostra clinica vanta la capacità di selezionare la maggior parte dei tratti genetici.»
Miss Elle si sporge dalla poltrona.
«Da chi volete che prenda gli occhi? E i capelli? Volete che sia portato per una tipologia di sport?»
«Quelle cose non mi interessano.», tutti guardano Vittoria come se fosse pazza. «Prima di qualunque altra cosa deve essere sano.»
Tutti scoppiano a ridere con sollievo.
«Signora, questo è ovvio. La base della fertilizzazione in vitro è quella di garantire la vita.», spiega il Dottor Vogue alla piccola Vittoria.
«Una buona vita.» aggiunge con fermezza la sua collega.
Le spalle di Vittoria si rilassano e inizia a sorridere anche lei. Si gira verso Marcus che ha appena deciso di concludere l’affare in fretta.
«Bene. Vogliamo un maschio sano e robusto. L’indole sportiva è una caratteristica della mia famiglia.», anche al ristorante ha questo tono mentre ordina. «Per quanto riguarda la scuola accettiamo.», lancia uno sguardo alla moglie che annuisce. «A quando la prima visita?»
I tre iniziano a parlare tra di loro. Vittoria vorrebbe aggiungere qualcosa ma si trattiene. Lei un secondo figlio lo vuole a priori, se Marcus preferisce crearlo che farlo va bene.
La mente della madre si perde in altri pensieri. Il piccolo Adam, paffuto bambino di sei anni, li aspetta a casa. Adesso è con la tata Isabella, la sesta che assumono e la sola scelta da Vittoria. Ha più esperienze che lauree in pedagogia.
Le tate precedenti avevano la brutta abitudine di toglierle il bambino dalle braccia, per «lasciarla in pace» dicevano. Le ha mandate tutte via.
«…a quel punto avverrà l’innesto nell’utero surrogato. Abbiamo un vasto catalogo di collaboratrici se preferite quest’opzione alla gravidanza sintetica.»
«Cosa?», Vittoria emerge dalla sua mente, «Perché una surrogata? È mio figlio, lo partorisco io, è ovvio.»
«Non ce n’è bisogno, ormai quasi nessuno partorisce naturalmente.»
«Non mi interessa cosa fanno gli altri.»
Il proiettile di ghiaccio colpisce Miss Elle alla cassa stereo che ha al posto della bocca.
«Signora, siamo qui per darle tutte le informazioni necessarie per prendere la decisione migliore per la vostra famiglia.»
Il Dottor Vogue si sta avvicinando a Vittoria come un domatore di tigri. «Essenzialmente ci sono tre opzioni: che l’impianto avvenga nel suo utero, in quello di una surrogata o in un utero sintetico, una delle nostre nuove tecnologie. Le ultime due opzioni la salvaguarderebbero dal parto.»
«Detto così sembra che partorire sia pericoloso quanto lanciarsi senza paracadute da un aereo. L’altra volta è andato tutto benissimo, mi sono ripresa in pochissimo tempo.» Vittoria guarda Marcus in cerca di sostegno, ma la sua espressione sembra mostrare un ricordo meno piacevole della gravidanza.
«Beh, è passato del tempo da allora.», il Dottore cerca aiuto in Miss Elle che è in risparmio energetico. «Questa volta potrebbe andare diversamente.»
«Ho trent’un anni! Non sono vecchia!»
«Tesoro», Marcus odia i nomignoli e chi li usa in pubblico, «nessuno dice che sei vecchia.»
Vittoria invece odia la sua psicologia spicciola.
«Quello che ti stiamo dicendo è che non è necessario che tu partorisca. Perché sottoporti a tutta quella fatica quando può farlo qualcun altro.»
«Chi dovrebbe, allora, prendersi la briga di partorire nostro figlio, amore?»
Se potesse dare un calcio a suo marito lo colpirebbe sulla sua bella bocca sorridente.
Miss Elle si lancia in una nuova operazione di soccorso: «Non dimentichiamo la possibilità dell’utero sintetico! Non ci sarebbe nessun’altra donna coinvolta, potrebbe essere un compromesso accettabile?»
Vittoria si concentra sul concetto di sintetico, immagini di tutine in spantex lottano nella sua mente. Chiede chiarimenti al Dottor Vogue, che si lancia in un complesso discorso su cellule staminali e culture cellulari. Più lui parla più le tutine svaniscono, lasciano il palco a una serie di barattoli di formaldeide che mostrano i passaggi dello sviluppo fetale.
Questa volta Vittoria non permette a Marcus di ignorare la sua opinione: gli afferra il polso. È il loro segnale per porre un veto.
«Non credo che sia la soluzione ideale per noi.», dichiara Marcus con tono pacato. «Io preferirei non discutere oltre, su quest’argomento. Mia moglie vuole partorire e così sarà.»
Marcus ora si rivolge a Vittoria con un sorriso molto diplomatico. Spesso sono scesi a compromessi così, in mezzo ad estranei ma in silenzio, usando solo gli occhi. Marcus punta lo sguardo in quello della moglie, ha fatto una concessione, e adesso spara.
«Del resto quello che mi preme è che mio figlio sia tutto suo padre.»
Una paralisi totale colpisce Vittoria nel corpo e nella mente. “Mio figlio”. La parola mio rimbalza nel suo cranio fino a toccare un pensiero mai espresso: Marcus non definisce mai Adam come suo figlio.
Il cuore riprende il battito, più accelerato però. La bocca si storce mentre la mano si stringe sul polso dell’uomo. Vittoria gli pianta le unghie tra i tendini.
«Tuo figlio non esisterà mai Marcus! Se vuoi una tua copia carbone allora fatti clonare invece che andare in centri per la fertilità!»
Vittoria non ha urlato ma l’effetto sugli altri è stato lo stesso. «Nostro figlio è la metà di me e di te, se ne avremo un altro sarà lo stesso. Mi rifiuto di trattare questa cosa come un ordine su Amazon.»
Hanno avuto discussioni simili in passato. Marcus non ha mai capito perché lei volesse mettersi in maternità al sesto mese di gravidanza, perché da quando c’è Adam lei voglia lavorare al 75%, perché non possono andare in vacanza senza il bambino.
«Anzi, mi rifiuto di fare altri figli con te, almeno fino a quando non inizi a fare il padre di quello che abbiamo già!»
Marcus è sotto shock e i due automi si sono spenti, si fingono invisibili.
Vittoria esce sbattendo la porta.
Nel silenzio si sente solo il ronzio dei condizionatori.
«Mi spiace di avervi fatto perdere tempo.»
«Si figuri.», Miss Elle allunga verso Marcus un foglio. «Se avrete bisogno di noi, sapete come contattarci.»
Sul volantino c’è l’immagine di una coppia sorridente.
“Le famiglie felici si assomigliano tutte, hanno tutte gli stessi problemi” cita il fronte. Sul retro c’è un elenco di psicologhi rinomati e agenzie matrimoniali che collaborano con il Franklin Institute.