Alcune considerazioni sulle differenze fra un testo letterario e un testo teatrale e la relazione con il pubblico nate dopo la visione dello spettacolo La trilogia della Città di K al Piccolo Teatro di Milano.
La trasposizione di un’opera nata dalla Letteratura in una rappresentazione teatrale presuppone che il lettore si trasformi in spettatore: assumere un nuovo approccio come conseguenza della considerazione che si trova di fronte ad un nuovo linguaggio espressivo, quello del palcoscenico.

La differenza si può capire e sperimentare pensando a come leggiamo e a come ci poniamo a “guardare” un lavoro teatrale. Nella lettura lo stile e il linguaggio dell’autore sono determinati dalla scelta delle parole, dalla composizione delle frasi, dalle azioni espressive demandate ai personaggi e alle situazione dinamiche e a quelle descrittive. Accanto a questi elementi il percorso narrativo deve anche e soprattutto suscitare il coinvolgimento del lettore con l’uso di metafore, di messaggi nascosti, di simbologie, di mondi che assomigliano al reale, ma sono altro dal reale. Ad amalgamare quanto l’ autore palesa e quanto rende nascosto interviene la nostra immaginazione, le immagini che la mente crea sullo stimolo della scrittura.
Nel lavoro teatrale siamo pur sempre di fronte ad un flusso narrativo, al racconto di una storia, ma lo stile e il linguaggio non dipendono dalla capacità di manipolare e arricchire i canoni della scrittura, ma dalla gestione dello spazio scenico, dalla limitata dimensione temporale, dalla recitazione e dalla mimica degli attori nel dare azione espressiva e comunicativa ad una storia.
Possiamo dire che il lettore diventa spettatore quando abbandona la capacità di immaginare per delegarla a quanto avviene sul palcoscenico e riceverla sotto forma appunto di rappresentazione di immagini, parole e azioni che si dipanano davanti a lui sul palcoscenico.

Nel caso della trasposizione di un’opera letteraria – ad esempio un romanzo – lo spettatore potrebbe vedere sul palcoscenico due modalità rappresentative tratte dal testo.
Una modalità è la semplice riproposizione o riduzione – dipende dalla lunghezza del testo – testuale del romanzo, affidando alle prerogative degli attori e ad eventuale corollario scenico gli elementi di contorno per arricchire quella che è sostanzialmente la recita, parola per parola, del percorso narrativo prestabilito nella scrittura del romanzo. Lo spettatore ripercorre quanto ha sperimentato da lettore dell’opera, non entrandovi attraverso lo stimolo di altri canali e linguaggi.
Un’altra modalità è la reinterpretazione della scrittura letteraria con l’azione espressiva propria del teatro inteso come dimensione artistica che ha suoi propri canoni interpretativi e comunicativi. Fondamentale in questa modalità interpretativa è il copione, cioè l’intervento dell’autore teatrale che trasforma il testo che intende portare in palcoscenico da scrittura per il romanzo a scrittura per il teatro che riceverà valori aggiunti dalla regia, dalla scenografia, dalla recitazione.

Un esempio di questa modalità interpretativa è l’opera teatrale Pinocchio di Latella, prodotta dal Piccolo Teatro di Milano. Tutti conosciamo Pinocchio, ma quel burattino in carne e ossa sul palcoscenico era il risultato della riscrittura per il teatro. Rimane in sottofondo, senza emergere, la storia di Collodi perché l’intento non era ripercorrerla, ma attualizzarla sfruttando elementi teatrali e recitativi precipui, offrendo allo spettatore stimoli interpretativi riconducibili alla attualità della condizione umana facendoli emergere da un romanzo per ragazzi scritto più di 130 anni prima.
La trilogia della Città di K messa in scena sempre dal Piccolo Teatro ricade nella modalità rappresentativa delle riproposizioni testuali, a tal punto così aderenti che il copione è costituito dal testo del romanzo che gli attori recitano con grande capacità espressiva, assistiti da una scenografia affidata ad alcuni pannelli in movimento che offrono al pubblico immagini didascaliche, da fumetto, di quanto è recitato sulla scena. Anche lo sviluppo spaziale e temporale della storia rappresentata segue quello del romanzo.

Eppure l’opera della Kristof contiene molte peculiarità narrative che offrono l’opportunità di essere trasformate in rappresentazioni con contenuti aderenti alla attualità.
Pensiamo alla tematica della guerra e delle conseguenze sulla mente e sui comportamenti delle persone, anche se lontane e non coinvolte direttamente. Un’altra opportunità che la Città di K offre al palcoscenico e alla trattazione con il suo linguaggio teatrale è la violenza correlata con la solitudine, le aberrazioni sessuali e la mancanza di sentimenti. Addentandoci nel mondo della psiche scopriamo che la Città di K è un terreno fecondo per innescare doppie personalità, invenzioni di alter ego e la creazioni di mondi paralleli alla realtà nella impossibilità di accettare il reale vissuto. E infine attraversa la Trilogia della Kristof una peculiarità comune a romanzo e teatro: la scrittura, il rapporto che i personaggi hanno tra l’essere umano ed esigenza di personificare se stessi con matita e quaderni per non perdersi nel mondo reale.
In programmazione la stagione del Piccolo Teatro ha altre opere tratte da romanzi; è l’occasione per il lettore di trasformarsi in spettatore e verificare nel breve spazio di tempo di una rappresentazione teatrale se questa intende proporgli una lettura materiale del testo o immergerlo in un linguaggio alternativo alla scrittura per sollecitare una nuova visione dell’arte della scrittura.