Guerra e pace occupa quasi dieci anni di lavoro, nel ripercorrere le campagne napoleoniche, fino a quella del 1812 che vide la Russia trionfare sull’Armée imperiale francese, Tolstoj da un lato, esalta la saggezza e l’intuito di Michail Kutuzov il generale a capo delle armate russe e dall’altro scredita l’immagine dell’esitante e pavido Zar Alessandro I.

Franz Krüger
Museo dell’Ermitage
L’abbandono al nemico di Mosca, deciso da Kutuzov dopo l’esito incerto della battaglia di Borodino, era stato condannato ma si rivela la decisione che porta alla vittoria. Aveva ragione Kutuzov, l’uomo che sapeva cosa il suo esercito voleva da lui, che pur non amando né stimando chi comanda da lontano, nel Palazzo d’Inverno. Tolstoj consegna col suo romanzo, non a chi decide nei ministeri o a chi scrive libri, ma al popolo la centralità della storia che gli è stata negata, riscrive la storia dalla parte di chi l’ha vissuta. Per questo le battaglie, nel romanzo sono così appassionanti, perché sono viste nella loro realtà, non c’è un vincitore o un vinto, ci sono i soldati che si battono e muoiono spesso per la confusione di ordini non chiari, in posizioni che si rivelano errate o in azioni dissennate che non ottengono i risultati sperati.
Tutte le famiglienfelici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Altro scandalo provoca Anna Karenina (1877), l’obiettivo questa volta è l’ipocrisia dell’alta società di San Pietroburgo che ritiene inscindibile il matrimonio ma è pronta a tollerare ogni genere di trasgressioni pur di salvare le apparenze. Così si comporta Stepàn detto Stiva, il fratello di Anna, così agisce la Principessa Betsy che favorisce la relazione di Anna con Vronskij purché resti un frivolo passatempo ma è la prima a condannare allorché si accorge che le buone regole sociali non vengono rispettate.
Ed ecco le domande che il romanzo pone ai lettori dell’Ottocento, sconvolgendoli: perché una donna giovane, bella e piena di vita deve soffocare in un matrimonio senza amore? Perché le è negato il diritto di vivere l’amore con un altro uomo e ritrovare con lui la passione fisica e la voglia di una gioiosa condivisione?

Anna sfida il perbenismo e la società la rifiuta, la cancella facendo muro contro chi infrange la rassicurante menzogna di tutte le coppie per bene di tutto il mondo e non solo di San Pietroburgo e non solo dell’Ottocento. “Scagli la prima pietra” dice il Vangelo ed allora Tolstoj rivendica la libera scelta di Anna che ha il coraggio di sfidare la società farisea e bigotta. E alla fine Anna perderà, non può non perdere, ma non perché cede alla violenza dei preconcetti, perderà perché la sua passione per Vronskij non si trasforma in un sentimento completo e si riduce a mera volontà di possesso. L’ultimo monologo prima del suicidio, in cui analizza le ragioni del suo fallimento è un passo che andrebbe letto e riletto da chi crede di avere, nella vita, solo certezze.
Il tema principale di Anna Karenina, al di là della descrizione delle piccinerie dell’aristocrazia dell’epoca, è quello della colpa, Anna non è una dissoluta (com’è Stiva, il fratello che però Tolstoj non punisce con il suicidio), ma una persona che, per amore, va al di là della propria morale: è un personaggio che nasce tragico, con un destino che in qualche modo è già scritto. Piena d’angoscia Anna condanna se stessa nel momento esatto in cui si innamora e in quell’innamoramento si perde. In lei trova vita il conflitto interiore che accompagnava le riflessioni di Tolstoj mentre scriveva, solo più tardi comincerà a studiare i Vangeli e ad elaborare il proprio cristianesimo anarchico. Mentre scriveva Tolstoj era ancora diviso, come dice Igor Sibaldi, tra la resa al proprio mondo o “commettere adulterio staccandosene” e imparando un nuovo modo di vita. Tutto questo spaventava Tolstoj come la colpa spaventa Anna: condannare Anna, era quindi una maniera per autoaccusarsi e mettersi alla prova.

Il romanzo ha avuto, da subito un successo enorme, Dostoevskij ne parla come di un’opera d’arte perfetta e Nabokov come del “capolavoro assoluto della letteratura del diciannovesimo secolo”. Eppure accadde che, stanco di tutto il gran parlare che si faceva attorno, fosse proprio Tolstoj a rinnegare il romanzo: nel 1881 in una lettera al critico Strasov scrive: “io vi assicuro che per me quel romanzo non esiste più”.
Il Conte Tolstoj aveva cominciato una fase nuova della sua vita e non poteva sapere che quel conflitto, messo in scena nel romanzo, non lo avrebbe mai risolto e che lo avrebbe accompagnato sino alla morte.