Ipazia d’Alessandria, ovvero la morte del libero pensiero

Scuola di Atene (1509-1511)
Raffaello Sanzio
Musei Vaticani, Città del Vaticano

Guardando attentamente il dipinto di Raffaello La scuola d’Atene, tra tutti i filosofi rappresentati (Socrate, Pitagora, Euclide, Zoroastro) in basso sulla sinistra tra Pitagora, e Parmenide si può vedere, raffigurata col volto del Sodoma, Ipazia. Per sapere chi fosse basta una frase:

la sua cultura umiliò il mondo maschile e il vescovo disse: venga lapidata, fate tacere quella donna.

Vescovo Cirillo d’Alessandria

Il vescovo era Cirillo di Alessandria, Patriarca della Chiesa Copta che verrà poi venerato come santo dalla chiesa ortodossa e da quella cattolica. Cirillo era un teologo colto e fervente che partecipò alle dispute cristologiche che infiammavano la sua epoca. Feroce persecutore di eretici, ebrei e pagani, al Concilio di Efeso del 431 si batté contro l’eresia dell’Arcivescovo di Costantinopoli,  Nestorio che sosteneva la totale separazione delle natura umana e divina di Cristo negando la maternità divina di Maria. Elaborò quella dottrina dell’Incarnazione che gli valse il titolo di “doctor Incarnationis” e che ancora oggi è considerata valida dai teologi cristiani.

Ipazia, nata ad Alessandria d’Egitto nel 370, fu matematica, astronoma e filosofa neoplatonica. Qualcosa non certo usuale per quel tempo, il V° secolo d. C..  Alla morte del padre, l’illustre matematico Teone, ne ereditò il posto a capo della sua scuola. I suoi scritti sono andati perduti, ci sono però le testimonianze dei suoi contemporanei, soprattutto del suo allievo Sinesio di Cirene, che divenne vescovo di Tolemaide,  a dare notizia della sua fama. Socrate Scolastico di lei:

Per la sua cultura, accedeva in modo assennato al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini, poiché per l’enorme sua  saggezza, tutti la rispettavano e provavano verso di lei un timore reverenziale.

Scuola d’Atene
Dettaglio di Ipazia

Damascio, rettore della scuola d’Atene, un secolo dopo, scrisse che, seppure inadatta alla filosofia in quanto donna

non si contentò mai del sapere che viene attraverso le scienze matematiche ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche. Spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltare, il pensiero di Platone e Aristotele nonché di qualsiasi altro filosofo. La città la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico di questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei.

Ipazia riusciva a fare andare d’accordo la filosofia con la matematica e la teologia quasi fossero materie complementari. Come ci riuscisse è un mistero, ma lei cercava di dimostrare (o meglio far intuire) l’esistenza di un Dio, a cui mai diede un nome, attraverso una serie di ragionamenti matematici senza mai far ricorso alla immaginazione o alle verità di fede. In natura, diceva, non c’è nulla che sia uguale a zero o infinito, queste due entità non sono numeri ma limiti al nostro ragionamento, sono dei traguardi non alla portata dei nostri sensi. Il massimo che possiamo  fare è trovare un qualcosa che tende allo zero o all’infinito, senza, però, mai raggiungerlo.

Morte d’Ipazia

Queste sue argomentazioni e le sue  teorie sui pianeti e sulle loro rotazioni ellittiche attorno al sole, ma soprattutto il fatto che fosse donna, per giunta pagana e amica dell’ebreo Oreste, prefetto imperiale, proprio non andava giù al Vescovo Cirillo e le cose si misero male. Quando nel marzo del 415 scoppiò  un tumulto contro gli ebrei, che vennero scacciati dalla città, Ipazia pur non essendo ebrea, venne assassinata in maniera orribile. L’accusa? Non essersi comportata da donna e aver insegnato in una scuola pubblica al posto di un uomo. Insomma di non essere stata al suo posto di donna.

La distruzione dei templi ellenici pagani era stata voluta dall’imperatore Teodosio I° che con L’Editto di Tessalonica del 380 aveva proibito i culti pagani e imposto il Cristianesimo come religione dell’Impero. Ad Alessandria l’editto imperiale venne applicato piuttosto blandamente dal vescovo Teofilo, quando però questi morì il suo posto lo prese il nipote Cirillo, che coadiuvato dai suoi fedelissimi (i parabolani) iniziò i una vera e propria guerra contro gli infedeli. Alla fine del 414 il Prefetto Imperiale Oreste, ebreo e forse era amante di Ipazia, venne ferito durante un tumulto e l’attentatore venne giustiziato e Cirillo gli organizzò un solenne funerale e lo proclamò martire della fede. Gli integralisti si scatenarono e presero a distruggere sinagoghe e templi greci, poi appiccarono l’incendio alla grande biblioteca d’Alessandria riducendo in cenere tutto l’immenso  patrimonio di cultura greca che vi era contenuto. Alcuni mesi dopo Ipazia venne aggredita e assassinata da un gruppo di invasati capeggiati da un certo Pietro il lettore.  Il racconto ce lo fornisce Socrate Scolastico nella sua “Historia Ecclesiastica”:

Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Aveva avuto frequenti incontri con Oreste e questo fu interpretato calunniosamente si pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni spinti da zelo bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un’imboscata. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove l’assassinarono con delle tegole. Dopo avere fatto a pezzi il  corpo portarono i lembi in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono. Questo non portò il minimo obbrobrio a Cirillo, e neanche alla chiesa di Alessandria,  e certamente nulla può essere più lontano dallo spirito del cristianesimo che permettere massacri, violenze, ed azioni di quel genere. Questo accadde nel mese di marzo durante la quaresima, nel quarto anno dell’episcopato di Cirillo, sotto il decimo consolato di Onorio ed il sesto di Teodosio. Lo stesso fa Damascio, filosofo pagano, per il quale Cirillo «si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più presto possibile. Un’uccisione che tra tutte fu la più empia».

Ipazia venne fatta scomparire dal mondo e dalla storia, solo nel ‘700 gli illuministi tornarono a parlare di Iei come di una martire del libero pensiero e il suo nome ricomparve  alla voce Eclectiques  nell’ Encyclopédie di Dideron e d’Alambert. La questione della libertà di pensiero e dell’azione femminile in rapporto all’autorità politica e religiosa è da sempre tema scabroso e la storia di Ipazia, è in tal senso emblematica. La sua vicenda  venne spesso revisionata e piegata al pensiero dominante, se ne possono fornire vari esempi. Ad inizio ‘800 la contessa Rosa Ignazia Diodata Saluzzo Roero nel suo poema epico Ipazia ovvero delle filosofe ribaltò i fatti e Ipazia muore da vergine e santa dopo essersi riconvertita al cristianesimo:

nel sangue immersa la vergine giacea avvolta nel bianco suo velo e soavissimamente sorridea, condonatrice dell’altrui delitto mentre il gran segno redentor stringea.

Similmente di bianco vestita, ma viva e fieramente pagana, la descrisse invece Charles Marie René Leconte de Lisle, in “Hypatie et Cyrille”:

lo spirito di Platone e il corpo d’Afrodite erano partiti per sempre nei bei cieli dell’Ellade e Cyrille, il vescovo, alla filosofa poté offrire solo la scelta fra tra il silenzio e la vita.

La figura di Ipazia compare più volte nei romanzi e nei testi teatrali dell’Ottocento e del Novecento quale  martire laica ed eroica. Marcel Proust (All’ombra delle fanciulle in fiore- secondo volume della Recherche – 1918), Umberto Eco (Baudolino- 2000), Hugo Pratt in un album di Corto Maltese (Favola di Venezia – 1977) le hanno reso omaggio e il suo nome è stato preso a prestito da molte associazioni femministe. Nel romanzo di Eco “Baudolino”, il protagonista viene affascinato da una donna che incontra in compagnia di un unicorno e che gli ispira un senso di serena adorazione. Scoprirà trattarsi di Ipazia o meglio di una delle tante “Ipazie” che vivono in un bosco nei pressi di un lago. La donna racconterà a Baudolino che, dopo la morte della filosofa, le sue “repliche” si sono riunite per ricordarne gli insegnamenti, convinte che la sapienza è l’unico strumento per far affiorare la verità. 

 Oggi siamo nel ventunesimo secolo dell’epoca nuova e l’autonomia femminile, come quella della ricerca scientifica, resta contrastata e Ipazia non cessa di ispirare saggi, romanzi e polemiche come quelle sorte attorno al film Agorà (2009) del regista spagnolo Alejandro Amenàbar il cui ritardo d’uscita in Italia ha fatto speculare, e non poco, su mai provate pressioni vaticane per ostacolarne la diffusione. Resta il fatto che l’opera di cancellazione della memoria di Ipazia è durata secoli, e solo milleseicento anni dopo, i suoi merito sono stati riconosciuti col suo nome dato ad un progetto Unesco volto a valorizzare e favorire l’integrazione delle donne di scienza in un modo, come quello accademico, ancora prettamente maschile. Possiamo chiudere ricordando che Margherita Hack sottolineò che la vicenda di Ipazia

ancora oggi ci insegna quale possa essere l’odio per la ragione. Difendi il tuo diritto di pensare, perché anche pensare erroneamente è meglio che non pensare affatto.

2 pensieri su “Ipazia d’Alessandria, ovvero la morte del libero pensiero

  1. Come hai scritto Ipazia e molto nota nel educazione francese da secoli . grazie ieri per i misteri della comunicazione non ho potuto seguire il tuo medioevo .Grazie spero di collegarmi oggi Christiane Begonnet Mail: cbegonnet@outlook.it Mobile: +393387679795

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  2. mantenere il popolo nell’ignoranza è stata la strategia adottata per molti secoli affinchè non ci fossero prese di coscienza a fini rivoluzionari. Le aperture alla scienza non sono mai andate a genio, come ogni innovazione in cui si leggeva qualcosa di diabolico da allontanare. Figure come Ipazia hanno avuto il coraggio di osare il pensiero controcorrente in una società mentalmente chiusa…ci sono parallelismi che ben si accomunano col nostro tempo, non così evoluto come vorrebbe esserlo. Pensare con la propria testa fa la differenza.

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