Nessuno degli abitanti di Via dei Legionari ha la macchina, tranne il vinaio Rino che può permettersi il lusso di mantenerla. È una “Giardinetta” con la carrozzeria bordata di legno e con la freccia che si alza a destra o a sinistra a seconda della direzione. Alla domenica porta a passeggio la famiglia e noi bambini lo guardiamo partire sperando che un giorno o l’altro ci faccia fare un giro.
Nel piccolo ufficio che si è ritagliato da un angolo del negozio, ha installato un telefono a muro: è l’unico a possederne uno.
Tutti gli abitanti della via ne hanno usufruito, nel bene e nel male e all’occorrenza, la moglie Adriana va ad avvertire: «C’è una telefonata per voi» e il destinatario arriva di corsa con il cuore in gola perché non sa se sono buone o cattive notizie. In genere sono telefonate che annunciano la morte di qualche parente.
Come quella della zia Dina, trovata morta nel letto a cinquantatrè anni. Mio padre era ritornato in casa dandone l’annuncio, senza versare una lacrima, nonostante l’affetto che lo legava alla sorella, e aveva preparato la solita valigia nera con i risvolti in cuoio chiaro. Aveva preso il primo treno per Casale senza nemmeno far colazione, con mia mamma che gli diceva:
«Gino, prendi almeno il caffè che è già pronto».
Nella grande cantina che occupa tutto il pianoterra del caseggiato di mezzo, si sentono spesso rotolare le botti e poco dopo si vede l’acqua che esce a rivoli, rossastra, sui sassi del cortile. È l’aiutante che le sta lavando. Le malelingue dicono che parte dell’acqua rimane dentro e il vino lo vende annacquato così guadagna di più e può permettersi l’automobile.
Tutti i capofamiglia sono operai che lavorano nella vicina fabbrica di aerei, tranne mio padre che è impiegato e gode di un certo rispetto tra gli abitanti della via.
Data la sua posizione anche noi potremmo permetterci il telefono e la macchina: mia madre glielo rimprovera di continuo, ma lui non ama mettersi in mostra, non ama far carriera. Questi discorsi non li sente proprio.