L’educazione di un giovane rampollo della piccola nobiltà di campagna

Per i ragazzi di famiglie nobili, ma meno influenti o danarose, come quelle che avevano i loro feudi in zone rurali, l’educazione formale si concretizzava spesso nell’inserimento precoce nelle file dell’esercito, con un grado che doveva essere acquistato, e perciò dipendeva dalle condizioni della famiglia. Il gran tour era per questi giovani un sogno, che alcuni di loro realizzavano in età adulta, a proprie spese e secondo i propri interessi personali. Il Conte von Saltza ci racconta la sua esperienza in un’autobiografia stesa in tarda età.

Sono nato a Åsakatorp, nel Vestergötland, il 15 maggio 1775, e – secondo quanto è scritto nel registro antico – ricevetti il battesimo e la benedizione della Croce nella chiesa di Åsaka, dove a tempo debito rinunciai a Satana e alle sue opere, cosa questa che è ora caduta in disuso, il che ben si vede nella malvagità dei tempi odierni. I miei genitori furono il Cameriere di Corte R.S.O. Carl Fredrik von Saltza, e mia madre Anna Catharina Dankvardt Liljeström. Avevo ricevuto un grande dono, e cioè una memoria tanto prodigiosa che già a tre anni conoscevo a memoria il riassunto delle storie Bibliche, e l’elenco della successione dei Re di Svezia. A sette anni mi fu dato un precettore, e nel corso di un anno feci tali progressi in latino, che potei leggere per un amico di mio padre, l’onorevolissimo Barone Schultz von Ascheraden di Stralsund, molti capitoli di Cornelio Nepote. Egli consigliò vivamente mio padre di farmi educare nelle scienze così che diventassi Professore, ma le condizioni economiche dei miei genitori non lo permettevano. Non avevo alcuna difficoltà a imparare qualsiasi materia, perché per me leggere un libro e saperlo a memoria erano quasi la stessa cosa, perciò ottenni sempre i voti più alti quando ero esaminato. Il mio precettore m’insegnò anche le lingue orientali, che io appresi come in un gioco, divertendomi, anche se ritenevo che non ne avrei mai tratto alcun profitto.
A quei tempi, si diventava ufficiali già nella culla. Anch’io cominciai presto, come tutti, e divenni caporale di Cavalleria. Nel dicembre 1788 [a tredici anni] sarei dovuto diventare portabandiera del reggimento di Elfsburg, per la qual carica i miei genitori pagarono 1.000 piastre.  Questo non era però ciò che io desideravo. Era per me una degradazione passare dalla cavalleria alla fanteria, ed ero veramente deluso di tale risoluzione. Mio fratello Herman Hugo era allievo timoniere in Marina, e studiava l’arte della navigazione allo scopo di diventare un marinaio. Durante una malattia che m’inchiodò al letto per diverse settimane, mi accordai con mio fratello che sarebbe diventato lui alfiere al mio posto, ed io mio sarei liberato di quell’incarico sgradito. Mio padre non vide la cosa di buon occhio, ma alla fine, convinto dalle nostre preghiere, si recò dal Generale Hugo Hamilton, che allora abitava nell’alloggio del Capitano Örsten, e quando i due anziani signori ebbero discusso la cosa, fu deciso che mio fratello sarebbe diventato alfiere al posto mio, e tre mesi più tardi dovette seguire il reggimento in Finlandia [per la guerra contro i Russi, 1788-1790, durante la quale perse la vita]. Capitò a me quello che avvenne a Sua Eccellenza Wachtmeister: entrambi avevamo in un certo senso ricevuto un incarico, ma lui non divenne mai Ministro della Giustizia, io mai divenni Alfiere.
L’inattività fisica è sempre stata intollerabile, per me. A dieci anni ottenni da mio padre il permesso di avviare una coltivazione nella marcita di Kroke, che era così umida che non riusciva a tener su nemmeno una cornacchia. Nel mio tempo libero, e con l’aiuto del figlio del contadino, cominciai a drenare e scavare; e così a quattordici anni già raccoglievo segale e patate in quel terreno che fino a poco tempo prima era stato del tutto infruttuoso. Un mio parente, il Conte Sparre, quando ebbi circa sedici anni mi prestò 2.000 talleri Svedesi; io li usai per impiantare una salina nell’arcipelago di Götheborg. In quel tempo la pesca delle aringhe cominciava a settembre e terminava a Natale. Trascorrevo il resto dell’inverno a Stoccolma per studiare chimica e geologia. In primavera e in estate continuai i miei studi, e a diciannove anni avevo acquisito una tale mole di nozioni, che mio padre pensò che fosse tempo di farle rendere, in qualche modo. Avevo sperato di ottenere un impiego civile, ma ciò fu impedito dall’irregolarità dei miei periodi di studio. Tornai a dedicarmi alle mie faccende con la salatura del pesce, costruii un secondo impianto di cottura del pescato, divenni delegato di un paio di manifatture per la conservazione delle aringhe, lavorai con le mie mani il pesce e trovai il modo di migliorare metodi antichi e di cattiva qualità, che erano stati utilizzati fino allora. Continuavo, però, a desiderare un’attività più importante. Grazie ai miei guadagni con la salatura, fui in grado di intraprendere un viaggio all’estero. Visitai la Danimarca,una parte della Germania, la Lettonia, l’Estonia e una parte della Russia e della Finlandia. Interessato a tutto, visitai fabbriche e manifatture e imparai a riprodurre con le mie mani ciò che vedevo. Al mio ritorno in patria fondai fabbriche diverse, che condussi con ottimi profitti. Avevo inoltre fatto la conoscenza di un mercante Tedesco che, senza pretendere nessuna garanzia, mi diede una somma rilevante, che investii per molti anni senza dover pagare nessuna rendita, e senza che mi fosse chiesto di restituire il capitale, finché, libri contabili alla mano, non potei dimostrare che avevo la piena possibilità di pagare l’intera somma. Egli allora mi mostrò i suoi libri contabili, dai quali risultava che egli già molti anni prima aveva stralciato una somma uguale a quella che avevo ricevuto e l’aveva devoluta ai bisognosi, a mio nome.Durante la mia visita a San Pietroburgo il Generale Kutusoff mi fece questa curiosa domanda, “quali fossero i miei interessi nel territorio dell’Impero”. Io esitai a rispondere, ed egli mi sollecitò affabilmente, dicendo che secondo lo Zar Paolo Ukas si dovrebbe sempre dichiarare per quali interessi si arriva. Allora risposi che era mio interesse reclamare la mia eredità di famiglia, Retusari [antico nome di San Pietroburgo, quando ancora era un villaggio di pescatori]. Mi chiese se sapevo cos’era Retusari, io risposi che i Russi lo chiamavano Pietroburgo, e che era stato un sito di pesca appartenuto a mio nonno all’interno dei suoi beni di Peinkull. Sorridendo mi rispose: “La vostra rivendicazione mi sembra essere legittima, ma dovete pagare i miglioramenti.” Risposi senza esitare che, se fossi stato un potente monarca, avrei pagato con moneta Russa, così come i Russi avevano pagato per il possesso dell’Estonia e dell’Ingermanland. Mi chiese se desideravo che egli riferisse la mia risposta allo zar, cosa che approvai. Lo zar non la prese a male, e promise di darmi un possedimento in Polonia, che naturalmente non ricevetti mai.

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