Dopo la disastrosa guerra di Finlandia (1809-1810), un colpo di stato militare detronizzò ed esiliò re Gustav IV Adolf e la reggenza fu affidata a Carl XIII, fratello di Gustav III e privo di discendenza.
Il parlamento era diviso fra chi intendeva proclamare re il figlio del re uscente, fra cui i membri della famiglia von Fersen, e chi invece era propenso a cambiare dinastia e affidare il regno ad un principe danese, Carl August, che era molto amato dalla gente. Inaspettatamente, il poco più che quarantenne principe ereditario morì all’improvviso mentre ispezionava le truppe, pochi giorni prima dell’ufficializzazione della sua della sua nomina. Il funerale fu fissato per il giorno 10 giugno 1810, a Stoccolma. Purtroppo, l’autopsia effettuata nel piccolo borgo del sud della Svezia dove il principe era morto era stata condotta in modo irregolare, e aveva reso impossibile il successivo controllo da parte di luminari inviati dalla capitale. Fu comunque escluso un avvelenamente, ma il sospetto che il principe fosse stato avvelenato, e che i fratelli Axel e Sophie Fersen fossero gli autori del delitto, si diffuse in città. I Fersen furono sottoposti a un pesante “mobbing”, che preoccupò molto il reggente, Carl XIII, per tema di essere coinvolto. Costui fece in modo, il giorno del funerale, di assentarsi da Stoccolma, e Axel Fersen, in qualità di maresciallo del regno, dovette supplire alla mancanza del Re.
Il giorno 10 giugno 1810 il 54enne conte Hans Axel von Fersen, come sempre estremamente ligio al dovere, non si era curato delle raccomandazioni dei famigliari, che lo pregavano di rinunciare a causa di un’indisposizione, e seguiva in carrozza il corteo funebre.
Fra i molti curiosi accorsi per assistere all’evento, c’era il nobile Albrekt Fredrik Richard De la Chapelle (1785-1859), nato e residente in Finlandia e cancelliere della Riddarhuset (Casa della Nobiltà) di tale paese, che all’epoca dei fatti era da poco divenuto dominio russo. Il nobiluomo assistette all’uccisione dal posto che occupava in una locanda nel centro di Stoccolma. Nel 1852, pochi anni prima della sua morte, il nobiluomo scrisse un memoriale non destinato alla pubblicazione, intitolato “Underättelser för mina barn” (Informazioni per i miei figli), che fu conservato fra i documenti privati della famiglia e digitalizzato in seguito per essere depositato presso l’Archivio di Stato Finlandese (http://digi.narc.fi/digi/view.ka?kuid=1326353).
Il testo è stato diffuso per la prima volta il 1 maggio 2018 da Vetenskapsradion Historia, e il giorno 8 maggio è stato letto durante una serata culturale alla Riddarhuset di Stoccolma, sul cui sito è stato pubblicato (https://www.riddarhuset.se/blog/2018/04/16/albrecht-de-la-chapelle-ogonvittne-till-fersenska-mordet/). Il testo originale riguardante l’uccisione di Axel Fersen è riportato qui di seguito, in traduzione italiana.

Albrecht de la Chapelle – testimone oculare dell’assassinio di Fersen
L’uccisione del conte Hans Axel von Fersen 20 giugno 1810
… frattanto il corpo del Principe era stato portato via dalla parte a Sud della città, e a mezzogiorno del 20 giugno avrebbe dovuto essere traslato, con una processione solenne, da Liljeholmen al Castello Reale di Stoccolma.
In parte per assistere alla processione, in parte per pranzare, mi ero recato in un quartiere con locali di ristorazione che veniva chiamato Lycktan, accanto a Riddarhustorget, da dove sarebbe passato il corteo funebre. Quando questo finalmente arrivò, in ritardo, si notò che i finestrini della carrozza di Stato di Fersen, che conduceva il corteo subito davanti al carro funebre, erano stati rotti e dentro non c’era nessuno. Subito dopo si udirono alte grida di hurrà provenire da Stora Nygata da dove la processione procedeva, e presto si diffuse la notizia che Fersen dalle parti di Södermalm Torg era stato preso a sassate da un gruppo di manifestanti, e le violenze erano continuate via via che il corteo procedeva. In Nygata egli era scappato fuori dalla carrozza, protetta da spessi vetri da entrambi i lati, ma non era riuscito a difendersi dalla violenta sassaiola, ed aveva cercato rifugio al piano superiore di una casa privata. Ma i rivoltosi l’avevano raggiunto anche lì, e lo avevano malmenato con pugni e colpi, avevano anche rotto le sue decorazioni e gettati i pezzi dalle finestre al popolo là sotto, che rispondeva ad ogni lancio con grida di Hurrà.
[Fino a questo punto del racconto, Albrecht de la Chapelle non ha visto con i suoi occhi gli avvenimenti. Si limita a riportare ciò che ha sentito dire e che in seguito ha letto sull’assassinio. La parte che segue invece si differenzia per essere una sua esperienza diretta]
Quando Fersen, poco dopo entrò, da Stora Nygatan in Riddarhus Torget, dalla mia posizione nella locanda potei vedere cosa stava succedendo. Fersen era seguito da Silversparre, che era a cavallo, e aveva una persona da entrambi i lati, che lo dovevano proteggere, e che lo aiutavano ad affrettarsi per sfuggire alla folla inferocita. Questa gli stava alle calcagna e sembrava formata da persone meglio vestite della gente comune che si affollava ai margini.
Bastoni ed ombrelli colpivano incessantemente la sua capigliatura grigia, ormai coperta di sangue, e le bastonate si abbattevano ad ogni istante anche sul capo e sulle spalle. Sul cuoio capelluto si vedeva una larga ferita, tuttavia egli si manteneva dritto, e sembrava parlare con il generale aggiunto che cavalcava al suo fianco. Quando Fersen arrivò in mezzo a Riddarholmtorget [dev’essere un errore per Riddarhustorget] si pensò che fosse tempo di proteggerlo da successive violenze, mentre ancora c’erano in zona alcuni soldati della Svea Lifgarde che passavano in parata accanto alla processione; ma una volta che i soldati del ebbero innestate le baionette contro la massa del popolo, non fu loro possibile continuare a fare di più per salvare Fersen. Il tumulto fu, sì, sedato per un secondo, ma un po’ per volta quelli si intrufolarono in mezzo ai soldati e circondarono la truppa, anche dall’altra parte della linea che proteggeva Fersen, che a quel punto non fu più protetto dai militari. Alla fine Fersen arrivò alla Rådhus (Palazzo di Giustizia) e si trovò al riparo in una delle stanze dove ebbe un attimo di respiro, ma venne di nuovo lasciato senza alcuna difesa, nemmeno quella del personale di guardia che era lì di posta. Quelli che lo volevano massacrare lo raggiunsero di nuovo, gli strapparono di dosso quel che restava dei suoi vestiti, lo trascinarono quasi nudo nel cortile della Rådhus, dove cadde a terra, ormai privo di forze. I suoi torturatori lo picchiarono ancora, e saltarono sul suo corpo, calpestandolo, finché alla fine vilipesero anche il suo cadavere. Non mi fu possibile vedere con i miei occhi, dalla finestra dietro alla quale avevo assistito all’evento, questi ultimi atti brutali dell’assassinio, però dopo che l’omicidio era stato consumato, notai che un manipolo di popolani aveva raggiunto il generale aggiunto, che sempre a cavallo presidiava l’ingresso alla Rådhus: e gli consegnarono l’orologio di Fersen, la sua agenda tascabile, gli anelli con il sigillo, e altre cose di valore che egli aveva con sé. Il generale aggiunto prese quei trofei con manifestazioni di grande dolore e disperazione per quanto era accaduto, mentre gli aggressori continuarono a mostrare la loro impudenza, applaudendo il generale aggiunto, accarezzandone il cavallo, come se volessero ringraziarlo per non aver impedito il massacro.
Benché tutto ciò si fosse svolto in pieno giorno e in mezzo a una gran folla, i veri massacratori e gli assassini non furono mai riconosciuti ed arrestati. Taluni furono convocati ed interrogati, come un grossista, tale Lexow, l’attore Lambert, e altri due nati in Finlandia, il commerciante Granberg di Åbo, Tandefeldt di Syssmä, ed altri. Ma su nessuno furono poste gravi imputazioni, tranne che su Tandefelt, un uomo di pessima fama, che tutti dicevano esser stato il primo a saltare a piè pari sul torace di Fersen, affrettandone la morte, ma anche questo non fu riconosciuto in termini di legge [L’autopsia parla di fratture costali prodotte dopo la morte, nessuna lesione mortale sarebbe stata causata quando la vittima era ancora in vita.]. Quel tale Tandefeldt fu tenuto in una cella della fortezza di Carlsten per qualche tempo, poi espulso dalla Svezia.
Tuttavia i disordini non erano terminati, benché l’atto più atroce fosse stato compiuto. Dopo che il cadavere di Fersen fu sottratto agli oltraggi della plebaglia, questa continuò ad agitarsi, minacciò di invadere le case di Fabian Fersen e della contessa Piper; e persino quelle del conte Uggla e di molti altri personaggi che non erano direttamente coinvolti. Giunsero i generali Adlercreutz e Vegesack, e altre persone di alto rango, che cercarono di tranquillizzare gli animi e obbligare i più forsennati ad allontanarsi, ma il loro intervento sembrò non ottenere altro se non maggiore arroganza e pretese. In tal modo capii in fretta che non si poteva aver ragione con parole sagge e con generosità di un popolo eccitato, che addirittura si sentiva il vincitore di una battaglia. Tanto è vero che, durante i tentativi che furono fatti per sedare la rivolta con le buone, avvenne che il generale Adlercreutz, che in passato aveva salvato l’intera nazione e che tutta la Nazione stimava, in questa occasione si prese anche lui le sue brave bastonate, e andò vicino ad essere malmenato anche peggio. Allora, quando, fu chiaro che non c’era altra via d’uscita si ordinò ai soldati, che nel frattempo erano stati provvisti di munizioni, di aprire il fuoco sulla folla, così che ci furono alcuni morti e parecchi feriti. Prima che ciò avvenisse, e quando mi resi conto che il tumulto non si sarebbe acquietato tanto presto, avevo preso la via verso l’abitazione in cui vivevo, nella zona Nord, nei pressi di Fredsgatan. Da lì si sentivano gli spari e la confusione che ancora regnava nella città e in Slottbrinken, dove era avvenuta quella brutta storia. Dopo che la rivolta fu sedata laggiù, ecco che un gruppo di scellerati, giunti nelle vicinanze di casa mia, dalla parte di Drottningatan, cominciarono a spaccare le finestre della casa del conte Uggla, e Dio sa cosa non avrebbero fatto in seguito, se non fosse giunto un corpo di dragoni e non avesse cominciato a colpire gli esaltati più violenti, che in parte furono feriti, cosicché la sedizione popolare fu sedata anche in quel luogo.
Verso sera uscii di nuovo per vedere cos’era avvenuto. Piazza Gustav Adolf e Norrmalms Torg erano ancora piene di facinorosi. Nei pressi di Ponte Nuovo (Nya bron) fui testimone di un vero comizio demagogico, del quale io risi con indulgenza, anche se ancora non si capiva dove tutto ciò sarebbe andato a finire. – Accanto ad una delle pietre d’angolo verso la sede stradale si era piazzato un tizio che sembrava appena uscito da una fucina di fabbro, tutto nero e con un indumento di pelle accanto a sé. Questo eroe della libertà arringava con foga la folla che lo attorniava, gesticolava con entrambe le braccia, e spesso colpiva con un pugno il suo indumento di pelle. Pensai di essere al cospetto di una miniatura di ciò che era accaduto in grande stile in Francia, durante la Rivoluzione; ma dopo qualche minuto, ormai di nuovo calmo e in grado di considerare la cosa con giudizio, vidi il generale Adlercreutz che arrivava con una truppa di dragoni per disperdere i rivoltosi, perciò al mio domicilio. In quell’istante cominciò a cadere una pioggia copiosa, che continuò per diversi giorni, e che probabilmente fu l’evento che più di ogni altro fu in grado di raffreddare gli animi: la sera stessa infatti cessarono i disordini e non vennero più rinfocolati. Invece la Piazza e le vie più larghe furono invase da cannoni con le micce accese. Il re e la regina, che durante l’inizio dei tumulti erano nel castello di vacanza di Haga, rientrarono in città poco dopo che si era cominciato a sparare sulla folla. La contessa Piper seppe con grande coraggio sfuggire alla furia popolare. Si fece portare da un piccolo naviglio da Sheppsjolmen, a Stoccolma, alla fortezza di Waxholm, dove fortunatamente riuscì ad arrivare incolume, e lì si affidò alla protezione del Comandante.
Dopo che l’ordine fu ricostituito in città, tutti coloro che erano stati sospettati di aver avvelenato il Principe furono sottoposti a un’indagine severa, ma non emerse nulla a loro carico. Perciò il medico del Principe, tale Rossi, che aveva condotto con imperizia l’autopsia, fu espulso dal regno. Nonostante fosse stato promesso un compenso a chi avesse potuto portare le prove di un avvelenamento, semmai fosse esistito, non emerse mai nulla del genere. Ed è ancor più certo ora che le calunnie fossero infondate; infatti non si poté mai trovare che in quel tempo ci fosse in Svezia un potere Cabalistico (Massonico) o un partito politico che potesse aspettarsi qualsiasi vantaggio dalla morte del Principe. Il quale, oltretutto, non aveva nemici personali. E in tali condizioni è onestamente impossibile credere che qualcuno abbia voluto assassinare un Principe amato da tutti.
Il cadavere del Principe rimase per qualche tempo esposto al Castello, per permetterne le visite di prammatica a quanti gli erano amici, dopo di che si procedette alla sepoltura con rito solenne nella chiesa di Riddarholmen, senza che ci fossero altri disordini. Naturalmente erano state prese grandi precauzioni, così che nessuno potesse accedere alla chiesa o alle piazze e alle strade della processione funebre, ad eccezione di quelli che avevano i biglietti d’invito. Io me ne ero procurato uno e potei partecipare a tutta la cerimonia che fu veramente bella. La Chiesa era completamente addobbata di nero: sull’altare si vedeva Svea, rappresentata da un volto femminile che piangeva sopra un’urna. Il Vescovo Rosenstein lesse dal pulpito l’elogio della persona del Principe, e le orchestre dell’Opera con i Coristi diedero inizio e fine alla cerimonia con una musica molto commovente. L’attenzione di tutti era ormai diretta verso la scelta di un altro Successore al Trono, per la qual cosa i Membri Permanenti del Governo furono convocati a Örebro alla fine del mese di luglio. Durante tale Parlamento, dopo diversi tentativi di voto, venne scelto senza voti contrari come Principe della Corona Svedese l’attuale Re Carl XIV, che prima era noto come condottiero Francese sotto il nome di Bernadotte e Principe di Pontecorvo.
Dalla testimonianza diretta di quell’atroce tumulto, imparai che ci sono persone meno fortunate di me, io stesso sarei stato esposto ad evidenti pericoli se non avessi avuto la fortuna di potermene andar via. Poco a poco riuscii ad accettare meglio il mio destino, e a desiderare di continuare a vivere, almeno per poter essere di utilità ad altri [La Finlandia era da poco diventata parte della Russia, dopo una guerra rovinosa per gli Svedesi, 1809-1810. Chi scrive faceva parte della comunità finno-svedese, in genere ai vertici dello Stato].