Il mondo piccolo di Giovannino Guareschi


Giovannino Guareschi è noto per il personaggio di Don Camillo, prete cattolico, e Peppone, sindaco comunista, ambientati in un paesino della pianura padana. La sua opera riflette il contrasto tra ideologie politiche e il calore umano, trattato con humor e ironia, diventando un’icona della letteratura italiana del XX secolo.


Era l’Italia, povera e contadina del Dopoguerra; il miracolo economico non c’era ancora e Giovanni Guareschi si mise a scrivere di comunisti e parroci e di quel fervore ideologico sfociato nelle elezioni nazionali dell’aprile 1948 che sancirono la vittoria della Democrazia Cristiana sul Fronte Socialcomunista.

Fernandel e Gino Cervi ne Il compagno don Camillo, regia di Luigi Comencini – 1965

Il sindaco Peppone, corpulento, irruente e baffuto, in perenne diatriba fisica ed ideologica col prete Don Camillo. Questi è tutt’altro che un mite prelato di provincia; è bensì un omone grande e grosso, accanito fumatore di sigari, mani grosse e piedi taglia 45, uomo che non disdegna la forza fisica per risolvere problemi a prima vista irrisolvibili e che parla con Dio raffigurato nel crocefisso dell’altare, rappresentazione della sua coscienza, sempre pronto a rispondergli con assennati consigli (un particolare che irritò molto i cattolici detrattori di Guareschi che sostenevano che quei dialoghi fossero bestemmie).

Giovannino Guareschi

Guareschi nei primi anni ’60 davanti ad una platea di comunisti riuscì a stemperarne l’ostilità dichiarando che in fondo avrebbero dovuto ringraziarlo, perché col suo Peppone (che al cinema aveva preso le fattezze di Gino Cervi, mentre Don Camillo quelle del comico francese Fernandel) li aveva resi simpatici anche agli occhi degli anticomunisti più viscerali. Peppone, infatti, amava i bambini non li mangiava, amava il popolo, le sue genti della “bassa” e nel suo piccolo borgo antico incarnava la bonomia di un borgomastro burbero ma illuminato. 

Giovanni Guareschi è stato davvero il bonario maestro della prima Italia repubblicana; ha saputo restituire al Paese una propria nobiltà popolare, insegnando agli italiani i primi rudimenti della politica nazionale e riuscendo, con una prosa asciutta e senza fronzoli, a stemperare le asprezze di una stagione appena uscita dalla guerra e dalla lotta di liberazione che aveva lacerato la Nazione fin nel profondo e spaccato, con risvolti anche drammatici, la compagine politica tra democristiani e socialcomunisti.

Guareschi fece tutto questo senza essere né comunista né democristiano ma avendo solo una grande passione: l’Italia. Sì, perché il filo conduttore che lega Peppone a Don Camillo ed entrambi a Giovanni Guareschi è la passione per l’Italia; un attaccamento sanguigno e rude capace di fare a cazzotti ma anche pieno di grande generosità e altruismo, cioè di quella solidarietà genuina, come solo il mondo antico e contadino sapeva fare. Guareschi sperimentava anzitempo la distinzione che verrà proposta poi da un papa, Giovanni pure lui, tra “errare ed erranti” che permetteva di combattere il comunismo senza odio verso i comunisti1.

Fernandel, Gino Cervi e Giovannino Guareschi

La biografia di Giovannino Guareschi mette in luce questo suo essere in bilico tra due complesse ere storiche; guardato con sospetto dal regime fascista, passò due anni in campo di concentramento in Polonia per aver diffamato duce e gerarchi ma in prigionia passò per fascista tanto che gli stessi carcerieri lo chiamavano kameraden. Nel 1948 appoggiò Alcide de Gasperi che poi, sentendosi diffamato, lo fece sbattere per quattordici mesi in galera; dove Guareschi rimase, senza proporre appello o chiedere grazia, come era solito dire:

per rimanere liberi, ad un bel momento occorre saper prendere anche la via della prigione.

Pur umanizzando i comunisti, dimostrando con un sorriso che non mangiavano i bambini, fu tra i fondatori (nel 1946 con Giovanni Mosca e Giacinto Mondaini) del settimanale Candido (sul quale il 28 dicembre 1946 apparve il primo racconto di Don Camillo; i racconti vennero poi raccolti nel 1948 nel primo libro della saga: Don Camillo, piccolo mondo). La rivista era fortemente anticomunista, tanto che sulle sue pagine si scrisse il primo libro nero del comunismo.

Giovanni Guareschi era fatto così. Fu un conservatore convinto e profondamente italiano nel carattere e nell’umorismo, incarnava la silenziosa maggioranza degli italiani fatti in casa come i tortellini della nonna. Fu scrittore della realtà, senza essere neorealista, perché questi sofisticavano con l’ideologia la realtà e confondevano spesso realismo con squallore. Lui si limitava a rappresentare la realtà degli uomini della “bassa” nella loro integrità, fatti di carne, sudore e sangue, allegria e pianto, pugni e tenerezza, che adorano il culatello e pregano Dio.

Lo definirono, taluni ancora lo fanno, un qualunquista. Forse Giovannino Guareschi fu il profeta di una destra pre-politica, non partitica, ingenua e semplice come la vita nel piccolo borgo di Brescello.

Se ne andò, tradito dal cuore, nel 1968 quando aveva sessant’anni e la sua Italia non c’era già più, il suo piccolo mondo lo aveva già preceduto. Anche in questo fu profetico; capì che un nuovo corrosivo nemico era alle porte: il consumismo. Come Pasolini si accorse che la contestazione si sarebbe trasformata nella negazione della tradizione, sostituita con un materialismo vuoto, permissivo e corrosivo. Nei suoi ultimi tempi criticò aspramente la generazione dei sessantottini definendola cinica e spietata. Nel 1968 scrisse:

il mondo cambia ma gli uomini dovrebbero restare come Dio li ha fatti.


  1. Marcello Veneziani, Imperdonabili – Ed. Marsilio (pagg. 405-409)