Chi è il vero genio? Arthur Schopenhauer ci offre una risposta a questa domanda esistenziale. È molto probabile che sia una risposta che non piaccia alle persone “normali” ma ha il suo fondamento.
La nostra epoca pare fondata sulla mediocrità e sulla negazione del genio; conta l’abilità, il calcolo, la spregiudicatezza, al più conta il talento ma la genialità è una anomalia fuori tempo. Questo stato di cose è il frutto avvelenato del Sessantotto, quel periodo storico-culturale della Fantasia al Potere, della creatività diffusa, dei concerti a Woodstock e della stravaganza fatta musa. Non ci son santi, nonostante i sempre attivi tromboni dei salotti televisivi, la nostra epoca disprezza l’eccellenza pur essendo popolata da schiere di falsi geni, autoproclamatisi tali o eletti per decreto degli amatori da tastiera.
Ma chi è davvero un genio? Cosa contraddistingue un genio? Chiediamo ad un genio vero di parlarcene.

Schopenhauer è restato catalogato, nei nostri ricordi scolatici, come il padre del Pessimismo, parente stretto di Leopardi e di Nietzsche e nemico giurato di Hegel e degli Idealisti.
Con la sua opera, però, il pensatore tedesco aprì la breccia orientale nella mente degli occidentali prendendo a picconate la Storia, la Ragione, la Religione, scuotendo l’albero della Cristianità e insieme quello della razionalità dell’Illuminismo e del Razionalismo. Ancora in vita, vide la propria opera messa al macero, salvo poi, in tarda età, vedersi riconosciuta la sua grandezza e la sia genialità.
Dunque chi è, per Schopenhauer, il genio?

Genio è colui che sa vedere l’assoluto, che sa andare oltre i fenomeni, che sa svelare la Maya, che trascendere la soggettività nella oggettività, che ha il dono della concezione intuitiva, atto imprescindibile per ogni opera d’arte e per ogni pensiero immortale. La Fantasia è il suo strumento, di essa il genio non può fare a meno per trascendere il possibile nel reale. Il genio sa cogliere l’essenza delle cose, sa andare contro natura tendendo di continuo a congiungere intelletto e volontà. Questo fa sì che egli assomigli al folle: non è mai moderato è sempre eccessivo, vive in un perenne stato di esaltazione nervosa e celebrale.
Ma il genio, quello vero, eccede le norme comportamentali, quindi è inutile alla sua epoca. Al più i suoi frutti verranno colti dalle future generazioni, quindi, non servendo al suo tempo, è destinato ad essere incompreso. I normali, apprezzano il talento, difficilmente il genio e questi si trova a vivere in costante discordanza con la sua contemporaneità. È, quindi, destinato alla solitudine, è un essere raro e non gli è facile trovare la compagnia di suoi simili, è un misantropo per necessità. È triste e malinconico e questo già lo dicevano Aristotele e Cicerone cui Goethe fa eco.
Infine il genio è come un bambino, e come tale ha uno sguardo limpido e disinteressato sul mondo. Nel bambino e nel genio manca la serietà arida degli adulti, in loro c’è una vena giocosa di cui le persone comuni sono prive. La genialità originaria del bimbo gli viene però poi sottratta dalla genitalità, cioè dalla pulsione sessuale che essendo il frutto supremo della volontà istintiva è nemica della conoscenza.
Insomma, il genio altri non è se non un bambino, un puer aeternus solitario e malinconico, ma, a differenza del bimbo che tende ad essere egocentrico, il genio è proiettato altre sé, il suo sguardo è volto al cielo, all’immenso, all’infinito ed è visione del cosmo.
