A smentire l’impossibilità che Fede e Ragione potessero coesistere ci pensò Sant’Agostino, il più razionale dei Padri della Chiesa.
Il migliore Agostino lo troviamo nelle sue opere filosofiche. Le Confessioni, scritte in età matura, sono una brillante autobiografia in cui ripercorre le tappe della sua fede dalla giovinezza alla conversione, all’incontro con il vescovo Ambrogio, al battesimo e alla milizia cristiana come vescovo di Ippona. Se le Confessioni sono poesia in prosa, la Città di Dio è filosofia in storia, una superba apologia del Cristianesimo e un potente atto d’accusa al Paganesimo.
Era nato a Tagaste in Numidia (oggi Souk-Ahras in Algeria) nel 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Il padre era pagano, la mamma cristiana e da lei ricevette i primi rudimenti della religione. Giovanissimo abbracciò il Manicheismo e ne divenne assiduo seguace.
Il Manicheismo, più che una religione era una filosofia che fondeva elementi di Cristianesimo e di Zoroastrismo, il suo principio base era il dualismo continuo tra due principi che da sempre dominano il mondo e l’animo dell’uomo: il Bene e il Male.
Sant’Agostino professò il credo manicheo per una decina d’anni, ma non trovandovi risposte certe al suo desiderio di verità, se ne allontanò. Compì gli studi a Cartagine, maturò una grande passione per la filosofia leggendo l’Ortensio di Cicerone (un dialogo, andato perso, scritto presumibilmente nel 45 a.C. e dedicato all’amico Quinto Ortensio Ortalo) nel quale l’autore affermava che solo la filosofia aiuta ad allontanarsi dal Male e ad esercitare la virtù.
Non aveva più di sedici anni quando si innamorò di una donna matura con la quale visse more uxorio per dodici anni e dalla quale ebbe anche un figlio: Adeodato. A Tagaste, Agostino ebbe la sua prima avvisaglia di conversione: dormicchiava in giardino quando, senza un preciso motivo, scoppiò a piangere e sentì una voce sottile, forse di un bimbo, che gli sussurrava: “prendi e leggi”. Entrò di corsa in casa, aprì il primo libro che gli capitò tra le mani e lesse:
Solo in nostro Signore potrai trovare pace e ristoro.
Paolo – Lettera ai Romani XIII-13
Per qualche tempo insegnò grammatica e retorica a Cartagine poi si trasferì a Roma e di lì a Milano e qui conobbe il vescovo Ambrogio dal quale nella notte della Vigilia Pasquale del 387 ricevette il Battesimo. Da quel momento le sue convinzioni religiose cambiarono di colpo, è lui stesso che ce lo dice:
tardi ti amai, o Bellezza Divina… tu mi toccasti, e il desiderio di te non fece che aumentare.
Confessioni – Libro X-17
Quando tornò in Africa fece erigere un monastero e vi si ritirò a meditare, studiare e pregare fino a quando non venne nominato Vescovo di Ippona. Fu in quel suo ritiro che scrisse le Confessioni e La Città di Dio.
Come uomo fu sempre soggetto alle tentazioni ed ebbe il coraggio di farcelo sapere, questo ce lo rende ancora più degno di rispetto, perché fa capire che la via verso Dio non è privilegio solo di santi che paiono fatti di marmo. Basta leggere qua e là nelle Confessioni per scoprire l’uomo Agostino:
O Signore, dammi la castità e la continenza ma non subito.
Ahimè, non sono capace di dormire una sola notte da solo.
Dal traviamento della volontà nasce la libidine, dalla libidine l’abitudine, e dall’abitudine la necessità.
Osai persino tra le pareti della tua Chiesa concepire voglie impure.
Nelle sue opere Agostino tratta del Peccato, del Tempo e della Città di Dio. Sul peccato, per farci meglio comprendere, racconta l’apologo delle pere rubate da un podere. Quei frutti non erano migliori di quelle che c’erano nel suo giardino, ma lui le rubò:
non per mangiarle, ma solo per il gran piacere di rubarle… io anima malvagia, amai la mia disonestà, e non perché avessi desiderato quel che rubavo, ma solo perché ero affascinato dalla disonestà in quanto tale.
Anche sul sesso aveva idee chiare, distingueva tra concupiscenza e innamoramento, ossia tra il sesso una tantum e un affetto profondo e consapevole. Il rapporto tra uomo e peccato era per Agostino il grande mistero del mondo e ci meditò sopra per tutta la vita e poi venne a dirci che doveva per forza esistere un Purgatorio (De Civitate Dei – Libro XXI). Prima di lui o si saliva ai prati celesti o si andava giù nell’Ade (Paolo di Tarso, nella Prima lettera ai Corinzi, accennava piuttosto vagamente ad un fuoco purificatore). Agostino invece scrisse:
O Signore…. io so di aver peccato e non poter sperare nel Paradiso… ma so di non essere così cattivo da meritarmi l’Inferno… avrei bisogno di un luogo di mezzo, un luogo dove poter espiare le colpe che ho commesso per venire poi tra le anime beate.
La dottrina cattolica del Purgatorio verrà poi definita dal secondo Concilio di Lione del 1274 ed infine ribadita dal Concilio di Trento nel 1563.
Altro suo chiodo fisso era il tempo, è famoso il suo aforisma:
Cos’è il Tempo? Se nessuno me lo chiede lo so, ma se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede non lo so.
Confessioni – Libro XI-14
Poi elabora un ragionamento piuttosto complicato, sostenendo che il Passato non esiste poiché non è più; il Futuro non esiste perché non è ancora e il Presente non esiste dato che è una separazione tra due cose che non esistono. Esistono invece, la Memoria che è il presente del passato, la Speranza che è il presente del futuro e l’Intuizione che è il presente del presente. Dopo di che si pose la domanda di cosa facesse Dio prima della Creazione e si rispose che “prima” e “dopo” non si possono riferire a Dio che è in un presente eterno.
Ne La Città di Dio, sostiene che le città potenti e gli imperi non sono la Storia, poiché essa è solo quella della “Città Divina”, la prossima in cui andremo a vivere. È un’opera poderosa che è storia, filosofia e teologia, un grandioso compendio della civiltà pagana e di quella cristiana.
Il tema di fondo è la distinzione tra città dell’uomo e la città di Dio, ossia la contrapposizione tra il volere dell’uomo e il volere di Dio. Agostino scrive che l’Impero di Roma, così come tutti i grandi imperi della terra soccomberà di fronte al trionfo della civitas celeste, pertanto anche le sciagure patite dall’impero romano (in quegli anni il mondo era sconvolto dal sacco di Roma del 410 ad opera dei visigoti di Alarico) dovevano essere viste come episodi nel percorso verso il trionfo dello spirito di Dio sulla terra.
Fu un grande vescovo, si scagliò violentemente contro le eresie che in quel periodo dilagavano ma la sua passione era la teologia, scrisse trattati e migliaia di lettere guadagnandosi il titolo di Dottore della Chiesa (Doctor Gratiae). Nel De libero arbitrio dimostrò che seppure Dio lasci all’uomo la libertà di scegliere tra il bene e il male, pochi sono gli eletti, predestinati al Regno dei Cieli perché questo vogliono gli imperscrutabili disegni della Provvidenza. Secoli dopo i calvinisti si riallacceranno proprio a questa sua tesi per elaborare la loro dottrina della Grazia.
I suoi ultimi anni furono tribolati, morì nel 430 mentre i Vandali di Genserico assediavano la città. Non riuscì mai a trovare una risposta a tutte le tante domande che si poneva, ma introdusse un nuovo metodo di pensiero che dominerà l’Occidente, almeno fino a Tommaso d’Acquino: asservì l’intelletto al sentimento religioso e fondò la filosofia medioevale.
Le spoglie mortali di Sant’Agostino furono portate a Cagliari dagli esuli fuggiti dall’invasione Vandala. Nel 718 il Re longobardo Liutprando, le fece traslare a Pavia ove sono tutt’ora custodite nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro.

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