L’essere umano, fin dalla sua apparizione sulla Terra, ha volto lo sguardo verso l’estensione immensa della volta celeste che lo sovrastava, visibile di giorno, ma oscura di notte e costellata da misteri e da interrogativi.
Non potendo toccarla per conoscerla come era possibile con tutti gli altri componenti mobili e fissi che costellavano il suolo su cui viveva, cercò un altro modo per scoprire gli elementi non raggiungibili con il tatto e scoprì l’immaginazione, facoltà del pensiero che consentiva di esplorare lo spazio diurno e la tenebra notturna, di pensare situazioni là in alto, confortevoli o portatrici di sventure.

Jan Brügel il Vecchio, Hendrick van Balen
1615 circa – Museo del Prado
Curiosità, predisposizione a conoscere e a studiare, a fantasticare inventando anche storie, divennero le attività di quegli esseri umani a cui piaceva guardare verso l’alto per andare oltre il visibile, scoprire gli elementi che costituivano il mondo sopra di loro così lontano, che si ripresentavano ai loro occhi fissi e mobili.
Pitagora, matematico nato a Samo e poi migrato a Crotone per non voler vivere in un paese tirannico, aveva la predisposizione di scrutare l’immensità sopra di lui alla ricerca del moto dell’universo e delle energie cosmiche. Ovidio nelle Metamorfosi lo descrive come un attento analizzatore delle regioni del cielo per ricavarne conoscenze e saperi e gli fa dire:
Canterò grandi cose, non investigate
dagli ingegni dei nostri padri e a lungo nascoste;
mi piace andare fra le stelle
e, lasciando la terra, sede inerte,
innalzarmi
su una nube, e salire sulle forti spalle di Atlante,
e guardare da lontano gli uomini erranti qua e là…
Non tratteneva le conoscenze acquisite in questi viaggi per sé stesso, le trasmetteva alle schiere di discepoli spiegando che tutto ciò che è nascosto può essere disvelato con il pensiero vigile e attento a cogliere cause e fenomeni: le origini del cosmo, i terremoti, la neve, il fulmine e le leggi che governano il movimento degli astri. E da queste osservazioni e deduzioni ricavava e trasmetteva ai discepoli anche stili di vita, consigliando un’alimentazione che deve rifuggire dalla carne degli animali e utilizzare invece tutto quanto offre la terra, come nella mitica Età dell’Oro. In pratica consigliò ai discepoli le scelte vegetariane e vegane della nostra epoca.
E non aveva sofisticati strumenti tecnologici per indagare, si affidava alla osservazione e alle immagini che la sua mente suscitava elaborandole poi con la forza del pensiero e della speculazione intellettuale.
Era un visionario perché arrivava a vedere là dove altri non riuscivano in quanto non si impegnavano ad andare oltre.
Lo stesso metodo del guardare verso l’alto, con l’immaginazione e il pensiero, lo ha usato venti secoli dopo un altro visionario: Giordano Bruno Nolano, pensatore, arso sul rogo, condannato per non essere in linea con la cultura ufficiale della sua epoca.

Nell’opera De l’infinito, universo e mondi, pubblicata a Londra nel 1584, dimostra che l’universo è infinito e non ha confini, è immenso e composto da una pluralità di mondi abitati. Inoltre pone l’attenzione sul fatto che si muove ma non con moto circolare perfetto; e le stelle non sono fisse, ma si muovono e dalla terra non percependolo riteniamo che siano ferme.
Dimostrato, grazie ai suoi occhi più aperti di altri verso l’ignoto, che l’universo è
inmobile, inalterabile, incorrottibile
Giordano Bruno dichiara che è impossibile che la Terra possa essere al centro di un sistema infinito; ne consegue che l’essere umano non può collocarsi al centro dell’universo e quindi asserire di avere il diritto di disporre a suo piacimento della Natura e di quanto lo circonda, affermazione di una sorprendente attualità. Oggi noi poniamo in discussione secoli di sconsiderata appropriazione della Natura e dedichiamo risorse e iniziative alla preservazione della Terra. E così descrive il metodo di indagine che utilizza per arrivare alle conoscenze esposte nella sua opera:
Quindi l’ali sicure a l’aria porgo;
Né temo intoppo di cristallo o vetro,
Ma fendo i cieli e a l’infinito m’ergo.
E mentre dal mio globo a gli altri sorgo,
E per l’eterio campo oltre penetro:
Quel ch’altri lungi vede, lascio al tergo.
Nominare l’infinito conduce la nostra mente a chi possedeva lo slancio immaginativo tradotto in versi immortali: Giacomo Leopardi, visionario della Poesia e non solo perché nella prosa delle Operette Morali vi è un dialogo che il poeta, trasformatosi in scrittore di saggi, inventa con la prerogativa della sua professione, l’immaginazione (la poesia è il risultato di sequenze di immagini).
Il dialogo è tra la Terra e la Luna – una presenza non casuale quella del nostro satellite nella poetica del recanatese. Esse sono personificate al modo di fantasticare degli antichi greci ed è nella finzione del dialogo il nostro pianeta che guarda in altro con occhi desiderosi di conoscere la sua inseparabile compagna, dopo millenni di indifferenza.
Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere; per essere una persona; secondo che ho inteso molte volte da’ poeti: oltre che i nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi, come ognuno di loro; e che lo veggono essi cogli occhi propri; che in quell’età ragionevolmente debbono essere acutissimi.
La Terra pone domande per avere conferma delle notizie e convinzioni circolanti tra i terrestri in merito alla Luna, al suo ambiente e ai suoi abitanti. E le risposte non sono così scontate e aderenti alle supposizioni: la Luna conferma di essere abitata ma non da umani e non conosce piani o preparativi di guerra per invaderla e prenderne possesso, sono vicende che non hanno riscontro lassù. I due astri comunque concordano almeno su un elemento comune: la presenza del male in grande quantità. Leopardi arriva dunque alla sua tematica del pessimismo utilizzando la personificazione dei pianeti in stile da letteratura per ragazzi.
E questa considerazione ci introduce alla conoscenza di un altro visionario che con il naso e gli occhi verso l’alto, sempre più in alto, ha ripreso la cultura greca e romana: Gianni Rodari, inventore di storie che avvengono lassù, tra gli spazi siderali e tra le sfere che popolano l’universo.
A differenza di Pitagora, di Bruno e di Leopardi, Rodari ha necessità di un mezzo per “recarsi sul posto”:
Io so che un giorno l’ascensore
al quarto piano non si fermerà
continuando la sua corsa
il soffitto bucherà
salirà tra due comignoli
più su delle nuvole e del vento
e prima di tornare a casa
farà il giro del firmamento.
E allora gli si dischiudono i misteri dello spazio che ci sovrasta e con un gioco di personificazioni in stile leopardiano e di dimensione da cartoon hollywoodiano ci conduce alla conoscenza del Pianeta degli Alberi di Natale o del Pianeta Bruscolo dove il calendario dura una settimana. E ritorna inoltre nelle sue storie la Luna della prosa leopardiana, Luna che assume sembianze vive, o è legata al guinzaglio di una bambina, o è descritta con mari asciutti e quindi magnifici per chi non sa nuotare.
Rodari prospetta al lettore un viaggio immaginifico, ricco di invenzioni dove gli dei antichi sono sostituiti da astri, persone stravaganti e riferimenti alla nostra condizione umana, terrena e terrestre, per divertire e anche stimolare riflessioni.

I visionari del guardare sempre più in alto per vedere quello che è nascosto ad altri, ci stimolano a trascendere la condizione materiale: possiamo “oltre passare” la visione unilaterale e monoculturale del mondo su cui proiettiamo sempre la stessa considerazione dello stesso mondo e di noi che lo circondiamo e viviamo.
Il saper immaginare, associato ad un pizzico di sogno ad occhi aperti e al fantasticare, può portarci a scoprire altri “mondi” o a capire i misteri e i sedimenti che ci pone la nostra mente alquanto abitudinaria e dubbiosa.
E può portarci in altre direzioni, meno serie e forse più gratificanti, verso l’alto sempre più alto dove possiamo piacevolmente “vedere” storie di mondi, passati, presenti e futuri. Ed anche narrarle come Pitagorea, Bruno, Leopardi, Rodari. Non sono personaggi usciti da film di fantascienza, sono esseri umani, come noi dotati della capacità di pensare e di immaginare.
BIBLIOGRAFIA
- Publio Ovidio Nasone – LE METAMORFOSI (Traduzione di Guido Paduano), Mondadori I Classici, 2007
- Giordano Bruno – DE L’INFINITO UNIVERSO E MONDI, Enigma Edizioni Firenze
- Giacomo Leopardi – OPERETTE MORALI
- Gianni Rodari – FILASTROCCHE IN CIELO E IN TERRA
- Gianni Rodari – IL PIANETA DEGLI ALBERI DI NATALE, Einaudi

