I vetrai di Altare

La storia del vetro in Italia. I vetrai di Altare, Liguria, vantano una tradizione secolare nella lavorazione del vetro, risalente al XIII secolo. Celebrati per la loro maestria artigianale, creano opere d’arte e oggetti d’uso diffusi globalmente.


Altare, terra di passaggio per quelli che vengono dalla Riviera dalla parte verso Savona, e famosa principalmente per la fabbrica di vetri, essendo usciti da essa tutti gli autori e fabbricatori di simil arte…

Così, nel 1604, Evandro Baronino, segretario del duca Vincenzo I Gonzaga, divenuto per matrimonio marchese del Monferrato, introduce le sue osservazioni su Altare inserite nella Descrizione che fa del Monferrato per il suo duca. Egli coglie immediatamente le due più peculiari caratteristiche del piccolo paese monferrino posto alle estreme propaggini del ducato verso il territorio della repubblica di Genova: la produzione in loco di manufatti di vetro e la caratteristica di mobilità, quasi di nomadismo, dei vetrai altaresi.

Gli altaresi dunque non si limitano a produrre e lavorare il vetro a casa loro, come era normale in altre regioni italiane, e addirittura strettamente imposto a Murano dalle autorità veneziane, ma partono in gruppi dal paese di origine per andare ad esercitare la loro arte in località anche lontanissime dal Monferrato. Vanno, costruiscono le loro fornaci, fanno vetro e lo commerciano, poi ripartono come in una diaspora biblica; in altri casi invece si insediano stabilmente per generazioni nella nuova sede di lavoro ma sempre mantenendo rapporti diretti con il loro paese di origine. Maestranze altaresi nel XVII secolo sono all’opera ormai in tutte le maggiori città dell’Italia settentrionale e dell’Italia centro-meridionale lungo la costa tirrenica fino alla Sicilia. Altre maestranze sono invece presenti in Francia, dal Delfinato al Nivernese, alla Bretagna, in Inghilterra, nelle Fiandre. È un fenomeno sconosciuto a qualsiasi altro gruppo sociale del Monferrato, dove soltanto gli Ebrei sono abituati a spostare di luogo in luogo la sede dei loro affari.

Ma c’è un terzo aspetto, notevolissimo,della realtà vetraria altarese che non è raccolto nella Descrizione del Monferrato, ed è l’esistenza di una corporazione solidamente impiantata che organizza e governa non solo i vetrai operanti in Altare ma anche quelli attivi in altri centri dell’Italia e dell’estero. Questa corporazione era denominata “Università dell’arte vitrea”, ma la sua singolarità non si esaurisce in questo semplice essere esistita: ad Altare la corporazione vetraria è stata qualcosa di più di una organizzazione di mestiere. Per secoli la sua stessa esistenza ha trasformato il paese in un puro supporto in quella che era l’attività primaria della lavorazione del vetro. Tutti i paesani erano addetti a supportare le fornaci, chi procurando la legna da ardere, chi provvedendo all’estrazione delle quarziti della zona e alla loro macinazione, chi provvedendo all’imballaggio e ai trasporti.

Altra caratteristica che fa della corporazione vetraria di Altare un unicum nel suo genere sta anche nell’essere sopravvissuta fino al secolo scorso riuscendo a mantenere aggregato il gruppo sociale costituito dai depositari dell’arte vitrea, i cosiddetti Monsù, discendenti delle famiglie che per secoli hanno tramandato l’arte della soffiatura del vetro esclusivamente di padre in figlio.

Ma quando inizia la storia del vetro ad Altare? Le origini purtroppo si perdono nella leggenda, essendo andati perduti i vecchi registri consolari della corporazione, e resta solo la tradizione orale, tramandata di generazione in generazione. Si tratta della cosiddetta tradizione franco-fiamminga, che narra come diversi operai francesi fossero stati chiamati da un frate dell’isola di Bergeggi, chiamato frate di Fornelli, verso il 900 dell’era volgare. Secondo lo storico altarese Enrico Bordoni le famiglie che tennero per secoli come patrimonio esclusivo il mestiere di vetrai erano di origine francese e i loro cognomi vennero italianizzati. Si trattava dei Buzzone, Bormioli, Bordoni, Brondi, Biancardi, Rachetti, Saroldi e Varaldi. Si unirono ad essi diversi vetrai muranesi (Marini, Somaglia, Bertoluzzi, Perotti, Vico, Negri, Greni). Questa è la tradizione orale, e lasciamo agli storici le immancabili diatribe sulla nascita di questa antichissima tradizione. Ai capostipiti vetrai sono succeduti i figli e poi i nipoti ed è una aspirazione più che giustificabile da parte di molti di loro quella di dedicarsi ad un artigianato dai risultati economici tutto sommato gratificanti specie se paragonati a quelle che sono le altre possibilità offerte dal territorio di Altare e circostanti, riconducibili ad una espressione estremamente povera dell’agricoltura e della pastorizia. Neppure è da dimenticare un aspetto peculiare dell’artigianato vitreo in questa società rurale: la grande libertà di cui gode l’artigiano vetraio rispetto alle servitù legali ed economiche alle quali debbono sottostare in regime feudale i lavoratori agricoli, i boscaioli e i pastori.

Stemmi delle famiglie nobili altaresi

Addirittura i Monsù ottengono l’accesso ad una piccola nobiltà, riconosciuta loro dai marchesi del Carretto e confermata dai marchesi del Monferrato, con tanto di stemmi nobiliari e varie esenzioni da tasse e gabelle, che consentiranno loro di godere fino agli inizi del XIX secolo di una discreta ricchezza. 

I vetrai altaresi erano specializzati nella produzione di articoli di uso comune ma con livelli qualitativi molto alti. Il loro vetro era prodotto alla façon de Venise, ossia producevano anch’essi un cristallo di qualità pari a quello muranese, riuscendolo ad esportare in tutta Europa tanto che ancora oggi non è facile distinguere la reale origine degli articoli che si trovavano nelle corti nobiliari dell’epoca. Ancora nel XVII secolo erano all’opera ad Altare almeno duecento soffiatori distribuiti su numerosissime fornaci.

Tra il XVI e il XVII secolo il cerchio delle migazioni dei vetrai altaresi si espande incredibilmente. Quando i Gonzaga, duchi di mantova e del Monferrato, divennero anche duchi di Nevers grazie alla loro politica matrimoniale, chiamano a Nevers i fratelli Vincenzo e Giacomo Saroldi, Giovanni Castellano e un nucleo consistente di vetrai altaresi. La tappa successiva è Orleans: la storia del vetro in questa località si identifica con l’opera del più celebre vetraio altarese, Bernardo Perrotto. Nipote di Giovanni Castellano, si sposta presso lo zio a Nevers quindi ad Orleans dove fonda una propria vetreria sulla quale il re Luigi XIVpone le insegne reali. Il Perrotto era un geniale inventore: nei vent’anni della sua attività ad Orleans ottiene speciali privilegi dal re Luigi XIV tra i quali l’esclusiva della produzione e vendita di uno speciale combustibile che sostituisce il carbone senza fumo e senza odore, di cui si è persa la conoscenza, e trova la formulazione di uno speciale color rosso. Ma la sua invenzione più importante è la tecnica di lavorazione per “colata” per la realizzazione del vetro piano di grandi dimensioni adatto per realizzare specchi, in sostituzione della tecnica per soffiatura.  La storia di questa invenzione si intreccia con quella della nascita in quegli anni della Manufacture royale des glaces de miroirs, poi Compagnie de Saint-Gobain a Parigi. Ed è caratterizzata da un lungo contenzioso nel corso del quale il Perrotto tenta invano di difendere il brevetto contro la decisione del ministro Colbert di concedere l’esclusiva di fabbricazione alla Manufacture. 

Tecnica della colata per produrre vetro piano inventata da Bernardo Perrotto

All’inizio dell’Ottocento, tuttavia, la crisi del settore causata dalla conquista dei mercati ad opera del cristallo di Boemia e del cristallo al piombo inglese, nonchè i prezzi più bassi delle importazioni dalla Francia, che godeva di una più alta produttività e dell’accesso a materie prime e combustibili (carbone) di costo estremamente inferiore di quelli locali, porteranno a fratture sempre più insanabili in paese tra i Monsù e i paesani, molti dei quali ormai avevano diversificato le loro attività. Le accese diatribe locali arriveranno sul tavolo dei regnanti torinesi che risolveranno la questione decidendo di abolire la corporazione. Sarà un colpo mortale per il paese, che vedrà la sopravvivenza di sole quattro fornaci, e la disoccupazione di centinaia di lavoratori, fossero essi maestri soffiatori che aiutanti. I più intraprendenti tra le famiglie dei Monsù troveranno però la capacità di lasciare ancora una volta Altare e fonderanno, sia in Italia che all’estero, in Sud America come in Europa, numerose attività imprenditoriali che formeranno l’ossatura delle vetrerie padronali italiane. Ricordiamo, tra le più famose, le vetrerie Bormioli prima a Fidenza e poi a Parma, la vetreria di Angelo Bordoni prima a Milano e poi nel 1840 a Sant’Anna di Sesto Calende. Ad Altare le poche famiglie rimaste riuscirono a riunirsi in una cooperativa che darà origine ad una nuova vetreria, denominata “Società Artistica Vetraria S.A.V.”, la prima coperativa industriale nata in Italia, fondata la notte di Natale del 1856. I rapporti tra i soci erano basati su principi di tipo cooperativistico e di mutuo soccorso. All’inizio del 900 contava più di 980 dipendenti e negli anni Venti divenne la terza vetreria italiana per fatturato. Proseguì l’attività fino al 1978 mantenedo un struttura produttiva particolare, con lavorazioni di tipo artigianale in un complesso che assunse sempre di più connotazioni industriali. Oggi il fabbricato della vetreria, ormai fatiscente al punto di minacciare la sicurezza di transito nella via principale del paese, rappresenta un triste ricordo di una tradizione vetraria millenaria.

Per fortuna la città di Altare si è dotata di un bellissimo museo, ospitato in una altrettanto magnifica villa in stile Liberty, villa Rosa, che raccoglie vetri prodotti nell’arco di diversi secoli, siano essi di utilizzo comune che pezzi artistici di elevatissimo pregio.