In un precedente articolo abbiamo descritto il processo di formazione di una stella dal collasso gravitazionale delle porzioni più dense di una nebulosa. L’articolo si concludeva con una serie di domande sulla vita e il destino delle stelle e sulla formazione dei pianeti. Cerchiamo ora di rispondere a quest’ultima domanda, ma, prima di affrontare l’argomento, è necessario dare alcune definizioni.
Definizioni
In origine il termine pianeta indicava genericamente gli oggetti celesti luminosi che si muovono rispetto alle stelle fisse, ma non era chiaro quale fosse la loro natura. A partire dal secolo scorso, con il miglioramento delle osservazioni, si sono individuati centinaia di corpi celesti con caratteristiche vicine a quelle di Plutone, per cui è nata l’esigenza di definire in modo chiaro che cosa si intende per pianeta. Per questo nel 2006 l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) ha riunito un gruppo di astronomi che ha prodotto la seguente definizione:
Un pianeta è un corpo celeste che: è in orbita intorno a una o più stelle; ha una massa sufficiente a fargli assumere una forma sferoidale; ha ripulito la zona intorno alla sua orbita dai corpi di massa confrontabili.
L’ultima parte di questa definizione ha avuto come conseguenza il “declassamento” di Plutone a pianeta nano, perché “non ha ripulito la sua orbita da oggetti confrontabili con la propria massa”.
Un esopianeta è un pianeta e che orbita intorno a una stella diversa dal Sole.
Un sistema planetario è un insieme di diversi oggetti di natura non stellare che orbitano attorno ad una o più stelle alle quali sono legati gravitazionalmente. Tipici oggetti dei sistemi planetari sono: i pianeti, i satelliti, gli asteroidi, i meteoroidi, le comete, la polvere interstellare.
Il disco protoplanetario
Le stelle nascenti sono circondate da dense regioni di gas e polvere che impediscono l’osservazione in luce visibile. Per questo motivo fino alla fine del secolo scorso le ipotesi elaborate per spiegare la nascita dei pianeti si basavano sul Sistema Solare e sui suoi pianeti, gli unici ad essere conosciuti.
L’avvento dei telescopi spaziali e, soprattutto, il perfezionamento dei radiotelescopi, hanno permesso di aumentare la capacità risolutiva degli strumenti, rendendo possibile l’osservazione diretta non solo delle strutture discoidali che stanno alla base della formazione delle stelle, ma anche degli esopianeti. Infatti, anche le zone più fredde delle nubi di gas e polvere emettono radiazioni che vanno dal vicino infrarosso alle onde radio, con lunghezze d’onda comprese fra una frazione di millimetro ed alcuni millimetri, conosciute come radiazioni sub-millimetrica e millimetrica. Osservare a queste lunghezze d’onda è possibile solo utilizzando un radiotelescopio. Un grande contributo all’osservazione dei dischi protoplanetari è stato dato dal radiointerferometro più potente attualmente in uso, ALMA, del quale abbiamo già parlato in un precedente articolo.
Si è così scoperto che esistono pianeti diversi da quelli del Sistema Solare e questo ha complicato il lavoro degli astrofisici, che hanno dovuto adattare i modelli sviluppati per il Sistema Solare; ma restano ancora problemi irrisolti.
Ma ecco quali sono le ipotesi più accreditate.
Dalle osservazioni disponibili risulta evidente che attorno ad una stella in formazione si genera un accumulo di materiale che, ruotando, si appiattisce fino a formare un disco, detto disco protoplanetario, composto di gas e polveri e orbitante attorno alla stella.
Il diametro del disco varia da decine a migliaia di UA (Unità Astronomiche, pari alla distanza Terra-Sole), mentre la sua temperatura va da migliaia di gradi K nella zona interna a decine di K nella zona esterna.
All’interno del disco protoplanetario, i granelli di povere iniziano ad aggregarsi tra di loro, accrescendo la propria massa fino a formare dei corpi, detti planetesimi, delle dimensioni di qualche chilometro. A questo punto, a causa delle collisioni e delle forze gravitazionali, i planetesimi si uniscono formando un embrione planetariodi massa compresa tra quella della Luna e quella di Marte. Infine, gli impatti tra gli embrioni planetari, che ne determinano la fusione o, talvolta, la disintegrazione, portano alla formazione di un numero limitato di pianeti veri e propri. Questo processo dura alcune decine di milioni di anni.
Gli urti generano un enorme calore: questo è uno dei motivi per cui, subito dopo la loro formazione, i pianeti rocciosi hanno una superficie liquida di rocce fuse. Durante questa fase, i metalli più pesanti cadono verso l’interno del pianeta: questo è il motivo per cui la Terra ha un nucleo composto principalmente di ferro fuso. Il processo di raffreddamento, che avviene per irraggiamento del calore, è molto lento: si calcola che per la Terra siano occorse alcune centinaia di milioni di anni prima di avere una superficie solida.

Esplorando l’Universo, abbiamo potuto vedere oltre un migliaio di sistemi planetari, in tutti gli stadi della loro formazione. La figura 1 mostra il disco protoplanetario che circonda la protostella HL Tauri, ripreso dal radiointerferometro ALMA. Il disco protoplanetario è composto da anelli di materiale e da solchi scavati dai pianeti in fase di formazione, che hanno acquisito materiale dal disco “ripulendolo” attorno a quella che sarà l’orbita finale. L’immagine mostra come i pianeti inizino a formarsi insieme alla stella o poco dopo.
La figura 2 mostra quattro pianeti che orbitano intorno alla stella HR 8799, che dista da noi “solo” 129 anni luce. Si tratta di un’immagine altamente spettacolare, ripresa dal telescopio Keck alle Hawaii il 21 luglio 2016. Per ottenerla, è stato necessario occultare la stella centrale, mediante uno strumento chiamato coronografo: solo in questo modo si riesce a vedere la debole luce irradiata dai pianeti, che, altrimenti, sarebbe completamente sovrastata dalla luce dell’astro.

Il modello proposto spiega bene la situazione del Sistema Solare. Infatti le orbite dei pianeti sono quasi complanari; i pianeti interni sono rocciosi, piccoli e poco massicci, perché, a causa della vicinanza del Sole, non sono stati in grado di trattenere il gas del disco protoplanetario, mentre i pianeti esterni sono gassosi e molto più massicci perché hanno catturato una parte dei gas presenti nel disco.
Le osservazioni più recenti di pianeti e di sistemi planetari in formazione hanno evidenziato la presenza di pianeti gassosi in prossimità della stella e di pianeti rocciosi massicci in zone più distanti. Questo ha costretto gli astrofisici a supporre che i pianeti possano, dopo la formazione, subire un processo di migrazione che modifica la loro orbita. In effetti, si è ipotizzato che anche Giove e Saturno, in un lontano passato, abbiano preso forma nella zona interna del Sistema Solare, spazzando via molti detriti, e che solo più tardi abbiano raggiunto le loro posizioni attuali. Ma per ora nulla è certo.