LA MILONGA
Sedute in prima fila, nella sala del Comune attendiamo in religioso silenzio l’inizio dello spettacolo.
Le luci in sala si spengono; si attenuano sull’improvvisato palco della sala consiliare. Sulla destra compare il tanguero: serio, alto e snello, capelli scuri lucidi di gel. Camicia bianca, bolero, pantaloni neri affusolati, lucide scarpe stringate di vernice nere. Di fronte la dama, lisci capelli neri stretti in un basso chignon. Abito attillato con generoso scollo sulla schiena, vertiginoso spacco sulla gamba sinistra, sandaletti dorati come il vestito. Gli sguardi esprimono il desiderio di incontrarsi. Al ritmo di una travolgente “Comparsita” i due corpi si allacciano struscianti in una eleganza passionale; sguardi, gesti, passi che trasudano sensualità. Movenze sinuose, bocche che si avvicinano senza toccarsi, occhiate piene di promesse, intreccio di gambe; un dito del tanghero scorre delicatamente dall’attaccatura della nuca fino alla vita della dama; un fremito che coinvolge. Un dialogo corporeo senza volgarità che istiga i sensi. Un appassionato casquè finale pone fine alla magia.
«Qui è tutto uno schizzare ormoni!», commenta Liliana infervorata.
«Sembrava una coppia di amanti che si incontrano dopo tanto tempo.»
TANGO GALEOTTO
Durante la notte sogno, forse ad occhi aperti, di spogliarmi dell’invisibile e ormai stretto abito monacale che mi sono cucita addosso.
Questo sogno ha un nome.
Tra infinite telefonate, qualche caffè, apericena, lunghe passeggiate, tante chiacchierate, balli, sono ormai passati sei mesi con un estenuante tiramolla fra me e Alessandro.
Domenica pomeriggio.
Dopo un allegro cha-cha-cha: Tango!
Balliamo con trasporto in una atmosfera magica. Occhi negli occhi fino alla fine di uno struggente “A media luz”.
Seduti sulla sedia, siamo molto silenziosi. Poco prima dell’ora di chiusura mi chiede se ci possiamo vedere la sera stessa dopo cena.
Rispondo di sì spiegandogli dove abito.
«Non lo fare salire subito in casa.», si raccomanda Giulia appena la informo della decisione presa.
«Ma figurati, sono mica scema.»
Fredda sera di febbraio, piove, indosso una giacca ed esco, lo attendo davanti al cancello.
Lo vedo scendere dall’auto parcheggiata nella via poco illuminata. Man mano che si avvicina noto e apprezzo l’ abbigliamento: giacca cammello, pantaloni antracite, camicia azzurra, cravatta bordeaux. In mano un mazzo di fiori, una mescolanza di orchidee, gerbere, bocche di leone e velo di sposa, non proprio di mio gusto, di sicuro acquistati al supermarket dove lavora come sommelier.
«Piove, fa freddo, dove vogliamo andare, ti va di salire?». Spiazzato dalla mia audacia, non risponde né sì né no mentre mi segue. Lo invito ad accomodarsi sul divano mentre mi accingo a riempire d’acqua un vaso per riporre i fiori. Gli offro un amaro, parliamo di musica. Dalla tasca della giacca estrae un cd che metto sul lettore; una musica soft si diffonde. Sulle note di un languido slow mi avvolge fra le braccia allontanandoci dalla sala. Il tubino nero scivola ai piedi.
«Eh! Ma sei matta? Subito così?». Quasi urla Giulia nel cellulare il giorno dopo.
«Ha detto che anche lui è la prima volta che prova questo turbamento…»
«Dicono tutti così!»
IL TRADIMENTO
Donata, la nostra personal trainer, felice d’essere diventata nonna, vuole condividere l’evento anche con noi allieve invitandoci tutte a casa sua per una “pizzata”.
Abita a Luvinate e per raggiungere la sua abitazione, si passa davanti al supermercato dove Alex lavora. Mi farò consigliare una bottiglia di buon vino da portare alla neo nonna. Non sono mai stata sul suo posto di lavoro, gli farò una bella sorpresa.
Arrivo con notevole anticipo sull’orario di chiusura, parcheggio e nel chiudere la portiera, lo vedo uscire dalla porta del personale. Non sapevo che quella sera avrebbe finito in anticipo il suo turno. Agito la mano con le chiavi ma non mi vede.
Lo vedo dirigersi verso un lampione che lo illumina debolmente; in una mano tiene un cestello verde con bottiglie di vino, nell’altra un grosso vassoio, forse sushi, sa che mi piace tanto. Sorrido, di sicuro s’è dimenticato che stasera sono invitata dalla Donata e sì che glielo avevo detto. Mi affretto per raggiungerlo, mi blocco all’istante quando individuo una sconosciuta con cuffia di lana nera, calcata in testa, che gli si fa incontro prendendogli il vassoio; lui con il braccio ormai libero le cinge la vita accompagnandola alla sua macchina. Il clak del telecomando è un tuono nelle mie orecchie; le apre la portiera, la richiude dopo averla fatta salire. Gira dietro l’auto a passo saltellante, sale, ingrana la marcia e vedo l’auto scivolare verso l’uscita. Un raggio di luna illumina il viso di chi gli sta accanto: Giulia!
Le ali di un enorme pipistrello avvolgono tutto nelle tenebre.
«No, no, no» urlo in silenzio devastata picchiando pugni sul volante.
Un dolore già vissuto mi fa sprofondare nell’inferno. Che sabato terribile, illusa, il peggior traditore seriale doveva capitarmi.
«La mia vita finisce con te», bugiardo, bugiardo e ladro, ladro di sentimenti. E adesso faccio un tuffo nel lago visto che non so nuotare? O vado in stazione e non ascolto la voce da cornacchia che dice di allontanarsi dalle strisce gialle? Due piccioni con una fava: mostro! Due piedi in una scarpa; prendi due paghi… vaneggio. Mi appoggio allo schienale e mi lascio addormentare per sempre? Farnetico. Ho la febbre.
Telefono a Donata per scusarmi dell’assenza: «Si sente che sei raffreddata “anche tu” , curati, ci vediamo lunedì in palestra».
«Anche tu?»
E domani mi devo alzare alle cinque per portare mia madre alle terme, a Premia. Quella cavolo della sua amica Carolina che ogni anno le regala un cavolo di pacchetto Spa. Incuranti dei miei impegni, prendono appuntamento e io devo essere disponibile. Per giunta le devo andare a riprendere prima di sera perché loro no, “non dormiamo se non nel nostro letto”.
Le ultra novantenni si danno alla pazza gioia mentre io sprofondo nella pazzia. Mina canta “Sognando”. Farò la stessa fine?
E domani è il mio compleanno.
Domenica mattina.
Arrivate a destinazione aiuto le due anziane donne a svolgere le pratiche d’accesso. Cure inalatorie per la rinite, sinusite, faringite. Si fa tardi, pranzo con loro dopo aver approfittato di una sauna. Mi rifaccio il trucco e riparto nel primo pomeriggio.
Voglio andare a vedere come si comportano con me i due rinnegati.
L’amica nemica seduta al solito posto; lo spergiuro strimpella la chitarra e gracchia “donna amante mia”. Tenta di catturarmi lo sguardo, azzarda un sorriso ma io mi limito ad uno stentato cenno con la mano.
Mi alzo dalla sedia: «Andiamo in balcone a fumare?», propone la fintona.
«No, vado alla toilette», mento.
E invece vado sul ballatoio che costeggia tutta la sala da ballo, mi dirigo sul fondo da dove, attraverso una fessura della persiana chiusa, posso vedere i musicisti senza essere vista. Il traditore sorride annuendo in direzione del mio posto: ma io non sono lì seduta! Sposto lo sguardo, vedo l’impostora che, compiaciuta, rotea l’indice destro.
«Già, tutto ok!», rientro con un groppo in gola.
Rifiuto un ballo accampando un forte mal di testa.
«Si vede, hai una faccia», dice la falsa, «avete fatto le ore piccole ieri sera dalla Donata?»
«Pensa alle tue di ore piccole, amica infedele. Eravate gli unici a sapere i miei spostamenti quindi avete avuto campo libero».
Poco prima della pausa per la merenda, solo due parole per avvertirla che parto per Premia a recuperare le due vegliarde.
Durante il viaggio di ritorno il cellulare continua a squillare, lo spengo.
È tutto il giorno che sono fuori casa, non ho voglia di rientrare. Per un po’ vago senza meta in preda a brutti pensieri finché decido di rientrare.
Come ho fatto a dimenticare aperto il cancello? Per fortuna non ho più il cane altrimenti sarebbe scappato e adesso sarei in giro a cercarlo nella notte; ecco domani andrò al canile a prenderne uno tradito e abbandonato, come me. Con la nebbia negli occhi non trovo nemmeno la serratura quando la porta si spalanca facendomi quasi rovinare a terra. Amiche e amici tra palloncini colorati, stelle filanti, festoni variopinti, trombette dal suono acuto mi accolgono cantando: “…tanti auguri a teee…” In alto un grande striscione:
BUON COMPLEANNO LUCREZIA
Con gli occhi abbraccio tutta la sala: sul buffet tra pizzette, tartine, stuzzichini, olive e salumi: il grosso “vassoio”. Sotto al tavolo, seminascosto dai lembi della tovaglia: “il cestello verde” per bottiglie, vuoto.
Quasi non reggo per l’emozione quando vedo Alessandro che mi viene incontro porgendomi un mazzo di rose gialle cantando: «… se, per innamorarmi ancora, tornerai maledetta primavera …».
Avvolta dalle sue braccia sento svanire tutta la disperazione, la delusione, la sofferenza e finalmente piango.
In accappatoio, davanti al primo caffè fumante del mattino: «Ma che film ti era fatta… certo che ne hai di fantasia!»