Ho tenuto la sua mano mentre eravamo in chiesa

Milano: casa circondariale di San Vittore dicembre 2021, terzo braccio.

Mi chiamo Antonio, per gli amici Tony. 

La cella numero 365 è stata la mia residenza negli ultimi 30 anni.

Qui tutto è cadenzato: sveglia alle 7, appello, rifare la branda in fretta, in fila per due per recarsi in mensa; ritorno alla cella alle 8; in fila per pranzo alle 12; in laboratorio alle 13.30; ritorno in cella alle 17.30; di nuovo in fila per la cena alle 18.30; il contro appello e lo stridio delle serrature di sicurezza chiudevano la giornata.

Questa sarà la mia ultima notte. Finalmente! Pensavo che non potesse mai arrivare il giorno del “fine pena”. 

Sono le tre del pomeriggio. Ho finito la mia giornata di lavoro nel laboratorio di falegnameria. Questa sera consegnerò i miei attrezzi al nuovo arrivato. Si chiama Gianni, è molto giovane; arrivato anche lui in laboratorio per buona condotta. Ci scambiamo le solite battute di commiato.

Mi prende un po’ di tristezza sapendo di dover lasciare la falegnameria. Io che ho sempre distrutto tutto, qui ho imparato sia a costruire che a riparare, mai avrei pensato che da un pezzo legno potesse uscire qualcosa di utile o riuscire a dare nuova vita ad un mobile, una sedia, una finestra usurati dal tempo. 

Adesso che ho ristrutturato anche un po’ la mia vita, mi sta salendo l’ansia. 

Mi avvio nei corridoi che riportano alla cella, ecco, ci siamo. Il secondino apre le sbarre e con un sorriso mi dice: – Dai che domani sei libero. 

– Già – dico entrando. 

Il compagno mi sta aspettando, mi consegna una borsa.

– Tieni, usala per andare in giro, dove io ancora non posso andare.

Sono commosso.

Mi butto sulla branda. In fondo, questa cella è stata la mia casa per così tanto tempo.

Guardo il soffitto.

– Sei come al solito in catalessi? – non rispondo. 

La mente è un vortice di pensieri, ho paura del “domani.” 

Le luci si abbassano, in tutto il braccio una voce arriva puntuale: – Si dorme, silenzio. – È la buona notte che ci dà il secondino camminando nel corridoio.

Sono in branda, finché il sonno non prevale penso. In questo ultimo periodo parlo poco con il mio compagno di cella.

– Dai Tony, facciamo due chiacchere, questa è l’ultima sera che sarai qui! Spero che tu abbia dei progetti per il futuro. In fondo hai da poco compiuto 50 anni.

– Che devo dirti? 

– Eh, progetti… – sorrido, quasi a nascondere quel misto di gioia e consapevolezza di una prossima libertà.

– Su, dai. – mi dice con un filo di pudore, se mai abbiamo conosciuto questo sentimento. 

– In tutto questo tempo ti ho raccontato, esaltandoli, i miei reati. Tu al contrario non mi hai mai detto niente. Sai, 30 anni non si prendono così per caso. 

– Da dove vuoi che inizi? C’è poco da dire e tutto da dimenticare.  

– Ok sto zitto, capisco, capisco. 

– Va bene, ti vorrei raccontare solo di un passaggio della mia vita, qualcosa che mi è rimasto dentro la testa come un tarlo. È dal giorno che ho ascoltato in tribunale la sentenza della mia condanna di trent’anni. Tu sai come mi sono sentito

– Si, lo so bene come funziona, okay vai avanti, cosa c’è di così importante? 

– Ero un ragazzino e mia nonna aveva questa abitudine di andare in chiesa alla domenica, passava da casa e mi portava con lei, per le vie ci stavano quei ragazzini miei amici, e tu sai di che ragazzini sto parlando! Nel quartiere dove abitavo in periferia di Milano, Quarto Oggiaro. Arrivato in prossimità dei gradini della chiesa mi prese la mano. Di solito me la teneva stretta per paura che io scappassi, ma quella mattina era caldo, le mani leggermente sudate, mollai la presa e corsi via. Lei si girò come per afferrarmi. Poverina, con una voce affannata mi gridava: Tony, Tony vieni qui, non andare da quei ragazzi. E invece io ci andai. Quel giorno ci fu il battesimo del mio primo reato. Da lì, fino al salto di “qualità” a vent’anni. Se non fosse stato caldo quella mattina, e la sua mano non fosse stata sudata, la mia vita sarebbe stata diversa.

Ecco, sono stato un viaggiatore in pausa, mi sono dovuto fermare, ho atteso imparando la strada, domani partirò dal casello che ho pagato, potrò finalmente oltrepassare la sbarra e godermi i panorami del mondo.

– Buona fortuna Tony, e buonanotte.  

– Buonanotte a te.

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