Appena più a nord di Beth She’an si trova la fortezza di Belvoir, indicata in ebraico come Kochav haYarden (stella del Giordano), costruita dai Cavalieri Ospitalieri nel XII secolo d.C. sul versante occidentale della valle del Giordano. La si raggiunge inerpicandosi su una strada stretta, tortuosa e maltenuta, che porta fino a 500 metri sopra la valle, vale a dire a circa 250 metri sul livello del mare.

Lungo la strada, che si snoda tra piantagioni di frutta e terra brulla, è raro, ma non impossibile, individuare grifoni appollaiati sulle rocce e qualche gazzella saltellare lungo il pendio dell’altura. La fortezza è stata un presidio militare oltre che feudo crociato. Il suo scopo principale era quello di presidiare la sottostante valle per ostacolare le mire di conquista del Regno Cristiano di Gerusalemme da parte dei musulmani. Nel 1180 fu teatro di una battaglia tra il re Baldovino IV di Gerusalemme e il Saladino. Fu posta sotto assedio sempre dall’esercito del Saladino nel 1188, dopo la sua vittoria sui crociati nella battaglia di Hattin, nei pressi di Tiberiade. Dopo un anno e mezzo di assedio, i difensori crociati chiesero e ottennero di potersi ritirare, cedendo la fortezza, che passò temporaneamente in mano araba per poi tornare sotto controllo dei Franchi.
Dopo il restauro, oggi è il castello crociato meglio conservato di Israele. Tuttavia, va detto, più della sua visita, che pure conserva il fascino delle cose andate e dei vissuti, degli scampoli di vita che possiamo solo immaginarci, merita andarci per il panorama che offre su gran parte della sottostante valle del Giordano.
Gerico rimane ancora più a sud e occorre viaggiare a lungo, uscire dallo Stato di Israele per immettersi nei Territori palestinesi. Niente di che, peraltro. I controlli in uscita dallo Stato sono superficiali e del tutto pro forma. Il paesaggio cambia per divenire in breve tempo semiarido e incolto. Del resto, ancor prima di arrivare a Gerico l’ambiente è ormai totalmente desertico e il caldo, accentuato dalla circostanza di trovarsi a ormai oltre i 300 metri sotto il livello del mare, diviene un elemento ostile al visitatore occasionale. Prima di essere in vista dell’area ad amministrazione autonoma della città, che è imprudente visitare con mezzi privati con targa israeliana, una deviazione a est dalla statale, verso il confine giordano, conduce al fiume, in un punto, chiamato anche Qasr el-Yahud («castello degli ebrei» in lingua araba) in ricordo dell’attraversamento del fiume da parte degli israeliti diretti alla Terra promessa dopo l’esodo dall’Egitto.

L’altra sponda del fiume è già territorio giordano e la località è Betania. La tradizione cristiana lo indica come il luogo del battesimo di Gesù, quello di incontro con il cugino Giovanni, figlio del sacerdote Zaccaria. Rimaniamo comunque nelle “immediate adiacenze” della strada principale e quindi nessun problema. In apparenza. Quella deviazione, di un paio di chilometri, attraversa un’area totalmente minata, triste e pericoloso retaggio delle guerre combattute tra Israele e Giordania. Si passa accanto al monastero ortodosso dedicato a san Giovanni, che si trova esattamente in mezzo a quei campi. Dall’ottobre 2018 è tornato ad essere visitabile grazie al completamento delle operazioni di sminamento che hanno creato un varco sufficiente a raggiungerlo in sicurezza. Il monastero risale al periodo bizantino, restaurato dai crociati e ancora semidistrutto da un terremoto e ricostruito. Si trova sull’antica strada che collegava Gerusalemme e Gerico ad altri luoghi biblici oggi in territorio giordano, come il Monte Nebo e Madaba.

Una piccola area sulla riva occidentale del Giordano, anch’essa opportunamente sminata, consente ai pellegrini di bagnarsi nelle sue acque per rinnovare il proprio battesimo, come già è uso fare molto più a nord, a Yardenit, appena sotto il mar di Galilea. Il luogo, quando non si affolla improvvisamente da nutriti gruppi di pellegrini, colpisce per il senso di pace che sa trasmettere.
L’oasi di Gerico rimane sullo sfondo, alle spalle di chi è rivolto al fiume. Una volta vinsi le mie ritrosie e, spinto dai miei compagni di viaggio, in un per me insolito impeto trasgressivo, vi entrai in auto. La polizia palestinese posta all’ingresso della città, invece di fermarci per un controllo, ci fece segno di passare, con cenni di saluto e sorrisi. In città mi sentivo osservato, e lo ero davvero, vista la targa israeliana dell’auto. Ad una sosta dovuta al traffico, all’improvviso la signora seduta sul sedile posteriore, sgusciò fuori dall’auto prima che potessi fermarla e, con tanto di canotta succinta e shorts, sparì dentro un negozio di frutta, seguita dagli sguardi poco rassicuranti degli uomini lì presenti. Prima che potessi allarmarmi, sbucò di nuovo fuori con in mano un sacchetto d’uva. Quella volta i miei timori, (o forse solo i miei pregiudizi?) non trovarono conferme. Ma da allora quando si è diretti in luoghi abitati da arabi o da ebrei ortodossi che, al riguardo dell’abbigliamento, sono perfino più bacchettoni di loro, raccomando sempre a tutti, uomini e donne, di indossare pantaloni lunghi e magliette che coprano le spalle.

L’aria di Gerico è spessa. La temperatura e l’umidità rendono il clima mite d’inverno, ma quasi insopportabile d’estate. La città si visita per vederne i resti archeologici, o andare al monastero delle Tentazioni, edificato tra le grotte di mezza montagna delle alture sovrastanti. Quasi nessuno passa a visitare il palazzo di Hisham. Si tratta di un complesso arabo, risalente all’VIII secolo d.C., voluto da un nipote del califfo Hisham ibn ‘Abd al-Malik.

Rimangono oggi le interessanti rovine, che includono diversi edifici, mosaici, due moschee e molto d’altro, tutto con decorazioni di pregio. Si potrebbe descriverne in dettaglio; qui voglio solo ricordare la caratteristica finestra rotonda della facciata principale, che sarà presa a modello dai crociati per disegnare i rosoni delle chiese gotiche d’Europa. Oltre a ciò, meritano uno sguardo i magnifici mosaici dei quali cito solo quello pavimentale che raffigura un albero, sotto cui, da un lato, un leone attacca un cervo e dall’altro, due cervi pascolano quieti. Probabilmente esso rappresenta il buono ed il cattivo governo, ma questa interpretazione non trova unanimità di consenso. Sono poi stati trovati stucchi, ora conservati a Gerusalemme presso il museo Rockefeller, che mostrano donne seminude, unici nell’arte islamica. Sempre a Gerusalemme sono conservate le tante sontuose decorazioni presenti in tutto il sito.
