L’Arte come Pathos: passione, amore, sofferenza

Molto interessante la lezione che Davide Frezzato ha tenuto ad una delle mie classi (una seconda liceo di ragazzi svegli ed in gamba, ad onor del vero…) focalizzando la nostra attenzione su quattro opere della pittrice Artemisia Gentileschi: Susanna e i vecchioniGiuditta e Oloferne, l’Inclinazione, l’Allegoria della Pittura.

Allegoria dell’Inclinazione (1615-16)
Artemisia Gentileschi e Il Volterrano
Casa Buonarroti , Firenze

In particolare, Davide ha fatto rilevare che la vita di Artemisia è stata caratterizzata da sofferenza (la sua fama ne risente ancora adesso, rispetto ad artisti più noti), profondità (di impegno, lavori, tematiche affrontate), coraggio e attitudine al comando (donna dal bel caratterino, l’ha definita), forza (lo esigeva il mondo difficile in cui si è trovata a vivere).

Tutto questo non ne fa, probabilmente, un’eroina né una femminista ante-litteram, che è il modo distorto di concepire a ritroso la sua figura, ma ci consente di darle la sua naturale definizione di donna indomita, che si allinea ad una schiera di donne pittrici già presente, con una personalità e gusti tutti suoi.

Non c’era molto spazio, nel mondo della pittura secentesca, per i sentimenti e i gusti personali; i rapporti coi committenti erano delicati e rischiosi, i dettami della tradizione e dell’iconologia erano stringenti, la personalizzazione dei soggetti andava effettuata con intelligenza e sottigliezza. Eppure, rispetto ad altre pittrici, più tendenti alla riproduzione, Artemisia seppe rielaborare la tradizione ed i modelli forti ed originali a cui si ispirava, come Caravaggio e Michelangelo, coniugando felicemente passione e tecnica (che sembrano due elementi contradditori).

Susanna e i vecchioni (1610)
Artemisia Gentileschi
Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden

Nonostante i problemi della sua vita personale, ma forse grazie alla facilità che le derivava dall’essere figlia di Orazio (pensiamo alla sponsorizzazione che il padre fece a suo favore, pur con i discutibili modi che adottò), Artemisia potè dare sfogo alla sua naturale inclinazione, vivere del suo lavoro, viaggiare, affermarsi, concentrarsi sulla sua passione.

La passione di Artemisia è anche il titolo del romanzo di Susan Vreeland da cui la classe in oggetto era partita per fare la conoscenza con la pittrice. E la scrittrice americana inserisce nella pagina introduttiva del suo romanzo una poesia di W. H. Auden, che proprio di pathos ci parla: passione, sofferenza, sentimento, emozione.

Giuditta che decapita Oloferne (1620 circa)
Artemisia Gentileschi
Galleria degli Uffizi, Firenze

Sono le reazioni che si provano davanti all’arte, la sindrome di Stendhal. Da essa nasce probabilmente la riflessione del poeta inglese che, visitando il Musée des Beaux Arts di Bruxelles, passeggia e sosta davanti ad una galleria di quadri e conclude che la sofferenza nel mondo esiste, ineliminabile, ma si perde tra l’indifferenza delle persone che neppure se ne accorgono

Mi piace che l’arte sia la chiave per comprendere il testo di Auden. Parrebbe una poesia ermetica, di cui ci manca il codice d’accesso, se non sapessimo che il poeta deve aver visto una Adorazione dei Magi, un Martirio di San Sebastiano, un Paesaggio invernale con pattinatori e soprattutto l’Icaro di Brueghel. Di fronte a La caduta di Icaro, Wystan Hugh Auden è indotto a riflettere sull’indifferenza del mondo e sul dolore, sull’ inestirpabile sofferenza del vivere.

Anche noi, del resto, che osserviamo il quadro, non vedendolo, siamo alla ricerca di Icaro. 

Lo si trova con difficoltà, constatava il poeta belga Émile Verhaeren, poiché è già caduto tra i flutti e solo le gambe ancora emergono dall’acqua. Lì accanto un veliero ha le vele gonfiate da un vento propizio e il marinaio non si accorge dell’uomo caduto in mare, non può vedere la gamba che si inabissa né quelle poche piume che, scioltesi dalla cera delle ali, vanno a fondo.

Caduta di Icaro (1558 circa)
Pieter Brueghel il Vecchio
Museo reale delle belle arti del Belgio, Bruxelles
Musée des beaux arts - W.H. Auduen

In quando a sofferenza, non si sbagliarono mai
gli Antichi Maestri: Come capirono bene
la sua posizione umana; e come giunga mentre
c’è qualcun altro che mangia o apre una finestra oppure del tutto ignaro va per la strada;
come, quando gli anziani attendono in ansia e reverenti
la nascita miracolosa, debbano sempre esserci bambini
che non vedendo in essa nulla d’eccezionale pattinano
sopra uno stagno ai margini del bosco:
non dimenticarono mai
che persino il terribile martirio
deve compiere il suo corso in ogni caso, in un angolo, in qualche
lurido luogo, dove i cani vanno con la loro vita da cani, e il cavallo
del torturatore si gratta contro un albero il deretano innocente.
Nell’Icaro di Brueghel, per esempio: come ogni cosa volta
le spalle in assoluta indifferenza
al disastro; e l’aratore può anche aver udito il tonfo, il solitario grido,
ma non era importante per lui quella catastrofe, il sole
splendeva come sempre sulle gambe bianche
che sprofondavano nell’acqua verde; e la nave
di grande prezzo e snella, che doveva aver visto certamente
qualcosa che stupiva, un ragazzo precipitare giù dal cielo,doveva giungere in porto in qualche luogo, e proseguì il viaggio in gran calma.

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