Pirandello, maestro di umorismo

Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.

Nelle Maschere nude, una raccolta di racconti tanti sono i personaggi inermi, incapaci di opporre resistenza alle frammentazioni dell’identità: e solo sul palcoscenico si riesce finalmente a mostrare le falsità delle convenzioni, i giochi di ruolo, l’incomunicabilità che mina ogni relazione umana

l'identità della maschera,
la finzione dell'uomo come personaggio,
il tentativo di fuggire dal mondo,
la sconfitta finale,
il rifiuto del mondo che si voleva rifiutare

Questi i temi principali che caratterizzano la scrittura di Pirandello.

La sua visione del mondo è vitalistica: la realtà è un flusso continuo indistinto, come lo scorrere di un magma vulcanico e tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume una forma distinta, si irrigidisce, comincia a morire, così l’identità dell’uomo.

Io sono figlio del caos, e non allegoricamente ma in questa realtà, perchè sono nato in una nostra terra che trovasi presso un intricato bosco denominato in forma dialettale, Cavaru dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”.

In Pensaci Giacomino, commedia in 3 atti, emergono l’incapacità dello Stato, i paradossi esistenziali dell’individuo (doppi ruoli, crisi d’identità), i dilemmi che scaturiscono dalle sanzioni da parte della società.

Si narra di una giovane messa incinta da un giovane introdottosi furtivamente in una scuola, sposatasi, per tacitare le malelingue con un vecchio professore, Toti, che si scaglia contro lo stato che lascia i giovani senza lavoro e pertanto capaci di fare gli scherzi, e che, alla fine, obbligherà il giovane a rimanere a fianco di sua moglie in un ménage à trois.

L’uomo dal fiore in bocca, atto unico scritto nel 1923, è l’esempio di dramma borghese nel quale convergono i temi dell’incomunicabilità e della relatività della realtà.

La vita non ha valore in sé ma quando l’individuo, sulla strada della morte la osserva, anche i gesti quotidiani acquistano un valore vitale.

È un monologo di un uomo, consapevole di morire, con un altro incontrato per caso e con questi medita sulla vita:

Venga… le faccio vedere una cosa… vede che bel tubero violaceo?… un nome dolcissimo… più dolce di una caramella: epitelioma… La morte è passata m’ha ficcato questo fiore in bocca e m’ha detto ”Tientelo, caro, ripasserò fra 8 o 10 mesi.

Si confida con uno sconosciuto perché lo fa sentire libero d’immaginare e di affermare la sua illusoria volontà di vivere mentre i conoscenti gli ricordano il passato, i ricordi, la vita stessa da cui vuole staccarsi.

Nel finale rivela, nella tragicità del momento, anche umorismo quando l’altro raccoglie dei fili d’erba

ne conti i fili per me.. quanti fili saranno tanti giorni io vivrò. Ma lo scelga bello grosso mi raccomando”!

Hai mai pensato di andare via e non tornare mai più? Scappare e far perdere ogni traccia, per andare in un posto lontano e ricominciare a vivere, vivere una vita nuova, solo tua, vivere davvero? Ci hai mai pensato?

Il fu Mattia Pascal, uomo frustrato, creduto morto per essersi allontanato senza dare notizie di sé, si inventa una nuova vita e un nuovo nome ma si accorge di non avere identità, torna indietro ma tutto è cambiato e di tanto  in tanto torna al cimitero per leggere la sua epigrafe.

Pertanto non ci si può escludere dal gioco della vita e che è necessario recitare ogni giorno la parte se non si vuol cadere in una solitudine senza speranza e conforto.

Fuori della legge e fuori di quelle particolarità. Lieti o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, caro signor Pascal, non è possibile vivere… Mattia Pascal: non sono affatto rientrato né nella legge né nelle mie particolarità: Mia moglie è moglie di Pomino e io non saprei proprio ch’io mi sia.

Uno nessuno centomila (1909) uscito solo nel 1925. Il protagonista Vitangelo Moscarda è un personaggio tra i più complessi, sicuramente quello con maggiore autoconsapevolezza.

Quasi un monologo, all’inizio è inconsapevole e impacciato, prigioniero delle opinioni altrui poi sempre più consapevole e determinato a cercare l’autenticità spirituale dell’esistenza fino all’affrancamento finale da “tutte le rabbie del mondo”.

In questo scenario trova spazio l’umorismo come modalità di racconto ideale per esprimere la non coincidenza tra l’io percepito dal soggetto e quello interpretato dagli altri.

Dal naso che pende a destra

a detta della moglie, nasce il dubbio: egli si rende conto di non essere lo stesso Moscarda percepito dagli altri che vedono e dialogano con lui che di volta in volta plasmano a seconda delle proprie percezioni, i ricchi, avendo lui ereditato una banca, lo considerano un usuraio.

È il momento di liberarsi di sé, della moglie e dei suoi averi che lascia a una coppia che da una vita povera passa a una agiata.

In seguito ad uno strano incidente con la rivoltella deve stare a riposo e la convalescenza è una vera e propria rinascita al mondo della luce, lontano da “tutte le rabbie del mondo”.

Vestito con un camiciotto turchino e un berretto sembra un angelo.

Una realtà non ci è data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. L’uomo accetta la maschera che lui stesso ha messo o con cui gli altri tendono ad identificarlo,

soltanto uno riesce a liberarsi della maschera “O folle” ne Il berretto a sonagli.

La vita non conclude: e non sa di nomi, la vita. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.

Moscarda ha sempre ritenuto essere Uno per sé e per gli altri e che a partire dalla scoperta del difetto fisico intuisce che sono centomila i Moscarda prodotti dallo sguardo degli altri.

Conclude che non è nessuno di quegli ingannevoli sguardi “fabbricati“ dagli sguardi degli altri.

Nei Sei personaggi in cerca d’autore Pirandello utilizza il metateatro, teatro nel teatro, per cui durante la rappresentazione i personaggi mettono in scena una seconda rappresentazione all’interno della prima, evidenziando la natura illusoria dell’intera rappresentazione.

I sei personaggi non hanno un ruolo e ognuno rappresenta il proprio dramma con l’angoscia delle colpe, pur desiderando una vita autentica.

L’UMORISMO è un saggio del 1908.

Pirandello distingue il comico dall’umorismo, definito come “avvertimento” del contrario e nasce dal contrasto tra l’apparenza e la realtà.

Vedo una vecchia signora, con i capelli ritinti, tutti unti… goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. “Avverto” che quella signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un “avvertimento del contrario.

L’umorismo nasce da una considerazione meno superficiale.

Ma se interviene in me la riflessione e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forte piacere a pararsi come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché s’inganna che, nascondendo le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito più giovane di lei, ecco perché non posso riderne… attraverso la riflessione dal primo avvertimento del contrario passo al sentimento del contrario.

L’umorismo accade quando l’intelligenza ci fa cogliere il risvolto amaro di una situazione comica (cui segue la compassione per gli sventurati e infelici) e svela le contraddizioni che caratterizzano l’esistenza.

L’universo è dominato dal caso, l’uomo stesso è una realtà che muta in ogni situazione e ognuno possiede una verità soggettiva e non può fornire nessuna visione oggettiva del reale, Uno nessuno centomila: la persona aspira a una propria identità, è invece centomila perchè l’identità è in continuo mutamento pertanto l’uomo è costretto a indossare delle maschere che coincidono con il continuo fluire della vita.

Illusorietà
assurdità della realtà
dissolvimento dell'io
solitudine
incomunicabilità

L’umorismo è la capacità di cogliere il lato divertente delle cose anche quando a prima vista pare che non ci sia niente da ridere.

Implica una grande dose di ironia e di autoironia che può divenire offensiva verso una persona mettendola in ridicolo e si trasforma in sarcasmo.

L’umorismo non solo ha un che di liberatorio come il motto di spirito (Freud nel motto di spirito vede una riduzione delle inibizioni che consente di liberare le tensioni psichiche) e la comicità ma anche un che di grandioso e di nobilitante.

E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose che sono dentro di me, mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e col valore che hanno per sé del mondo che egli ha dentro?

Si ride, si sorride con amarezza nelle vicende de La patente  del 1911, un paradosso grottesco: scissione dell’io che per esistere è costretto ad assumere la maschera che gli altri proiettano su di lui.

Rosario Chiachiaro un impiegato del monte dei pegni viene licenziato perchè ritenuto uno iettatore e denuncia due giovani che hanno fatto le corna al suo passaggio.

È senza lavoro, non può far sposare le figlie, segregate in casa.

È una situazione intrisa dell’umorismo pirandelliano e dell’amaro pessimismo esistenziale, situazione che si complica in tribunale in quanto vestito tutto di nero da menagramo reclama una “patente”: la sua analisi è lucida e spietata; se il mondo gli ha imposto una maschera tanto vale accettare questa parte fine a ricavarne un tornaconto economico.

Tutti, tutti ci credo. E ci son tante case da gioco in questo paese! Basterà che io mi presenti: non ci sarà bisogno di dire nulla! Mi pagheranno per farmi andare via! Mi metterò a ronzare intorno a tutte le fabbriche, mi pianterò davanti a tutte le botteghe e tutti, tutti mi pagheranno la tassa, lei dice dell’ignoranza? Io dico della salute!
Perché signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio contro tutta questa schifosa umanità che veramente credo d’avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta un’intera città.

La giara del 1917: una situazione paradossale al limite del grottesco, focalizzazione su personaggi caratterizzati da fissazioni maniacali e il ricorso a una soluzione “umoristica” per sciogliere le intricate vicende narrate.

Don Lollò, ricco e ossessionato dal possesso, vive di diffidenza verso gli altri perché pensa che gli rubino la “roba”. Denuncia tutti e il legale si arricchisce grazie alle sue nevrosi.

Acquista una giara ma arriva rotta, chiama Zì Dima obbligandolo a usare oltre al collante anche a una saldatura di ferro.

Zì Dima resta intrappolato nella giara e per uscirne la deve rompere,  Don Lollò vuole essere risarcito ma Zì Dima furbescamente ribatte che lui sta benissimo e che la colpa è della saldatura.

Arrabbiatissimo Don Lollò con un calcio la rompe e rimane così senza giara e senza risarcimento.

E in conclusione come non definire pura poesia il finale di Ciaula scopre la luna?

Restò sbalordito… aprì le mani nere in quella chiarità d’argento.
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la luna…
Estatico, cadde a sedere… eccola eccola là la luna… C’era la luna! La luna!
E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo.
La luna col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva  più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.