Anicio Manlio Torquato Severino Boezio era nato a Roma nel 475. Giovanissimo se ne andò ad Atene a studiare filosofia e quando tornò in Italia iniziò una brillante carriera politica alla corte dell’Imperatore d’Occidente Teodorico.
Oltre che politico Boezio era uno studioso e a lui si deve la traduzione e il commento dell’Organon di Aristotele che divenne il testo base di tutta la filosofia medioevale. Nel 523 scoppiò uno scandalo: due alti funzionari, Cipriano e Albino si accusarono reciprocamente di avere spedito all’Imperatore d’Oriente un “dossier” che denunciava il malgoverno di Teodorico. Il clima si vece rovente e Boezio, che si era assunto la difesa di Cipriano, si vide a sua volta accusato di cospirazione e alto tradimento. Venne costituita una commissione d’inchiesta ed un tribunale speciale che condannò Boezio alla pena capitale.
Rinchiuso in cella Boezio scrisse la sua opera più importante, il De Consolatione Philosophiae, un capolavoro della cristianità che a ragione può essere considerato l’ultimo grande testo dell’antichità classica. L’opera divenne il best seller del Medioevo, anche Dante lo lesse vi trasse più di uno spunto per la sua Vita Nova. L’opera divisa in cinque libri, ognuno dei quali tratta un tema filosofico, è del genere del Prosimetro (alterna cioè prosa e poesia) e appartiene alla tipologia delle Consolatio (testi realizzati in forma d’orazione o epistola e atti a portare conforto). L’autore immagina, secondo un “topos” tipico dell’antichità classica, di essere consolato dalla Filosofia, impersonata da una donna bella e austera e da lei indotto a capire l’esistenza del male, della fortuna, della felicità e del libero arbitrio. Nell’opera è ricorrente il tema della sofferenza dell’uomo retto che paga ingiustamente mentre il malvagio con la sua iniquità domina e trionfa. Boezio paragona la propria sorte a quella dei filosofi Anassagora, Zenone, Socrate e Seneca esiliati o uccisi a causa di accuse false, ma alla terrena mancanza di giustizia si contrappone, quale provvidenziale consolazione, la Filosofia:
- Libro primo – Boezio piange le proprie sventure
- Libro secondo – La Filosofia gli dimostra che si sta lamentando a torto
- Libro terzo – La Filosofia gli rivela qual è la vera beatitudine
- Libro quarto – La Filosofia gli dimostra che non può esistere la cattiva sorte
- Libro quinto – La Filosofia tratta della libertà e dell’arbitrio
Boezio a buon titolo può essere considerato il Socrate dei “Secoli bui”, perché alla stregua del filosofo greco affermava che non conviene essere cattivi perché in ogni caso i malvagi vivono peggio dei buoni. Ogni cosa che esiste al mondo è governata dall’amore o come diceva lui:
l’amore regge il mare, la terra e il cielo… felici coloro che entro il loro animo hanno lo stesso amore che regge il cielo, la terra e il mare.
De Consolatione Philosophiae, Libro II – paragrafo VIII
Boezio visse in un’epoca che ancora era intrisa di paganesimo ma cercò sempre di conciliare il politeismo pagano e il cristianesimo, asseriva che anche i greci, Omero per primo, in fondo credevano in un Unico Dio, al quale davano nomi differenti, a seconda delle situazioni che si presentavano in un certo momento. È molto interessante la distinzione fatta da Boezio tra Fato e Provvidenza:
La Provvidenza è riposta nella razionalità dell’Essere Supremo, laddove il Fato dipende solo dalla casualità del vivere.
(bid, libro IV, paragrafo IX
Che è come dire: se ci capita qualche cosa di buono dobbiamo esser grati a Dio, se invece ci capita qualcosa di cattivo, la colpa è del destino. Ma bisogna stare attenti perché, per ottenere la provvidenza, occorre elevarsi al di sopra delle vicende umane e mettersi in contatto con la sfera divina. Ogni contingenza è già nella mente di Dio, ciò non toglie, però, che il percorso della nave viene sempre scelto da chi la governa. Quindi, se qualche cosa va storto dobbiamo prendercela con noi stessi, che non abbiamo saputo tenere la giusta rotta e non possiamo prendercela con Dio solo perché, essendo onnisciente, lo sapeva in anticipo.

Sul punto dirà la sua anche Dante nel canto XVII del Paradiso (Versi 37-42):
La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno:
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende.
parafrasando: “gli eventi umani, che non si estendono al di fuori del vostro mondo terreno, son tutti ben visibili a Dio: ma essi, non per questo sono inevitabili, come non lo è il fatto che una barca discenda un torrente solo perché qualcuno la osserva”.
Insomma il povero Severino Boezio, nel chiuso della sua cella, tentò di far convivere la Fede col Dubbio, la Religione con la Filosofia e l’Essere con l’Essenza di Dio. Un compito cui molti, nei secoli successivi si dedicheranno. Resta di lui, comunque, il sunto del suo insegnamento: a volte occorre guardare il mondo con gli occhi della speranza piuttosto che con quelli della ragione.