Per la lettura critica che oggi viene fatta delle religioni, il mito diventa il consuntivo delle religioni, secondo cui esse possono esistere soltanto in quanto mitologia in quanto la verità delle religioni, secondo il pensiero materialista, è stata confutata, dalle esperienze che derivano da scienza e ragione. Ma anche se le religioni paiono tramontare di loro resta una traccia, un alone mitico e mistico perché Il mito, in ogni caso, è esperienza ineludibile dell’uomo che lega inscindibilmente alla dimensione del sacro e del simbolo: Il mito si nutre di simboli e poggia sul sacro.
Vivere nella meravigliosa consapevolezza che le cose non sono mai come credevamo
Nascere, venire all’essere, diventare qualche cosa è una colpa che verrà pagata con la morte. Questo insegnava a Basilea nel 1869 il giovane docente di letteratura greca Friedrich Nietzsche. Ancora sensibile agli studi di Schopenhauer prendeva spunto dai frammenti di Anassimandro di Mileto (610-546 a.C.) “Principio degli esseri è l’infinito … da dove gli esseri hanno origine ma ivi hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo». Questo è un frammento, di un’opera certo più corposa e complessa perché di Anassimandro si è perso tutto, se ancora possiamo leggere qualche frase lo dobbiamo al neoplatonico Simplicio (490 e 560 d.C.) vissuto mille di anni dopo (uno dei 7 savi fuggiti in Persia per fondare la città ideale di Platone, dopo che l’imperatore Giustiniano aveva chiuso l’Accademia di Atene nel 529 d.C.). Sono poche parole ma per Martin Heidegger costituivano la prova della grandezza della filosofia che è capace di affrontare sin dai tempi più remoti i problemi fondanti: perché c’è qualche cosa, perché c’è il mare, gli alberi, io? Anassimandro aveva posto la domanda e si era data anche la risposta parlando di un principio infinito ed indistinto: Dio? Forse, Anassimandro lo chiamava Apeiron (il senza limite). In esso tutto riposa, la realtà come la vediamo e di cui facciamo parte si è formata staccandosi da quel principio. Un impulso incoercibile, una spinta potente, irrazionale e primordiale, spinge tutto ad essere qualcosa, Schopenhauer la chiama la volontà di vivere. Ma questa colpa di “voler essere” prima o poi sarà punita: la nascita e la morte, l’essere e il non essere, ogni affermazione contiene una negazione e prima o poi giustizia verrà fatta. Questa è la legge tragica, il segreto dell’esistenza. Il mondo che si disvela attorno a noi si organizza per opposizioni: caldo-freddo, luce-buio, acqua-fuoco un eterno conflitto e sarebbe il caos se uno degli elementi dovesse prendere il sopravvento. Una paura del presente nel mondo ellenico del mito, dove ad ogni potenza naturale è associata una divinità cui occorre volgersi con preghiere, riti e sacrifici affinché conservi l’universo in questo precario equilibrio. La realtà si trasforma continuamente e ogni trasformazione non è che la temporanea affermazione di una qualità a scapito del suo opposto. Ma la sopraffazione verrà riequilibrata secondo la legge che regola gli opposti. Se lo avesse potuto incontrare, però, Anassimandro difficilmente avrebbe compreso Heidegger, perché per i greci l’universo c’è da sempre ed è inutile chiedersi perché c’è, perché c’è l’essere e non il nulla, molto meglio individuare le leggi che regolano la vita dell’universo e raccontarne la storia.
Anassimandro si sarebbe, forse, sentito più vicino a Karl Popper il quale proprio nel filosofo greco individua un precursore dei moderni scienziati, uniti dalla stessa sete di comprendere, descrivere, spiegare, dare una descrizione scientifica dell’universo. Ma una volta fatto ciò tutte le nostre domande restano aperte: perché ci sono queste leggi? chi garantisce il loro funzionamento? Il misterioso Apeiron dal quale tutto viene e tutto torna? Ma allora, torniamo là da dove eravamo partiti per reintrodurre con parole diverse le stesse domande: perché ci sono le cose? Da dove veniamo? Dove andiamo? Domande alle quali mai si troverà la risposta ultima, ma di cui è difficile fare a meno: “L’impulso al mistico” scriveva Ludwig Wittgenstein nel 1915 “viene dalla mancata soddisfazione delle nostre domande alla scienza”. Infatti noi avvertiamo chiaramente che una volta che tutte le possibili domande scientifiche avranno avuto risposta, il nostro problema del “fine ultimo” non sarà stato neppure sfiorato. Ed allora è vero che il mito, al pari della filosofia, vive della meravigliosa certezza che le cose non saranno mai come si credeva che fossero. Forse qui è il punto: un bambino si meraviglia ogni giorno dell’esistenza del mondo ed allora ecco: imparare a meravigliarsi, consapevoli che tanto maggiori saranno le scoperte tanto più cercheremo significati. Meglio farsene una ragione perché il viaggio promette di essere ancora lungo.