La solitudine

Di primo mattino, Emilia, è pronta per andare in posta a ritirare la pensione.

Come fa sempre quando sta per uscire, adempie al solito rituale: succhia per un po’ quella piccola piramide verde ricoperta di zucchero, poi la toglie dalla bocca, la avvolge in un pezzetto di carta stagnola e la ripone nella scatoletta di metallo che appoggia sul tavolino del salotto.

Prima di uscire prende una gugliata di lana rossa e l’appoggia sulla maniglia interna della porta.

Le cinque rumorose mandate per chiudere a chiave non sono sufficienti ad impedirle di avvertire dei rumori che provengono dall’appartamento di fronte al suo.

Si avvicina allo spioncino del dirimpettaio con il dito medio alzato.

Impreca all’ascensore che è sempre bloccato e scende i cinque piani a piedi.

Cammina ingobbita a testa bassa con le mani in tasca e si volta di continuo con fare circospetto.

Sul marciapiede viene affiancata dalla moglie dell’inquilino del terzo piano. È Teresa, in compagnia di un’altra signora. Le due, ignorandola, si accingono a superarla.

«E allora, cosa c’è da guardare? La smettete di parlare alle mie spalle?» sibila rivolta a Teresa.

«Ma chi ti pensa… vai, vai, faresti meglio a tornartene a casa.»

«In quelle condizioni poi…» le fa eco l’amica sottovoce. Intanto affrettano il passo per distanziarla.

Emilia entra nell’ufficio postale e ad occhi stretti osserva tutti i presenti. Non le sfugge che le due impiegate allo sportello, Francesca, figlia dei portieri e Federica, inquilina single del primo piano, si parlano sottovoce.

Giunto il suo turno interpella Francesca mentre conta i soldi.

«Cos’aveva da dire quella di me, eh?» indicandole con la testa la collega.

«Ma no, signora, ci stavamo scambiando delle informazioni…»

«Ma quali informazioni, ho visto benissimo che quando sono entrata vi siete scambiate un’occhiata d’intesa nella mia direzione. Attente a voi!»

«Ma che insinuazioni fa, e in più, minaccia?»

Emilia arraffa i soldi della pensione, ne fa un rotolo che infila nel reggiseno e si allontana seguita dagli sguardi dei presenti. Sulla porta dell’uscita si volta e stride:

«Lingue maligne, continuate pure a parlare male di me!»

Torna a casa.

Nell’atrio d’ingresso, attraverso la cabina a vetri della guardiola, intravvede la portinaia che tiene in mano un coltellaccio che gocciola sangue. 

Scappa via come un’invasata.

mi vuole uccidere per rubarmi la pensione… maledetto ascensore sempre bloccato

Nell’arrancare su per le scale, quasi si scontra con l’inquilina del quarto piano che per non perdere l’equilibrio si appoggia a Emilia.

e questa stava per buttarmi giù dalle scale

La portinaia va nel cucinotto sul retro e prosegue ad affettare il pezzo di fegato.

Tarcisio, il marito, con ramazza e paletta entra nella guardiola.

«Meno male che sei arrivato. Non ho fatto in tempo ad aprire che l’Emilia è scappata via come un fulmine, non ho capito se aveva bisogno di qualcosa.»  

«Oh, lasciala perdere quella beona, ha lasciato una scia sulle scale… ha voglia di succhiare caramelle!» risponde Tarcisio estraendo la tovaglia dal cassetto del tavolo. «Sbrigati ad infarinare quelle fette… senti come sfrigola il burro!» e aggiunge alcune foglie di salvia nel pentolino.

Emilia arriva trafelata sulla porta della sua casa, apre freneticamente e nota subito il filo di lana rossa per terra.

lo sapevo… qualcuno ha tentato di entrare

Telefona a Giacinto.

«È la terza volta che le cambio la serratura.» sbotta il fabbro.

«No, guardi che stavolta mi deve mettere l’allarme.»

Emilia si accascia sul divano, scola direttamente dalla bottiglia le ultime due dita di grappa, poi si mette in bocca la Valda succhiata e resta in attesa dell’artefice.

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