Stessa località, stesso albergo, stessi amici come ormai da trent’anni. A nulla sono valse le mie rimostranze e, come sempre, abbiamo intrapreso il lungo viaggio nel silenzio con i musi lunghi.
Federico, indossati camicia e pantaloni mimetici, si allaccia gli scarponi e si avvia all’uscita della camera. Sulla porta, con un tono che esclude contraddizioni, esclama:
«Prendo la macchina!»
«E no mio caro, serve a me!» Spruzzo due gocce di profumo sui polsi, afferro al volo la borsetta e lo raggiungo.
«Ma io sono d’accordo con Paolo di trovarci in valle per una camminata nel bosco.» brontola precedendomi lungo le scale.
«E io devo andare in centro, ho appuntamento con il parrucchiere!»
Ci fermiamo al bar dell’albergo dove siamo ospiti, e ordina due caffè che beviamo al banco in silenzio.
Usciamo, ci avviciniamo all’auto e lo anticipo mettendomi alla guida.
«Ti lascio dove siete d’accordo di trovarvi, quando torno fatti trovare allo stesso posto.»
Scende e sbatte la portiera.
Mi avvio lungo la stretta strada di montagna.
Arrivata a destinazione parcheggio alle porte del centro. Cammino piano sul ponte di legno che congiunge le rive del fiume Rienza e osservo il bel corso d’acqua impetuoso. Supero la porta d’accesso delle Orsoline e mi immergo nell’accogliente centro storico dall’atmosfera medievale.
Mi fermo in piazzetta al “Cafè Wörtz Bäck e siedo al tavolino all’aperto. Nell’attesa del cameriere, al quale ho ordinato la prima colazione, mi rilasso appoggiata allo schienale.
Sono affascinata dalle belle case che ho di fronte, decorate da affreschi, ornate da elaborate insegne in ferro battuto e movimentate da bovindi. I balconi a tavole sagomate sono in legno di abete o larice di alta qualità artigianale, traboccano di cascate di petunie inframezzate da piantine di tagete giallo arancione che emanano un penetrante profumo che aspiro ad occhi chiusi. Mi lascio cullare dalla musica dell’acqua che sgorga nella piccola fontana quadrata e dal cinguettio dei passerotti che si abbeverano dopo aver piluccato le briciole sotto i tavolini.
«Prego, signora.» con un mezzo inchino il cameriere appoggia il vassoio sul tavolino.
«Grazie, molto gentile.» rispondo al cameriere.
A spezzare l’incantesimo ci pensa il cellulare. Sul display appare “numero sconosciuto” quindi decido di ignorarlo.
Alla terza chiamata mi rassegno: «Pronto, chi è?» rispondo con voce stizzita.
«Signora Marzia?» una voce di donna dall’accento tedesco. «Sono io.»
«È il pronto soccorso dell’Ospedale di Brunico. Può venire a riprendere suo marito.» e riattacca.
Ecco, giornata rovinata. Avevo voglia di fare acquisti, godermi le belle botteghe, passeggiare in città come le signore che vedo andare a zonzo sul corso, ma… cosa si sarà fatto? Avrà preso una storta, cos’altro può succedere in un bosco.
Addento con nervosismo la fetta di strudel, bevo il cappuccino ormai tiepido e vado dal parrucchiere.
Fresca di messa in piega raggiungo la macchina e mi dirigo all’Ospedale.
Lui è lì, seduto su una sedia a rotelle in amabile conversazione con una infermiera.
Mi vede, si alza e si accomiata dalla tipa con una poderosa stretta di mano.
«Che cavolo hai combinato?»
«Non lo vedi che ho la mano sinistra fasciata? Intagliavo nel legno un piccolo gufo e mi sono ferito con il coltellino.”
«Ma non dovevi incontrarti con Paolo? Non poteva riaccompagnarti lui all’albergo?»
«Paolo non si è visto, qui mi ha accompagnato Stefan il guardiacaccia.»
Fulmino la tipa che sgattaiola via infilando in tasca il gufo intagliato.
«Ho visto cosa stringeva nella mano la bella signora in camice bianco. E tu la guardavi attratto da lei come se fosse una calamita.»
«Tu non avresti apprezzato e a me piace regalare la fortuna alle persone gentili.»
Non raccolgo il sarcasmo.
«Sembra che tu faccia di tutto per rovinarmi le vacanze. Lo sai che sono stufa di seguirti tutti gli anni in mezzo ai bricquando sai benissimo che preferisco il mare.»
«Ma se non sai neanche nuotare… e poi ti lamenteresti della sabbia bollente che ti scotta i piedi.»
«E allora? Posso sempre tenere le infradito sulla battigia e in quanto a nuotare mi procurerei un salvagente. E poi non è solo quello, io vorrei fare una vita più mondana, vorrei relazionarmi con persone altolocate, di città, non con i montagninicome te. Vorrei andare a giocare a bowling, a golf, già mi vedo con una bella polo, scarpette bianche di gomma, cappellino con visiera e… la sera vorrei uscire tutta elegante al fianco di un uomo in giacca camicia e cravatta.»
La settimana seguente si reca ogni giorno in città per la medicazione alla mano. Lo vedo spesso parlare al cellulare e spero sia per qualche lavoro urgente che ci obblighi a rientrare, ma a quanto pare non è così.
I proprietari dell’albergo organizzano spesso serate a suon di fisarmonica per intrattenere gli ospiti. In una di quelle occasioni, Federico ballonzola in giro e poi quatto quatto se la svigna.
Quella notte mi alzo per andare in bagno. Lui dorme. Appoggiata sulla mensola, sotto lo specchio, c’è una scatolina blu.
La mattina è già sceso per la colazione e sale raggiante portandomi un caffè.
«Ho una sorpresa per te!»
Se pensa di rabbonirmi con quello stupido anello di Swarovski a forma di ferro di cavallo, ha sbagliato a capire… che poi… è da uomo…
«Hai ragione sai, il mare ti farebbe proprio bene. Ti ho prenotato l’albergo a Riccione» sul vassoio c’è un biglietto del treno «Vestiti che ti accompagno alla stazione e parti.»
«Parti?!»
«Sì parti! Io rimango qui.»
Brava Cecilia, riesci sempre a scrivere racconti alla Vitali.
Sonia
"Mi piace""Mi piace"