Tratto da una fiaba di Hans Christian Andersen
C’era una foresta lontana un grazioso abete. Dove erano piantate le sue radici, il sole riscaldava i rami e il vento solleticava le foglie, eppure l’abete era infelice.
Guardava gli alberi attorno a lui e si disperava. “Oh, come vorrei essere alto come loro!” diceva ammirando i pini e gli altri abeti più vecchi.
In primavera i bambini arrivarono dal paese vicino e si sedevano sul prato per giocare nella sua ombra ma neppure questo bastava a farlo sentire meglio.
Ogni anno diventava un po’ più grande ma non era abbastanza. Continuava a lamentarsi, perché anche gli altri alberi del bosco crescevano. I loro rami erano più lunghi e le loro cime sembravano toccare il cielo. Era invidioso, che non gioiva per gli uccelli che venivano a fare il nido tra i suoi rami, né per scoiattoli che si arrampicavano sul suo tronco.
Come ogni autunno, arrivarono nel bosco i taglialegna. Erano uomini grandi e forti, che parlavano poco e lavoravano duramente. Scrutarono gli alberi, scegliendo i più grandi.
Lavorarono tutto il giorno senza mai fermarsi e con le loro asce affilate tagliarono i tronchi. Il giovane abete osservò i grossi pini cadere a terra con uno schianto che riecheggiò per tutta la foresta e pensò con ammirazione che erano davvero maestosi. “Oh, se potessi essere scelto anch’io dagli uomini, un giorno, come i più nobili alberi del bosco!” disse sospirando.
I falegnami caricarono i tronchi sui loro carretti trainati dai cavalli, impilandoli l’uno sull’altro. Era ormai il tramonto quando finirono il lavoro e si avviarono verso il paese, fuori dalla foresta. L’abete li osservò sparire lontano, immaginandosi quale magnifico destino sarebbe toccato a quegli abeti. Continuò a fantasticare fino alla primavera, quando i suoi rami si popolarono nuovamente di uccelli.
“Tu che hai viaggiato, sai dirmi dove sono ora gli alberi tagliati dagli uomini?” domandò allora a una rondine. La rondine non lo sapeva ma la sua amica cicogna aveva visitato Paesi lontani e conosceva molte cose. “Quando ho volato fino all’Egitto ho visto navi enormi solcare i mari e ogni vascello aveva un enorme albero al centro, addobbato con grandi vele bianche” disse.
“Come vorrei essere anch’io su una nave e andare per mare” si disperò l’abete.
“Faresti meglio a essere felice per quello che hai” gli consigliò la cicogna.
L’abete non ascoltò il consiglio.
Arrivò l’inverno e prese a nevicare. Nel bosco tornarono gli uomini con le asce e scelsero i pini più belli. Li abbatterono e se li portarono via. L’albero desiderava essere al loro posto. In fondo, gli alberi scelti erano più piccoli di lui!
“Dove vanno?” chiese ai passeri.
“Li abbiamo visti sbirciando nelle finestre delle case! Gli alberi vengono sistemati al centro della stanza e gli uomini li adornavano con oggetti luccicanti e preziosi. Appendono ai loro rami frutta e giocattoli e tutti sembrano felici.”
L’abete ascoltava, incredulo. Quando erano fortunati quegli alberi scelti dagli uomini? Persino più fortunati rispetto agli alberi che navigavano per i mari!
Passò l’estate, passò l’autunno e arrivò l’inverno.
L’abete era grande e orgoglioso, di un bellissimo verde scuro, Tornò a scendere la neve dal cielo e tornarono gli uomini del paese, con le loro asce. Questa volta, l’abete infelice fu il primo che scelsero. La lama affilata si piantò nel suo tronco e lui cadde a terra. In un attimo tutti i suoi sogni scomparvero: non si sentiva affatto felice, sdraiato a terra. Fu caricato sul carro trainato dai cavalli e subito capì che non avrebbe mai più rivisto la foresta. Mentre si allontanava verso il paese, osservò per l’ultima volta i suoi amici alberi, gli uccelli che avevano fatto il nido tra le sue foglie, gli scoiattoli. I suoi rami più alti non avrebbero più giocato a toccare le nuvole in cielo. Si sentì triste come mai prima d’allora.
Il viaggio fu lungo e scomodo, l’albero venne sballottato fino a un grosso cortile dove stavano altri abeti come lui. Avevano tutti un’aria triste e sconsolata e nessuno sapeva quale sarebbe stato il loro destino. L’abete restò lì, immobile per la paura, finché non arrivò un bambino che lo indicò. “Questo è il più bello” disse.
La mamma e il papà allora tirarono fuori dalle tasche delle monete luccicanti e due uomini arrivarono a prendere l’albero. Lo sollevarono, lo caricarono di nuovo sul carretto e lo portarono in una grande casa. I domestici lo sistemarono in salotto. C’erano quadri, libri, poltrone e un tavolo di legno: l’albero non aveva mai visto nulla del genere, nella foresta. Quando, poi, un gruppo di bambini arrivò e appese ai suoi rami frutta, dolcetti e caramelle, l’abete cominciò a tremare di paura.
Al calare della sera, l’albero sentiva i rami stanchi per tutto quel peso. Sperava di poter riposare, invece arrivò una cameriera e sistemò tra le foglie delle piccole candele. L’abete aveva il terrore del fuoco ma non poteva che restare fermo immobile. Quando anche l’ultima candelina fu accesa, arrivò in salotto la famiglia. I bambini corsero vero di lui e l’abete tremò per l’emozione, tanto che alcune sue foglie rischiarono di prendere fuoco.
Nella stanza si cantarono canzoni natalizie e la tavola venne apparecchiata e imbandita con tante cose buone da mangiare. L’abete si sentì orgoglioso di esser al centro di quella bella festa e cercò di non farsi prendere dal panico quando ai bambini venne data l’autorizzazione a prendere dai suoi rami i dolci.
I piccoli si precipitarono, così, verso l’abete, impazienti di impossessarsi dei regali. Ridevano e scherzavano tra loro, e per poco i rami non si spezzarono sotto la presa delle loro mani. L’albero faticò non poco a tenersi in equilibrio e pensò che fuori dalla foresta la vita poteva essere davvero difficile. Quando i bimbi ebbero infilato in bocca anche l’ultima caramella, chiesero con entusiasmo all’anziano nonno che raccontasse loro una fiaba. Allora sedettero tutti attorno all’abete e ascoltarono la storia di un principe che riuscì a realizzare il suo sogno e a sposare la principessa di cui era innamorato, trovando la felicità. I bambini avrebbero voluto sentire un’altra storia ma la mamma fu inflessibile: la festa era finita, bisognava andare a dormire. Quando si spensero le luci del salotto, l’albero si promise che la sera seguente sarebbe stata diversa: “Quando mi addobberanno non avrò paura, mi godrò la festa e ascolterò un’altra storia!”.
Quando la mattina dopo arrivò la cameriera, l’abete si aspettava che nuove candele venissero accese tra i suoi rami e che la festa ricominciasse. Invece i domestici lo trascinarono fuori dal salotto, su per la scala di casa fino alla soffitta, dove lo lasciarono disteso a terra in un angolo buio e impolverato. Restò solo, per giorni interi, come dimenticato.
“Mi tengono al sicuro in attesa di riportarmi nel bosco, quando tornerà la primavera” si disse l’abete, fiducioso. Oh, come gli mancava la sua foresta!
Un giorno un topolino spuntò da un buco tra le assi del tetto.
“Da dove vieni=” chiese all’abete.
Quello raccontò del luogo dove era nato e cresciuto, degli uccelli e del vento che muoveva i suoi rami. “Devi essere stato molto felice” commentò il topolino, dopo averlo ascoltato in silenzio.
L’abete non rispose, vergognandosi.
Il topolino tornò per ascoltare le storie dell’albero portando con sé tutti i suoi amici. L’abete descrisse la casa addobbata a festa e le candele sistemate tra i suoi rami.
“Chissà com’eri felice!” dissero ancora i topolini, sospirando. No, lui sapeva che non aveva gioito. “Erano belli ma io l’ho capito troppo tardi”, si disse. “Ma quando tornerà la festa saprò apprezzarlo! E, se mi riporteranno nella foresta, non sarò mai più invidioso degli altri alberi” promise.
Dopo qualche giorno, l’abete non aveva più nessuna storia nuova da raccontare e i topolini non tornarono più a fargli compagnia. Allora capì quanto preziosa fosse stata la loro presenza.
Arrivarono i domestici e lo trascinarono giù dalle scale, fino al cortile di casa.
“Finalmente!” disse l’albero felice.
Scoprì che era tornata la primavera, che la neve si era sciolta, i fiori erano sbocciati e le rondini erano tornate a svolazzare in cielo.
“Che meraviglia!” disse.
Poi si accorse che i suoi rami erano secchi e le sue foglie erano diventate gialle. Pensò ai momenti felici che aveva vissuto senza rendersene conto. Ormai era tutto passato. Arrivò un ragazzo e con un’accetta tagliò il tronco in pezzi. Il vecchio abete finì in cucina. A ogni ciocco che veniva bruciato nella stufa, ricordava i momenti felici: la giovinezza nel bosco, la sera di Natale quando la famiglia si era stretta attorno a lui per festeggiare, le giornate trascorse a raccontare storie ai topolini e si sentì, finalmente, davvero felice.