A cento anni dalla pubblicazione, La montagna incantata di Thomas Mann resta un capolavoro sulla vita, il tempo e la paura del cambiamento. Attraverso il viaggio iniziatico di Hans Castorp, il romanzo esplora la malattia, la conoscenza e il destino dell’uomo moderno, in bilico tra progresso e decadenza, fino allo sconvolgente risveglio nella realtà della guerra.
La montagna incantata di Thomas Mann, a cento anni dalla pubblicazione, è un romanzo illuminante sulla vita e sulla paura di cambiare, i cambiamenti incutono timore perché fanno riflettere sull’esistenza e spingono ad andare oltre alla propria “zona di sicurezza”.
La montagna incantata o magica resta una pietra miliare della letteratura per la modernità dei contenuti, per il tratteggio dei personaggi, sempre in costante ricerca della verità.
Un semplice giovanotto era partito nel colmo dell’estate da Amburgo, sua città natale, per Davos-Platz nel cantone Grigioni. Andava in visita per tre settimane. Da Amburgo fin lassù però il viaggio è lungo, troppo lungo, a dir il vero, per un soggiorno così breve. Si passa attraverso parecchi paesi, in salita e in discesa, dall’altopiano della Germania meridionale sin giù alle rive del mare svevo e col battello sulle sue onde tremolanti, sopra gli abissi che un tempo erano considerati inesplorabili.
Hans Castorp, “il puro folle”, giovane ingegnere che Mann definisce quester, ricercatore,
colui che cerca, interroga, che percorre il cielo e l’inferno, che tiene testa al cielo e all’inferno e stringe un patto con il mistero, con la malattia, con il male ,con la morte, con l’altro mondo, con l’occulto, con quel mondo che è detto “problematico” alla ricerca del Graal, ossia del supremo sapere, di conoscenza e iniziazione della pietra filosofale dell’aurum potabile, della bevanda di vita.
Hans, però, non è Parsifal, bensì un giovane borghese, senza grandi aspirazioni che ha studiato ingegneria, facoltà
che gli permettesse di fare bella figura con sé e con gli altri.
Già nella salita inizia a distaccarsi dalla vecchia vita per intraprendere una ricerca, che durerà 7 anni, un’esperienza interiore legata alla strana magia del luogo, all’impalpabile e soggettiva percezione del tempo ma soprattutto dall’esperienza della malattia e della morte, protagoniste assolute del sanatorio.
A Berghof tutti sono malati, molti moriranno con dolcezza, senza che la loro morte venga comunicata, infatti di loro non resterà traccia, rimuovendone la memoria.
Durante il soggiorno incontrerà due mentori:
l’italiano Settembrini, battagliero esaltatore del progresso, del lavoro e dell’ingegno umano, il cui maestro Carducci scrisse un inno dedicato a Lucifero “la forza vindice della ragione”.
Leo Napta, un gesuita di origine ebraica, antimoderno, nichilista, definito “disperato ragionatore”, che morirà in un duello con Settembrini, sparandosi un colpo alla tempia.
Jochim il cugino, militare di carriera che lascerà il sanatorio non ancora guarito per ritornarci a morire.
La contessa Claudia Chauchat rappresenta la tentazione data dall’erotismo, la lussuria e l’amore e ricorda la maga Circe ma anche le ninfe delle montagne di Venere nell’opera Tannhäuser di Wagner.
L’olandese Peperkom incarna l’amore dirompente e istintivo della vita ma che inspiegabilmente si suiciderà.
Kastorp in questa atmosfera così diversa dal mondo laggiù, inizierà a leggere forsennatamente, interessandosi di tutto, ponendosi domande cui non saprà dare risposta.
La vita scorre sempre identica a se stessa e Hans sembra si stia spegnendo, non ripara l’orologio, non guarda il calendario, non sente il bisogno di misurare il tempo.
In questa atmosfera ovattata e rarefatta la guerra irrompe come un tuono nella vita sempre identica della montagna e riporta Hans alla realtà.
Si tratta di una sorta di allegoria della condizione dell’uomo che viene calato nella realtà della guerra e nella celebrazione della decadenza morale dell’uomo borghese di quei tempi.
Alla crisi dei popoli, alla malattia dello spirito non vi è rimedio: solo lo spirito del tempo, il Zeitgeist, può decidere le sorti del mondo, neppure la nottola di Minerva cui si ispira il filosofo Hegel perché arriva troppo tardi, iniziando il suo volo solo al crepuscolo quando il sole è tramontato.
Per Hegel significa che la filosofia sorge quando ormai la civiltà ha compiuto il suo processo di formazione e si avvia al tramonto.
La filosofia non ha il compito di trasformare la società, di determinarla, di cambiarla, come affermava Marx, ha solo il compito di spiegarla, quindi solo al termine del suo sviluppo quando la società ha espresso le sue potenzialità.
Quindi la filosofia che è la più alta e compiuta manifestazione dell’Assoluto, non può essere presente in ogni stadio del pensiero umano ma solo alla fine del percorso quando la realtà è già compiuta e non vi è nulla da trasformare: la filosofia non deve far altro se non giustificare la realtà.
È la guerra a ridestare Castorp che, perdutosi una volta in una bufera di neve, aveva pensato, in uno stato allucinatorio, che
per rispetto alla bontà e all’amore l’uomo ha l’obbligo di non concedere alla morte il dominio sui propri pensieri.
Una frase che dimenticherà, infatti. Alla fine sceglierà la guerra, tornerà al piano, dopo sette anni di isolamento volontario, si risveglierà,
si vede disincantato, redento, liberato… non di sua iniziativa, come deve riconoscere con vergogna, ma messo alla porta da potenze elementari esterne.
È forse quello che attendeva, ridiscendere al piano, dare un senso alla vita, uno scopo alla sua ricerca. Non parte per seguire un ideale patriottico, non ne ha alcuno.
Nel finale del romanzo lo si vede svanire, tra terra fangosa e nuvole di fumo
penombra, pioggia e fango, rossi bagliori d’incendio nel cielo bigio che rimbomba senza posa di tuoni e boati… Ed ecco il nostro conoscente, ecco Hans Castorp!… È tutto bagnato e arde… cade… si alza, prosegue barcollando… nel trambusto della pioggia lo perdiamo di vista. Addio Hans Castorp, schietto pupillo della vita!… Addio… Sia che tu sopravviva o muoia!… Ci sono stati momenti in cui nei sogni che governavi sorse per te, dalla morte e dalla lussuria del corpo, un sogno d’amore… Chissà se anche da questa mondiale sagra della morte, anche dalla febbre maligna che incendia tutt’intorno il cielo piovoso di questa sera, sorgerà un giorno l’amore?
La guerra durerà a lungo, Castorp probabilmente soccomberà ma un senso l’ha ritrovato, solo la guerra, quel tuono, sarà capace di farlo tornare nel mondo.
Il suo è un gesto che si pone esattamente a metà strada tra il pensiero dei due mentori. È una rinascita attraverso l’azione, attraverso l’agire, ma anche attraverso il sangue e la distruzione di sé e degli altri.
La montagna incantata è un fedele complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento e, nella sua incantata fusione di prosa e poesia, di vastità scientifica e di arte raffinata, è il libro, forse, più grandioso che sia stato scritto nella prima metà del secolo.
Nata a Roma, insegnante di lettere nella scuola media di Angera, consigliere delegato alla cultura del comune di Taino, socia fondatrice delle associazioni culturali "Gabriella Finzi" di Milano e "Amici di Mario Berrino" di Ispra, nonché docente di Unitre di Sesto Calende..... ho inserito tutto ma ho omesso tanto!!!!
Vedi tutti gli articoli di Stefania Bertini