Scendo dalla macchina, è fine maggio, un giorno perfetto per sposarsi.
Le azalee rosse guarniscono le balaustre che delimitano la spiaggia. Il lago e il cielo gareggiano in intensità di blu. Il vento della sera prima ha spazzato via la polvere dall’aria: il mondo brilla come argenteria appena lucidata.
Il mio fidanzato deve aver dato una mancia, lassù, in cielo.
Parte la musica: Mendelssohn.
Mi avvio sul viale, davanti a me tre piccole damigelle lanciano sul sentiero e sugli ospiti petali di rose rosa, l’ultima è distratta da un cigno. Lo insegue. Lui scappa verso l’acqua.
Un aereo fa nevicare palloncini bianchi. Ci siamo tutti, siamo in dieci. Non ho avuto il coraggio di invitare i miei genitori.
I suoi sono morti da tempo. Gli altri parenti sono pochi e non frequentabili, a parte mio cugino Fabio che mi fa da testimone ed è il padre delle tre bimbe.
Il mio futuro sposo, Ariberto, è in splendida forma per i suoi cinquantanove anni. Beh, non proprio Clooney style, ma ci va vicino. Io ne compio oggi ventiquattro. Non dovevo mettere i tacchi, d’ora in poi solo ballerine piatte, non mi piace essere più alta del mio compagno.
Il suo testimone è un impiegato che per aver accettato l’incarico si è guadagnato una promozione.
Alzo gli occhi al prete.
Claudio!
Ha in mano una Bibbia. Dietro la spessa montatura degli occhiali tondi mi lancia una frecciata, sembra dire: era ora che ti accorgevi di me.
Uff, speravo di non vederlo più.
Chissà che fine ha fatto il sacerdote che doveva sposarci, quello vero.
La tonaca gli sta bene, come al solito non si è pettinato, i ricci gli invadono il viso come i suoi occhi invadono me e mi trovo catapultata a due estati prima.
Prima di Ariberto.
Zaino in spalla, pollice in fuori, cercavo un passaggio per raggiungere il mio amore più grande: il mare.
Claudio guidava una due cavalli verde prato. S’era fermato.
Il cespuglio dei suoi capelli sbucava dal tetto scoperchiato dell’auto.
Sorrideva timido. Era di una magrezza da studente universitario, di quelli che mangiano metà di quello che dovrebbero perché hanno altro da fare.
Abbiamo passato l’estate in spiaggia a mordere pomodori e sgranocchiare patatine svizzere con il bacon, ne aveva il baule pieno.
Mi ha disegnato in un intero blocco A4 che portava sempre con sé. Alla fine della vacanza, me lo ha regalato.
Sfoglio quel blocco quando voglio cercare me stessa.
Guardo Ariberto, il mio piano A: bello, ricco, sicuro. Non ho mai avuto il coraggio di prendere le decisioni difficili, quelle giuste.
Negli occhi di Claudio ritrovo le emozioni da cui sono fuggita.
Sento che da bruco strisciante, con lui, posso diventare farfalla e prendere il volo.
Che la vita da bambola in un castello di vetro non fa per me.
Claudio mi porge una scatolina azzurro cielo, c’è disegnato sopra un fiocco blu. All’interno c’è una patatina al bacon.
Non mi serve assaggiarla per sapere che sapore ha. Ha il sapore del sale, delle onde del mare che amo tanto, di una vita che non posso più lasciare scappare. Do un’ultima occhiata al placido lago.
Prendo la mano di Claudio e scappo via.
Racconto molto carino, direi stile Liala . Ricorda anche a me tempi spensierati, belli …. il mare …
complimenti!!
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Grazie Grillolucio, sono contenta che ti sia piaciuto.
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buongiorno me lo hai dato te con un raggio leggero grazie del tocco christiane Christiane Begonnet Mail: cbegonnet@outlook.it Mobile: +393387679795
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Grazie a te di avermi letto Christiane!
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Bello! Però… povero Ariberto, ci sarà rimasto male. Aveva dato anche la mancia lassù, per la giornata di sole. … O era stato Claudio? 🙂
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Bella domanda Anna Giulia, lei pensa che sia stato Ariberto, ma può essere stato anche Claudio 😉 chi può dirlo. 😀
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