Ancora una volta mio marito Edoardo aveva trovato il modo per liberarsi di me e dalle mie ossessioni. Avevo accettato di trasferirmi a Borgo Sereno, la residenza di campagna di famiglia, il giorno stesso delle mie dimissioni.
La sola vista del possente muro di recinzione della tenuta insinuò in me il germe di quella inquietudine che non mi avrebbe mai più abbandonato. Il pesante cancello che mi impediva la visuale venne spalancato. Un tappeto d’erba giallastra e secca, all’ombra di scheletrici arbusti si estendeva sin davanti alla grande villa, dalla cui facciata le finestre, come orribili occhi sbarrati, mi terrorizzarono.
A Borgo Sereno venni accolta da Adele e Carlo, gli anziani domestici che da quarant’anni si occupavano della casa e del parco.
Manifestarono subito anche a me la dedizione che riservavano a Edoardo, ma non riuscirono mai alleviare la tristezza che mi pervadeva. La mia vita in quel luogo fu un susseguirsi di giornate vuote e infelici.
L’ostilità della grande casa mi paralizzava e non acquisii mai la capacità di orientarmi in quell’intrico di locali costruiti uno dentro l’altro senza criterio. Provavo repulsione per l’aria greve di muffa che vi aleggiava, per le pareti scrostate di un orribile viola, per gli sguardi cupi delle dame ritratte nei grandi dipinti. I rumori, gli scricchiolii, gli schiocchi, i lamenti in cui l’antica villa si esibiva la notte mi angosciavano.
Mio marito mi raggiungeva il fine settimana e quel sabato mi abbracciò con un trasporto che non dimostrava da tempo. Orgoglioso, spalancò la porta della biblioteca fresca di ristrutturazione. Me la presentò comunque come un capolavoro incompiuto. Presto l’avremmo ampliata recuperando un vano retrostante gli scaffali di legno pregiato, sino a quel momento adibito a cantina, e avremmo restaurato gli antichi affreschi del soffitto. A breve quel locale avrebbe anche ospitato la collezione di sciabole, spade e fioretti di mio marito.
Il pianoforte a coda nero che troneggiava su una pedana a un’estremità del locale fu l’oggetto esclusivo del mio interesse e poco colsi delle parole di Edoardo. Per la prima volta dal mio trasferimento lì, sorrisi.
La mia vita prese a scorrere in un’atmosfera più lieve e tra le pareti della biblioteca raggiunsi finalmente un mio equilibrio. Suonavo, componevo e rivivevo il successo dei concerti tenuti prima della malattia. Così presi le distanze dalla penosa condizione in cui vivevo.
Le conseguenze infauste delle mie fughe dalla realtà erano ben note a mio marito che mi inviò un telegramma: “Fantastica sorpresa per te. Arriverò domani sera. Stop.” L’annuncio non mi incuriosì e tanto meno mi entusiasmò.
Il giorno seguente mi raggiunse a Borgo Sereno con una giovane donna di splendido aspetto e dai modi garbati. Proveniva da non so quale terra straniera e sarebbe stata la mia governante.
– Sei troppo sola qui. Acilegna ti farà compagnia.
Di fantastico tale sorpresa non aveva proprio nulla, almeno per me, ma chinai il capo e accettai la sua decisione.
Con Acilegna mi trovai a condurre un’esistenza gradevole. Entrambe molto riservate, non ci perdemmo mai in chiacchiere. In una identità di vedute e una silenziosa collaborazione operammo uno strabiliante rinnovamento della casa.
Mio marito, entusiasta, pregò i nostri domestici di ringraziare la signorina al suo rientro in villa. Già, perchè la servitù godeva di due giorni settimanali di libertà. Realizzai, con disappunto, di essere l’unica a vivere in cattività in quella casa.
La mattina seguente Acilegna mi apparve in biblioteca in tutta la sua bellezza e la sua eleganza.
Il suo aspetto e il suo atteggiamento aristocratico me la fecero percepire come di un rango superiore al mio. Mi convinsi che mio marito ardesse di desiderio per lei e che si fosse pentito di aver sposato me anziché lei. Cominciai a provare un’invidia feroce nei suoi confronti e a vederla con occhi diversi.
Un giorno, sfogai la mia frustrazione sulla povera Adele che aveva osato rivolgermi la parola:
– Signora, dove devo disporre le rose che ha colto?
Risposi secca e scortese:
– Non ho colto rose.
La poveretta, sbalordita dalla mia reazione, si ritirò in cucina, occhi fissi a terra, biascicando le sue scuse.
Dopo un attimo di perplessità, realizzai quanto Acilegna e io ci somigliassimo. Capii che Adele aveva scambiato l’una per l’altra e questa evidenza mi sconvolse.
Mi attardai tanto nella ricerca di quella strega nella grande casa che la mia rabbia svanì.
La trovai in biblioteca mentre disponeva splendide rose in un vaso sul pianoforte. Sobbalzò visibilmente alla mia apparizione, ma mi si rivolse con l’abituale cortesia e un sorriso:
– Signora, mi scusi se mi sono permessa… ho pensato che avrebbe gradito…
Sentii le gote avvampare… Avrei voluto urlarle quanto fossero false le sue attenzioni. Dirle che lei e mio marito non si sarebbero liberati di me. E le avrei fatto notare quanto fosse improbabile il suo nome che celava nel suo inverso il mio, Angelica.
Avrei voluto urlare, ma mi rivolsi a lei con grande compostezza, intimandole di lasciare immediatamente la mia casa.
Acilegna non si sorprese alle mie parole, non commentò e scomparve dalla mia vita.
Mi misi al pianoforte e composi la melodia più emozionante che abbia mai scritto. Come in trance, sentii il mio nome echeggiare nell’aria e, a esecuzione conclusa, mi inchinai davanti al pubblico che applaudiva estasiato.
Il giorno seguente Edoardo rientrò a Borgo Sereno e seppe dai domestici che la signorina Acilegna se n’era andata, senza salutare, dopo un litigio con me. Egli non proferì parola, non diede a vedere dispiacere, tanto meno disperazione. Io, che mio malgrado avevo afferrato alcune frasi della loro conversazione, mi rilassai in un sospiro di sollievo: il sospetto di una tresca tra Edoardo e la giovane era infondato.
Dopo pranzo, lo sentii parlottare a lungo con Adele e Carlo, ma non me ne curai, impegnata com’ero a rivedere alcune sinfonie.
Quando mi raggiunse in salotto mi informò che gli anziani domestici, quella notte, avevano avvertito un allarmante trambusto e mi domandò che cosa avessi sentito io. Scossi il capo:
– Nulla… In realtà, stamattina, ho rinvenuto in biblioteca numerosi libri a terra, quasi lo scaffale se li fosse scrollati di dosso. Voci?.. Urla?.. Ieri sera ho suonato fino a tardi e il mio pubblico ha applaudito a lungo e intensamente.
Mio marito mi guardò preoccupato:
– Andiamo a controllare? Adele e Carlo mi sono sembrati davvero spaventati…
Insieme ci avviammo verso la biblioteca. Ero convinta che lo sbattere degli scuri al vento e il coro dei gatti in amore fossero i responsabili della loro inquietudine.
Spalancata la porta della biblioteca, constatai sorpresa come gli stessi volumi caduti dallo scaffale durante la notte, fossero di nuovo a terra, nonostante Adele li avesse sistemati in mattinata.
Mentre raccoglievamo i libri, Edoardo ed io ci confrontammo a proposito della scarsa lucidità e dell’esagerata apprensione di Adele e Carlo, ormai troppo anziani per fronteggiare le tante responsabilità. E fu allora che mio marito mi propose di assumere una nuova governante o di richiamare Acilegna. Sicuramente la giovane avrebbe accettato le mie scuse e avrebbe riassunto l’incarico.
Lo guardai trasecolata. Avrei voluto urlare che non dovevo scuse a nessuno, tanto meno a chi mirava a sostituirsi a me e che lui era un maledetto traditore. Ero furente e avrei voluto urlare…
Avrei voluto, ma non lo feci… riacquistai rapidamente la mia lucidità e guardandolo dritto negli occhi gli sussurrai:
– Tranquillo, non ho bisogno di nessuno, fidati. Ne riparleremo sabato prossimo al tuo ritorno.
Edoardo annuì e sorrise.
Appena fui sola mi sedetti al pianoforte e, davanti a un’immensa platea, eseguii una composizione inedita. “ Angelica, Angelica”, urlavano voci osannanti. Mentre mi inchinavo al mio pubblico impegnato in un lungo applauso, Adele e Carlo irruppero nella biblioteca in preda al panico. A urla disperate se ne aggiunsero altre ugualmente disperate che saturarono l’ambiente e i miei sensi. Estranea a tutto, ripresi a suonare il pianoforte. Ignoravo di essere imbrattata di sangue e neppure mi accorsi di come da dietro lo scaffale che continuava a scuotersi sputando libri, provenissero i lamenti strazianti di mio marito. Al termine della mia esecuzione musicale, vidi i due domestici rimuovere, con uno sforzo immane, lo scaffale e fare l’orribile scoperta. Nel vano retrostante, rinvennero il cadavere di Acilegna e mio marito morente trafitti dalla lunga lama di un’unica spada. Egli ripeteva il mio nome, povero amore mio, ma non seppe aggiungere altro, perchè spirò tra le braccia di Adele. Io ebbi appena il tempo di guardare l’orrido spiedo e di domandarmi chi li odiasse tanto da perpetrare tale scempio, perchè venni subito condotta a ripulirmi…del resto non ho ricordi.
In questa clinica sono tutti molto gentili. Ho una bella camera dalle pareti imbottite dove posso suonare il pianoforte senza disturbare gli altri ospiti. Sto componendo un brano romantico per Acilegna ed Edoardo, mai uniti nella vita, insieme per sempre nella morte.