La Valle di Jezreel tra Storia, miti e profezie

Da queste parti di mondo, storia miti e leggende, spesso divergono, si smentiscono, si elidono a vicenda; talvolta si sovrappongono.

L’Antico Testamento racconta, nel libro dei “Giudici”, la conquista della Terra di Canaan, promessa da Dio alle tribù israelite uscite dall’Egitto, sotto la guida di Mosè. Sono episodi epici, di battaglie con esiti miracolosi, di conquiste di terre e di genti. Molte di esse, come quelle di alcuni re dell’antica Israele, hanno come scenario la valle di Jezreel o i suoi dintorni. Attraversandola, oggi così verde, tutta coltivata e pacifica, si fatica ad immaginarsi come poteva essere stata e cosa poteva essere davvero accaduto sul suo suolo. Ed è arduo, quando non impossibile, conciliare gli scritti biblici con le risultanze archeologiche e storiche. Talvolta il dato storico, verificato, ha portato acqua a profezie e a suggestioni. Un episodio, passato dalla storia, al mito e alla profezia, appunto, ha avuto come scenario di nuovo Megiddo. Nel misticismo ebraico, è nell’area attorno a Megiddo che Israele vincerà Magog, inteso come l’insieme delle mitiche nazioni, nemiche sue e del suo Dio, per dare finalmente inizio ai tempi messianici.

Megiddo – ricostruzione

Occorre forse andarci per davvero in quei luoghi, per cogliere appieno il significato, per darvi le corrette dimensioni storiche ed escatologiche, a quanto si legge nel secondo libro dei Re e poi nell’Apocalisse di Giovanni. È la storia antica, le fonti esterne, quella che ci conferma la narrazione biblica relativa a Giosia, re di Giuda, di discendenza davidica. Nel 609 a.C. mosse con il suo esercito incontro a quello egizio, per bloccarne il transito verso l’Assiria. Nella battaglia fu ferito da una freccia e morì poco dopo essere stato riportato a Gerusalemme. La morte di re Giosia rappresentò per il popolo di Giuda un forte trauma, un’ingiustizia, un’offesa.

Megiddo – altare cananaico dove si compivano sacrifici umani

Era un re amato, considerato buono e giusto con la sua gente. E, soprattutto, era discendente di David, il Messia ebraico. La sua morte potè essere accettata solo attraverso un processo di sublimazione, cioè con il maturare della convinzione che in un tempo futuro ci sarebbe stata una rivincita, una sorta di regolamento definitivo dei conti con l’Egitto. Si formò poi nel tempo la profezia secondo la quale proprio a Megiddo, luogo della morte di Giosia e della sconfitta del suo esercito, si sarebbe combattuta la battaglia finale tra il Bene, la gente di Giuda con il suo Dio, e il Male, cioè gli Egizi e, in generale, tutte le Nazioni.  Riprendendo la profezia ebraica, nell’Apocalisse di Giovanni si indica in Megiddo (che viene indicato come Harmageddon, termine derivante dalla trasformazione dell’ebraico Har Megiddo, “monte Megiddo”) il luogo dove vi sarà il Giudizio universale.

Harmageddon: I Quattro cavalieri dell’Apocalisse

Là si combatterà, ancora una volta, la battaglia tra il Bene, ovvero le forze condotte dal Cristo (il Messia cristiano) e il Male, cioè quelle di Satana (dall’ebraico “satàn”: oppositore, avversario). Al termine della battaglia si avrà infine il giudizio finale, con la fine dei tempi e l’irrompere dell’era messianica. La lettura di quei brani dell’Antico e del Nuovo Testamento, crea suggestioni, porta ad immaginare scenari, appunto “apocalittici”: enormi e invincibili eserciti, grandi spazi, eventi soprannaturali. L’immaginario è però smentito da quel che invece si deve constatare sul terreno. Camminare adagio tra le strette strade di Megiddo, il silenzio interrotto solo dalla brezza che sfiora le orecchie e dal rumore dei tuoi passi sul pietrisco; un clima tiepido, i cieli tersi, a tutto possono portare a immaginare, tranne che a scenari a tinte fosche, al sangue, alle battaglie e alla morte. La valle di Jezreel attorno a Megiddo, è quieta. Il sito stesso della città, pur nella sua ricostruzione nel periodo del suo massimo splendore, rimane un insediamento grande quanto un nostro piccolo paese di provincia. Ancora una volta, ancora qui, si impara come gli Antichi (ma talvolta anche noi stessi ai nostri tempi) tendano ad enfatizzare, ingigantire i luoghi come gli eventi, allo scopo di dare maggior lustro ai loro protagonisti, ai loro dèi, alle loro gesta.

Valle di Jezreel – Cicogne

Alzando lo sguardo, uno stormo di cicogne volteggia solenne su di noi a ricordarci il passare delle stagioni. Più spesso, e in ogni stagione, sfrecciano invece aerei militari diretti forse verso il Libano o la Siria, a non farci mai dimenticare dove siamo e in quale momento storico ci troviamo. Si saprà dai notiziari del giorno dopo dove quegli aerei erano andati e a fare cosa. 

Un altro evento prodigioso è narrato nel Libro dei Giudici e collocato in questa valle. La narrazione ha però tradizionalmente origine sul monte Tabor, che ha uno straordinario affaccio su di essa e la si può dominare completamente con lo sguardo. Protagonista è l’unica “giudice” donna: Deborah, indicata anche come profetessa, che incitò un esitante generale Barak, posto a capo dei guerrieri di due tribù israelitiche, quella di Neftali e la seconda di Zebulon a portarsi sul monte Tabor e da lì scendere per muovere battaglia contro l’esercito cananeo guidato da Sisara. Inoltre, profetizzò che l’onore di uccidere Sisara non sarebbe toccato a Barak, che si rivelò un debole, avendo posto come condizione per combattere, quella di avere accanto a sè la stessa Deborah, ma ad una donna. La battaglia volse a favore degli israeliti.

Giaele e Sisara (1620)
Artemisia Gentileschi – Szépművészeti Múzeum, Budapest

Sisara fuggì a rifugiarsi presso la tenda di Yael, donna cananea. Yael, capito chi sarebbe stato il vincitore, fece la sua scelta e, convinto Sisara a concedersi un po’ di riposo, una volta addormentato, prese un picchetto della tenda e glielo conficcò nella tempia. Rapida ed efficace. 

E così la pace regnò su quella terra per quarant’anni.

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