Effetà Paolo VI di Betlemme è un istituto che si occupa della rieducazione audiofonetica di bambini sordi e, talvolta anche muti, il cui bacino è molto più ampio della municipalità di Betlemme e accoglie bambini da tutti i Territori palestinesi.

(Effetà, in aramaico, significa «Apriti» e fu la parola usata da Gesù per operare la guarigione di un sordomuto). L’istituto, gestito da suore cattoliche italiane, provvede annualmente alla formazione di circa 150 bambini a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. Le loro famiglie, in particolare le madri, tengono molto a che i loro figli possano essere educati in quella struttura e fanno di tutto perché possano frequentarla con regolarità. Quel Centro diviene così anche punto di riferimento e di incontro per tante famiglie, non solo di Betlemme, ma anche di altri paesi. Ciò comporta una ricaduta collaterale positiva, in quanto in tal modo educa anche alla convivenza e alla comprensione interreligiosa all’interno del mondo arabo palestinese. Suonato il campanello, devo dire con non poca faccia tosta, ad aprirci venne una suora non più giovane e per nulla sorpresa dalla nostra presenza. Volevamo semplicemente visitare l’istituto e saperne di più e lei non fece altro che chiamare la superiora, la quale, dopo averci offerto un sacrosanto buon caffè all’italiana, con molta cordialità e semplicità, ci guidò negli ambienti interni. Sembrò quasi sconcertante la fiducia con la quale fummo accolti, senza domande, senza chiedere accreditamenti o quant’altro. Le domande, in realtà le facemmo noi. La risposta ad una di queste mi lasciò senza parole. La domanda era semplice: come mai tanti bambini sordi e/o muti? La risposta fu del tutto inattesa: tra i Palestinesi circa il 40% dei matrimoni è endogamico, combinato cioè all’interno della famiglia allargata o direttamente tra primi cugini; questa è la ragione principale per la qualei loro figli presentano più spesso simili patologie.
Poi la madre superiora aggiunse: da queste parti vi è poi anche un’altra realtà, quella delle ragazze che rimangono incinte fuori dal matrimonio. Possono perfino venire uccise dai loro parenti, padri, fratelli. Si tratta, per fortuna, di un’eventualità non frequente e tuttavia ancora oggi una gravidanza extra coniugale rimane un evento che rappresenta un grande disonore per le loro famiglie. Così, vuoi per la vergogna, la rabbia, o perché “è così che si deve fare”, esse, se proprio non rischiano la vita, è molto probabile che vengano allontanate in modo definitivo dalla famiglia; e che le aspetti di certo un futuro di marginalizzazione sociale. Per questo, constatata la gravidanza, si allontanano dalla famiglia per il tempo necessario a portarla a termine; partoriscono, lasciano il figlio in un istituto o altrove, presso parenti o altro, e tornano a casa. La famiglia, o parte di essa, ovviamente, sa cosa è successo, ma occhio non vede… onore salvo.

Per raggiungere il cuore cittadino è preferibile muoversi a piedi. Ci si impiegherebbe non più di un quarto d’ora, se non fosse che si attraversa un lungo suq che inevitabilmente, vuoi per la confusione, vuoi per la curiosità, fa rallentare l’andatura e allungare i tempi. Manger Square è il centro pulsante della città. È crocevia di pellegrini, di visitatori che si mescolano con i residenti, di venditori ambulanti, di questuanti. L’economia della città si regge in buona misura sul turismo religioso. Anche se ormai la componente cristiana dei cittadini di Betlemme è minoritaria, il sindaco deve essere, per regolamento municipale, un cristiano. Un sindaco cristiano non mancherà di aver cura dei suoi concittadini e correligionari e, per ricaduta, dei cittadini tutti.

La Basilica della Natività, voluta dall’imperatore romano Costantino nel 326 d.C. è la chiesa più antica rimasta sempre in funzione dal tempo della sua costruzione. L’angusto pertugio, attraverso il quale entrarvi, è talmente basso che è necessario chinare il capo e ciò ha portato a pensare che quello fosse un, quantunque forzato, gesto di umiltà, da cui quella porta prende il nome. Pochi, tuttavia, ricordano volentieri che in tal modo si offre il collo a chi, stando ben preparato e protetto al suo interno, una volta quel collo poteva mozzarlo con un colpo di spada, se riteneva che l’ospite fosse ostile. La Basilica è greco-ortodossa e i suoi mosaici pavimentali, originali, sono di grande pregio, sia storico che artistico. Quelli alle pareti, in parte danneggiati, sono stati magistralmente restaurati in anni recenti da esperti provenienti da due scuole di restauro italiane, quella di Ravenna e quella di Prato. Ora si possono ammirare per lo splendore dei loro colori accesi che brillano alla luce naturale, proveniente dai finestroni posti in alto sulle pareti laterali. È quasi scontato dover fare una lunga fila per accedere alla grotta posta sotto l’altare maggiore. Difficilmente ci si impiega meno di un’ora in una calca crescente fino al parossismo, a mano a mano che ci si avvicina allo stretto ingresso al sito. Nell’attesa c’è chi prega in solitudine o in gruppo, chi parla, sfoglia brochures, guide turistiche o chiacchiera, o tutte quante queste cose insieme, come nessuna di esse. Poi tutto accade in fretta, in modo convulso. Mentre si transita dentro la grotta della Natività si è presi dall’ansia di dover fare quante più cose possibile nei pochi secondi concessi: una preghiera, un inchino, una carezza, o, riuscendoci perfino un bacio, alla “stella” a quattordici punte[1] dove il neonato Gesù fu adagiato, una candela da accendere accanto alla mangiatoia e, una – anzi diverse – foto, meglio se in posa. Davvero troppe cose tutte insieme. Una volta ho visto religiosi che pregavano e allo stesso tempo mangiavano un pezzo di pane… (o, forse, mangiavano un pezzo di pane, mentre pregavano…).

La storia di quella basilica è molto più di tutto questo…
[1]In lingua ebraica ad ogni lettera dell’alfabeto corrisponde un valore numerico. Così la parola David, che si scrive con le sole tre consonanti DVD, ha, sommando il valore 4 delle D con il valore 6 della V, il valore 14. Il numero delle punte della stella della Natività vuole simbolicamente far risalire Gesù alla dinastia davidica.