Dalle lingue sacre alle invenzioni del pensiero moderno, l’uomo ha sempre cercato una lingua perfetta capace di unire ciò che Babele ha diviso.
Fili di parole, storie, narrazioni e legami: il linguaggio. Anche gli animali comunicano tra loro, oggi sappiamo che anche le piante adottano una specie di linguaggio ma il linguaggio dell’uomo, la parola ha qualcosa di più profondo e mistico.
λόγος
Logos, il dono di Dio e la parola di Dio creò il linguaggio. Per le religioni del “Libro”, la parola è il mezzo attraverso cui Dio ha dato origine al mondo. Per Eraclito, “Logos” è la razionalità universale che regola il divenire, nell’ebraismo è la potenza mediatrice tra Dio e l’uomo, per l’Islam è la parola di Allah rivelata a Maometto, per il cristianesimo è la “sapienza mundi”, la potenza di Dio si rivela e si incarna nella storia umana con Gesù che non è solo “portatore di parola” è egli stesso “Verbo” rivelato all’uomo per la sua salvezza.
La parola è creazione e la Bibbia descrive come Dio creò il mondo attraverso la parola. Giovanni nel prologo al suo Vangelo identifica Gesù col “Verbo (Logos) di Dio”, sottolineando il ruolo della parola nella creazione e nella rivelazione:
In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio.
Tutto è stato fatto per mezzo di Lui.
In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini.
E il verbo si fece carne e venne in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria…
La parola unisce, crea appartenenza, dà continuità alla tradizione. In Genesi leggiamo “Dio disse sia la luce e la luce fu”. La creazione per le religioni del Libro è un “atto di parola”:
… e Dio chiamò la luce giorno e notte le tenebre e dichiarò cielo il firmamento..
Il solo nominare le cose dà loro uno status ontologico. Poi Dio affida ad Adamo il compito di assegnare a ciascun essere vivente un nome e sorge il mito del Nomoteta: il creatore del linguaggio. Adamo da un nome alle creature in base alla natura stessa della creatura, definisce sé stesso Ish, uomo e quando incontra la donna la chiamerà Ishshàh e crea i generi: maschio e femmina. Il tema della parola e del linguaggio lo si trova ancora nella Genesi nell’episodio di Migdàl Bavel, la Torre di Babele, ove si marra che gli uomini inorgogliti e superbi pensano di costruire una torre per giungere a Dio ed Egli lì punisce la loro superbia abbattendo la torre e confondendo l’unica lingua ch’essi parlano creandone, secondo tradizione settantadue. La confusione delle lingue porta alla confusione delle genti che si disperdono ai quattro angoli del mondo esattamente come avverà coi figli di Noè dopo il diluvio:
questi furono i figli Noha, Iafet, Cam e Sem nei loro territori, ciascuno secondo la sua lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro rispettive nazioni.
Se dal racconto biblico passiamo alla Storia vediamo come nel periodo classico i greci, che identificavano nella propria lingua il linguaggio della ragione e della razionalità universale conobbero gente che parlava una lingua diversa e li chiamarono bàrbaroi perché sembrava che balbettavano in maniera incomprensibile.
Nell’epoca seguente alle conquiste di Alessandro Magno si diffuse un greco comune, la Koinè che divenne la lingua ufficiale dei territori conquistati dal macedone, sopravvivendo anche durante il dominio di Roma come lingua della cultura e sarà proprio con la Koinè che verranno trasmessi i primi testi del cristianesimo. La Koinè dominerà il Mediterraneo, come lingua dell’Impero e verrà usata in tutti i territori controllati da Roma come lingua universale, e sarà la lingua della prima cultura cristiana in occidente. Sant’Agostino riprenderà il concetto di Logos, la parola vista come il mezzo con cui Dio comunica con l’umanità e lo strumento per l’uomo, per relazionarsi con Lui e sottolineerà una situazione linguistica paradossale: il pensiero cristiano era basato sull’Antico Testamento scritto in ebraico e si stava diffondendo grazie al Nuovo Testamento scritto in greco.
Agostino non conosceva l’ebraico ma conosceva il greco e col De Doctrina Christiana e col De Magistro divenne il padre dell’esegesi biblica e dell’Ermeneutica. Aveva la Bibbia ebraica e frammenti della stessa in greco, comparò e diede un significato ai segni che divennero significanti per congetturare la lezione più attendibile. Si era formato quello che poi verrà detto Triangolo semiotico: Significante-Significazione-Significato. Sarà proprio con Agostino che inizierà lo studio del segno il cui significato va oltre all’aspetto con cui si presenta e porta a pensare qualcosa di altro a partire da sé.

Verso la fine del V secolo lo scritto predilige il latino mentre il popolo parla un latino commisto: gallo-romano, ispano-romano, romano-balcanico, oltre ad innumerevoli dialetti locali. Una nuova Confusione delle lingue ma non è più un castigo divino, è una semplice tendenza umana, che si diffonderà rapidamente in Europa con la nascita dei volgari. La lingua perfetta di Dante era il volgare fiorentino anche se poi ne farà l’apologia col De vulgari eloquentia scritto in latino e il suo volgare illustre o volgare fiorentino diverrà l’esempio massimo per superare la ferita di Babele e la Commedia (1321). Duecento anni dopo (nel 1524), Lutero traducendo in tedesco la Bibbia darà fondamento letterario alla lingua tedesca radicando nei compatrioti una coscienza nazionale.
La ricerca di una lingua universale è sempre stata una ispirazione umana: trovare una lingua filosofica capace di superare le barriere che da sempre hanno confuso la mente tenendola lontana dal progresso scientifico. L’Ars Magna, la lingua filosofica universale, comprensibile a tutte le genti del filosofo e mistico spagnolo del XIII secolo Ramon Llull (1232-1316) attraverso cui si sarebbero potuti convertire tutti gli infedeli.
Nei primi anni del millecinquecento il filosofo, astrologo, esoterista ed alchimista tedesco Cornelius Agrippa di Nettesheim (1486-1535) affrontò la “questione della lingua“ nel senso moderno del termine, con la sua De occulta philosophial (edita a Colonia nel 1533) nacquero le lingue filosofiche a priori.
Tra la fine del 1500 e i primi decenni del 1600, si fece strada tra filosofi e scienziati come Bacone, Cartesio e Leibniz, la convinzione dell’inadeguatezza del linguaggio comune, per esprimere i contenuti della nuova visione scientifica e nacque l’esigenza di un “linguaggio universale” funzionale alla nuova scienza. In una lettera all’abate Marin Mersenne (teologo, filosofo e matematico francese) del novembre 1629, Cartesio spiegava come avrebbe dovuto essere una lingua universale capace di adattarsi alle caratteristiche della nuova epoca scientifica. Una lingua rigorosa come la matematica, in grado di esprimere il pensiero umano in maniera chiara senza filtri linguistici, facile da scrivere, pronunciare ed apprendere. Anche Gottfried Wilhelm Leibniz nel 1678 stillò una “Lingua generalis” che prevedeva una drastica semplificazione della grammatica onde creare un linguaggio logico, una lingua scientifica per esprimere verità di ragione.
Arrivando più vicini a noi è significativa la proposta di Charles Ogden, che negli anni trenta del ‘900 teorizzò il Basic English una forma semplificata di inglese, con appena 850 vocaboli. L’idea di una lingua universale pare comunque destinata a restare una utopia, anche se non cesserà mai di esercitare il suo fascino. Nel 1917 moriva a Varsavia Ludwik Zamenhof inventore dell’Esperanto che avrebbe dovuto diventare la lingua universale, ne pubblicò persino la grammatica firmandosi come Doktor Esperanto. La sua idea di un linguaggio senza confini, però, non è arrivata alle masse, l’Esperanto è morto sul nascere e non pare prossima la resurrezione. L’Esperanto è restata una lingua codice, privo di una sottostante cultura, una lingua seconda non avvertita nell’animo. A condannare l’Esperanto è stato, poi, anche il suo essere lingua anti-nazione, là proprio dove la nazione fa della lingua il principale elemento identificante. Ancora oggi, nonostante tutto non c’è posto per una lingua universale e tutt’ora andiamo come i figli di Noè:
… nei loro territori, ciascuno secondo la sua lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro rispettive nazioni.
Comunque un messaggio di speranza lo si può mandare perché il sogno di una lingua universale non morirà fintanto che l’umanità continuerà ad esprimersi attraverso quel dono che è il linguaggio.




