L’uomo ha sempre cercato di superare i propri limiti e scoprire l’ignoto, spinto dalla sete di conoscenza, anche sfidando norme etiche e religiose. Da Odisseo a Kant, passando per Colombo e Galileo, il desiderio di sapere ha guidato il progresso umano. Oggi, il concetto di progresso permea ogni ambito.
Da sempre l’uomo si è domandato quale fosse il senso del proprio essere. Da sempre ha cercato di capire e scoprire il mondo che lo circondava. Il desiderio di conoscere ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita umana, da sempre accompagna l’uomo a raggiungere e di superare i propri limiti. Soprattutto questo voler testardamente “superare i propri limiti” è stato spesso, nel corso dei secoli, considerato un male più che un bene. Ma la sete di conoscenza è da sempre più forte di qualsiasi regola morale, etica ed anche religiosa. Già Aristotele, trecento anni prima di Cristo sosteneva che gli uomini tendono alla conoscenza che è base della filosofia, considerata allora la scienza massima.
Chi per primo espresse compiutamente il rapporto tra Essere e Conoscere fu a metà del ‘700 Immanuel Kant che con la sua gnoseologia (studio della natura della conoscenza) fa della natura umana la base della conoscenza sostenendo che il desiderio di sapere e conoscere è insito nell’intelletto dell’uomo che è riflesso dell’anima.
Non si sbagliava: l’uomo ha da sempre provato a svelare l’ignoto e un esempio tipico, lo si trova nella letteratura occidentale nel personaggio di Odisseo. Nel mondo epico di Omero tutto incentrata su atti di eroismo e valore la figura di Odisseo pare quasi stonata, non si distingue per atti guerrieri come Achille, lui la battaglia se può la sfugge, è un uomo, non un semidio, brama il ritorno ma è consapevole che qualcosa lo spinge a cercare di “andare a vedere cosa c’è oltre”. Ulisse è affascinato dall’ignoto ed è pronto a sfidarlo accettandone i rischi. Proprio per questo Dante nella Commedia ce lo propone accentuandone la superbia e l’ arroganza di volere andare al di là del limite dell’umano per conoscere e far conoscere ciò che solo gli dei possono conoscere:
né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore;
Eccolo, quindi il peccato per cui Ulisse è all’Inferno, non per il suo inganno che perse Troia, ma per la sua intelligenza che per Dante, uomo del medioevo, è dono divino da non usarsi per superbia o vanità. Ma non c’è niente da fare nel corso dei secoli l’amore per il sapere e l’innata curiosità hanno spinto l’uomo al di là delle barriere sociali, etiche, morali ed anche religiose del proprio tempo. Se pensiamo alle scoperte scientifiche ci rendiamo conto che esse sono atti di coraggio ma anche, per dirla con Dante, di grande arroganza. Pensiamo a Cristoforo Colombo che percorre l’oceano senza sapere neppure lui cosa scoprirà o se lo scoprirà; pensiamo a Galileo che in piena riforma tridentina afferma, contro le Scritture, che il sole sta fermo e a muoversi sono la terra e gli altri pianeti. Ed allora risuona ancora la frase che Odisseo rivolge ai suoi compagni:
“O frati”, dissi “che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
Ma non è stato sempre così, nel pensiero antico prevaleva una concezione della storia umana vista come un progressivo allontanamento da una mitica “età dell’oro” nella quale gli uomini vivevano simili a dei lontani da fatica, malattia e vecchiaia. Quindi più che ad un progresso si pensava piuttosto ad un regresso, dovuto alle manchevolezze della natura dell’uomo. Ecco l’Uroboro, simbolo arcaico ed antichissimo della storia ciclica, la via circolare percorsa dall’uomo in un progresso apparente che torna invece sempre all’inizio esattamente come il ciclo naturale delle stagioni. Questa nostalgia per la perduta età aurea la si trova nei poeti greci e latini, in Esiodo (otto secoli prima di Cristo), in Platone (trecento anni prima di Cristo)ed ancora in Ovidio (trecento anni dopo Platone). Fiducia nel progresso è invece espressa il Seneca, egli è consapevole che il sapere posseduto daglio uomini della sua epoca è più grande di quello posseduto in passato e quindi è destinato ad essere superato dal sapere delle future generazioni: “verrà un giorno in cui, i nostri posteri si meraviglieranno che noi ignorassimo cose tanto evidenti”.
L’idea di progresso nasce definitivamente con la concezione ebraica e cristiana della storia, ben presente in Agostino d’Ippona e Bernardo di Chartres, intesa come il procedere lungo i punti di una semiretta che da una iniziale creazione divina procede escatologicamente verso un infinito trascendente. Nell’umanesimo il concetto di progresso ancora non si definisce appieno, ancora si guarda, specie nelle arti, alla classicità del passato come ad un modello insuperabile. Solo alla fine del ‘500 comincia a farsi strada in autori come Giordano Bruno. Le scoperte geografiche, le innovazioni tecniche e tecnologiche del XV e XVI secolo danno modo a filosofi come Bacone, Cartesio, Pascal di iniziare a a concepire il progresso dell’uomo come ineluttabile nella Storia.
Nell’Illuminismo tutto è incentrato sull’idea di ragione e progresso. Voltaire parla di vittoria della civiltà sulla barbarie come del segno del prevalere della ragione sull’irrazionalità, ma avverte le guerre e fanatismo religioso possono far ripiombare l’uomo ad una età oscura, come fu il Medioevo. Fa eccezione Rousseau che auspica, il ritorno dell’uomo allo stato di natura, perché, secondo lui, la smania di progresso ha corrotto l’animo dell’uomo strappandola alla sua primigenia innocenza. Nascono nel secolo dei lumi anche le teorie economiche come quella fisiocratica di Quesnay o la mercantilistica di Colbert, nasce proprio nel ‘700 l’Economia Politica come materia di studio, e Anne Robert Turgot amplierà la concezione di progresso elaborando le sue due fondamentali leggi dell’Economia: ad ogni miglioramento compiuto corrisponde un a accelerazione del progresso; ad ogni stadio del progresso si associa una evoluzione dello spirito umano. È nel pensiero inglese e francese del XIX secolo che il progresso inizia ad essere colto non più come una possibilità per l’uomo ma come una necessità storica: il genere umano tende e tenderà, sempre e comunque, a progredire esclusa pertanto ogni possibilità di arresto o regresso. Tant’è che da lì in poi anche il medioevo comincerà ad essere visto non come età buia dell’umanità ma come un’epoca di sostanziale progresso. Oggi il progresso, sempre e comunque, è diventato la nuova fede laica dell’uomo contemporaneo in ogni ambito: cultura, scienza e istituzioni finendo per invadere anche l’ambito politico dove si sono fatti strada sempre più prepotentemente termini come “progressisti” e il loro contrario “conservatori”, ma in questo caso l’uso è improprio, dettato unicamente da intenti ideologici o polemici, e in questi temini le nozioni originaria di “progresso” e “progredire” vengono snaturata nella insignificanza.
Nelle mie conferenze e nei miei articoli racconto la Storia, ben conscio che tutto quello che racconto è già stato raccontato. Io spero solo di farlo in maniera più semplice mettendo i fatti e i protagonisti sotto una luce più vera, togliendo loro quei severi paramenti sotto cui sono stati, da sempre, paludati dalla dottrina accademica tradizionale. A tanti potrebbe parere una ambizione modesta. A me no. Io mi sento orgoglioso quando riesco ad appassionare alla storia chi mi segue.
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