C’è un carme di Orazio, una bellissima ode, che ha l’aspetto di una poesia simposiale, ovvero scritta per i banchetti: d’altra parte, nelle prime due strofe, Orazio s’ispira ad Alceo, poeta greco del VI secolo a.C. ed esponente di questo genere. Le tematiche principali, però, sono tipiche della poesia oraziana: la brevità della vita e il carpe diem.
I primi versi descrivono un paesaggio invernale del Lazio: il Monte Soratte, nei pressi di Roma, è ricoperto dalla neve e si staglia nitidamente all’occhio dell’osservatore. L’atmosfera è gelida e statica come suggeriscono i verbi, ad esempio quello che descrive i fiumi bloccati dal ghiaccio, che paiono fermi. Orazio si rivolge a qualcuno senza nominarlo, parlandogli in questa situazione di calma e silenzio surreali.
Nella seconda strofa compare un nome: si tratta di Taliarco, letteralmente il “re del gioioso banchetto”. Egli viene invitato a combattere il freddo, aggiungendo legno sul fuoco e versando il vino puro, cioè senza mescolarlo all’acqua, da un’anfora.
Come sempre in Orazio, dopo un attacco paesaggistico e descrittivo, subentra il momento gnomico, quello delle perle di saggezza della filosofia.
Il poeta invita a lasciare tutte le preoccupazioni agli dei, che hanno il potere di interrompere in un attimo le tempeste, metafora delle sofferenze dell’esistenza. Taliarco è esortato, quindi, al carpe diem: deve vivere giorno per giorno, senza rimandare i propri progetti, poiché l’uomo non è padrone del domani.
Erroneamente si potrebbe intendere il carpe diemcome un superficiale godimento dell’attimo fuggente, mentre in realtà è una profonda riflessione sul senso del Tempo, nell’ottica della padronanza assoluta di ogni suo istante.
In questo caso, il monito è ripetuto nei versi successivi: in particolare, Orazio sottolinea che è bene che il giovane (scopriamo che Taliarco è un ragazzo) approfitti della sua età, perchè il futuro sarà segnato dalla vecchiaia. Il piacere della vita sta nel cogliere la positività anche nei momenti negativi ed anche nel ricercare i rari momenti in cui il dolore è assente.

Lo spettacolo della natura imbiancata di neve e scintillante di ghiaccio porta, insomma, Orazio a riflettere sul destino dell’uomo: a differenza della natura, caratterizzata dalla ciclicità delle stagioni, l’essere umano dispone di un tempo limitato, che è bene assaporare appieno.
Nella mia pratica di insegnante classica, non restia a suggestioni più moderne, associo volentieri questo bel carme oraziano ad una poesia invernale e natalizia di Robert Frost, caratterizzata dalla stessa ambientazione boschiva, innevata e silente:
Stopping by Woods on a Snowy Evening
Di chi sia questo bosco, credo di sapere. Ma casa sua sta nel villaggio; non mi vedrà fermarmi qui a guardare il bosco colmarsi di neve. Al mio cavallino sembrerà strano fermarci senza una fattoria nei pressi fra il bosco e il lago ghiacciato nella sera più lunga dell’anno. […] L’altro unico suono è un sussurro di vento leggero e di soffice fiocco. […]
In Stopping by woods, il poeta sosta un attimo a guardare il bosco coprirsi di neve. Ciò consente l’innescarsi di un’osservazione, di una riflessione. È la sera più lungadell’anno, il 21 dicembre, solstizio d’inverno, e il poeta ammira la bellezza invernale di un luogo che non gli appartiene, essendo proprietà di un altro, in quel momento assente. La magia visionaria del suo sguardo gli consente però di godere appieno dello spettacolo. Sente un leggero colpo di vento, vede i fiocchi cadere: si sente bene. Osservare il bosco è vivere l’attimo interiormente. Contemplare l’incanto significa fermarsi a vivere un istante di infinito.