Anche la basilica della Natività, culla della Cristianità, come tanti altri siti sacri di questo mondo tanto affascinante quanto tormentato, fu teatro di un episodio di violenza.
Nella primavera del 2002, durante i mesi della seconda Intifada, l’esercito israeliano la pose sotto assedio, nel tentativo di catturare dei militanti palestinesi che vi si erano rifugiati a decine, in quanto ricercati per atti violenti contro cittadini israeliani. Uno di essi, già ferito, non sopravvisse. Insieme ad essi vi rimasero bloccati anche quaranta religiosi cristiani, oltre a diversi palestinesi che si trovavano in quel sito per diversi motivi. Dopo un assedio durato trentanove giorni, grazie anche all’instancabile opera di mediazione dell’egiziano Ibrahim Faltas, frate francescano della Custodia di Terra Santa, fu infine raggiunto un accordo che prevedeva l’esilio dei ricercati, inviati o nella Striscia di Gaza o in Paesi europei, tra cui l’Italia, disposti ad ospitarli. Durante quelle settimane d’assedio, dalla basilica furono trafugati icone, candelabri, candele e libri antichi, solo in parte ritrovati o restituiti. Lo stato della basilica era penoso, con muri anneriti dai fuochi accesi all’interno per scaldarsi o cucinare, dappertutto sporcizia, disordine e devastazione. Fu probabilmente a seguito di ciò che le autorità religiose si risolsero a dare il via ad una serie di interventi di restauro e di manutenzione straordinaria e, potesse almeno essere di consolazione, ora quella basilica è tornata ad essere davvero architettonicamente e storicamente un monumento prezioso.
Su Manger Square, dove la Basilica della Natività ha il suo angusto ingresso principale, si affaccia l’unica Moschea del centro città, costruita nel 1860. In uno stile architettonico che ricorda quello mamelucco, è dedicata al califfo Omar ed è inaccessibile ai non musulmani. È una elegante costruzione in pietra bianca e il suo altrettanto bel minareto svetta su tutta la piazza. Nel centro cittadino si vedono alcune chiese appartenenti a diverse confessioni cristiane. Ma di moschee non se ne vedono altre. Eppure, la maggioranza della popolazione è composta da arabi musulmani. Una spiegazione di questa apparente stranezza è che, fino ad una cinquantina d’anni fa era la componente cristiana a costituire i due terzi dei cittadini di Betlemme. Forse per tale ragione nella sua piazza principale si trova quell’unica moschea. Attorno alla piazza e nelle viuzze ad essa limitrofe si possono trovare diversi chioschi e piccoli ristorantini che tuttavia offrono per lo più sempre gli stessi piatti: pitta, il tipico pane a forma di focaccia; falafel, polpettine a base di ceci e altre verdure; hummus, una purea sempre di ceci e semi di sesamo, e verdure condite con tahina, una salsa a base di sesamo. Una volta il titolare di uno di essi, un signore dall’aria bonaria più o meno mio coetaneo, al momento di pagare il conto mi domandò: secondo te quanto hai speso? Basandomi sui prezzi di Gerusalemme, buttai là, un po’ dubbioso, un importo. Un largo sorriso di approvazione e una manata sulla spalla mi confermarono, con il senno del poi, che avrei potuto stare anche più basso, poiché a Gerusalemme tutto è più caro.

Fuori città, a pochi chilometri di distanza, una meta di interesse per gli amanti della storia e dell’archeologia è quella strana collina a forma di tronco di cono che, procedendo verso sud est da Betlemme, si staglia contro il cielo, molto ben visibile già da lontano. Incuriosisce e, un po’, inquieta, poiché ha una forma davvero aliena rispetto al circostante paesaggio di morbide colline. Si tratta in effetti di opera dell’uomo. È una delle tante costruzioni volute da Erode il Grande. L’Herodion, così è conosciuto quel palazzo-fortezza circolare, è in parte immerso nel sottosuolo, mentre il resto si ergeva a dominare tutta la Giudea. Era una delle residenze del re e, su di un suo lato, vi era il suo monumento sepolcrale. Pochi anni or sono, nel 2007, fu ritrovato quello che si ritiene essere il sarcofago di Erode. Era stato fatto a pezzi dopo la sua morte, tanto era l’odio che quel re continuava a suscitare contro di lui. Merita una visita, sia per comprendere di cosa poteva essere capace un ambizioso regnante dell’antichità, sia per l’originalità della struttura, che per gli intonaci rigorosamente pompeiani di alcuni ambienti appena restaurati. Sia per la sua storia, anch’essa segnata da battaglie e da sangue.


Sulla strada del ritorno, non ci si può dimenticare poiché ci penserà di certo il taxista a ricordarlo, di fare una sosta a Beit-Sahour, dove si trova una meta fissa per i pellegrini cristiani: il “Campo dei Pastori”, con il santuario di “Gloria in Excelsis Deo”. Costruito nel 1953 su progetto dell’architetto italiano Antonio Barluzzi (che, come vedremo sarà l’artefice di diversi altri edifici religiosi di Terra Santa), è nei pressi delle rovine di un precedente monastero del V secolo. Questo luogo ha un valore squisitamente devozionale, poiché è qui che, secondo il racconto evangelico, è stata per la prima volta annunciata dagli angeli ai pastori, la nascita del Messia.
Un altro sito evocativo si trova a sud di Betlemme. Un errore di valutazione mi fece credere di poterci arrivare facilmente con una breve passeggiata. Dopo più di un’ora di cammino e diverse richieste di indicazioni fatte a persone un po’ stupite nel vederci determinati a raggiungerle a piedi, arrivammo infine alle “Piscine di Salomone”. Ne avevo solo letto qualcosa e mi incuriosiva andare a vedere. Si tratta di tre enormi cisterne fatte costruire dai Romani nel I secolo d.C. per raccogliere l’acqua da canalizzare verso Gerusalemme. Acqua, poca, e canalizzazioni ci sono ancora. La brutta sorpresa è stata la condizione di degrado in cui si trovavano e nell’enorme quantità di rifiuti che le circondavano. Erano rifiuti tipici dei pic-nic. L’area è davvero gradevole, un angolo di montagna svizzera, con quel bosco di conifere di cui le cisterne sono circondate. È plausibile che folle di famiglie si riversino là per le loro scampagnate e lascino, sparso tutt’intorno, i loro ricordi, che poi, sembrerebbe di poter dire a giudicare dalla loro quantità, nessuno mai raccoglie. Ma perché quel nome “di Salomone”? Perché tradizione vuole che quel saggio re usasse trasferirsi lì, da Gerusalemme, a cercare un po’ di frescura nei mesi estivi. L’ambiente doveva essere, come tuttora è, talmente gradevole da avergli ispirato, sempre secondo tradizione, il “Cantico dei Cantici”. Nel 1618, il sultano ottomano Uthman Khan fece costruire vicino al sito una fortezza, il castello di Murad, per proteggere la preziosa acqua delle piscine. Oggi, ristrutturata, è stata in parte adibita a museo di storia ottomana. Accanto ad essa l’Autorità Nazionale Palestinese ha poi fatto edificare un enorme centro congressuale e alberghiero. Nuovo, magnifico e… totalmente deserto e abbandonato.

interessantissimo articolo. Ho già avuto il piacere di partecipare ad un convegno in merito”
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Grazie! posso chiederle a quale convegno, o a quale argomento si riferisce?
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Incantevole e inaspettato. Mi piacerebbe una visita così, fuori dagli schemi.
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Mai dire mai, signora Cattaneo!
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