L’eco dell’antico: come il mito attraversa l’arte da Botticelli a Kehinde Wiley

Tra memorie dell’antico e esigenze del presente, la mitologia riemerge nell’arte come serbatoio inesauribile di simboli, narrazioni e visioni. Attraverso tre momenti chiave — Rinascimento, Metafisica e contemporaneità — questo articolo esplora come artisti lontani nel tempo abbiano trovato nei miti uno specchio dell’identità, della bellezza e delle tensioni della loro epoca.


Il mito è un viaggiatore instancabile. Non importa quanti secoli passino: con i suoi eroi, dei e simboli, continua a riapparire nell’Arte, trasformandosi per parlare a ogni epoca con un linguaggio sempre nuovo. Dal Rinascimento fiorentino, intriso di armonia e Filosofia, fino alle piazze sospese della Pittura Metafisica e alle tele politiche e vibranti della contemporaneità, la mitologia rimane un filo rosso che attraversa la storia dell’immaginario umano.

Non è un caso che artisti lontani per tempo, stile e contesto abbiano attinto alla stessa fonte. Il mito è universale perché tocca domande che ogni generazione si pone: chi siamo, cosa sogniamo, quali sono i nostri ideali. E nell’arte trova una forma visibile, capace di unire bellezza e significato.

Botticelli: il Rinascimento e la Bellezza che eleva

A Firenze, nel cuore del Quattrocento, Sandro Botticelli dipinge La nascita di Venere e La Primavera. A prima vista sembrano splendide illustrazioni di favole antiche; in realtà, sono molto di più.

Per Botticelli, la mitologia è un ponte verso l’elevazione spirituale. La Venere che emerge dal mare, sospesa su una conchiglia, non è solo la dea dell’amore, ma un’icona della bellezza perfetta e armoniosa, capace — secondo le teorie neoplatoniche dell’epoca — di guidare l’anima verso il divino. I suoi personaggi, avvolti in linee morbide e colori delicati, abitano un mondo sospeso, in cui natura, arte e pensiero convivono in equilibrio.

Il Rinascimento, infatti, vede nella classicità un modello non da copiare pedissequamente, ma da reinterpretare. Il mito greco-romano diventa una lingua viva, capace di esprimere le nuove idee dell’Umanesimo, dove l’uomo è misura e centro dell’universo.

De Chirico: il mito come enigma

Saltiamo al Novecento e troviamo Giorgio de Chirico, padre della pittura metafisica. Le sue Muse inquietanti sono figure classiche, ma svuotate di azione e parola. Stanno immobili, enigmatiche, in piazze deserte inondate di luce obliqua.

In de Chirico il mito non è più celebrazione della bellezza o armonia ideale: è eco lontana, frammento di un passato irraggiungibile. Le statue sembrano fantasmi che osservano un mondo smarrito. La loro collocazione in spazi irreali, con prospettive stranianti e ombre allungate, crea un senso di sospensione e mistero.

Questa rilettura del mito affascina i surrealisti, che vedono in de Chirico un maestro nell’arte di far emergere l’inconscio attraverso immagini apparentemente immobili. Qui la classicità non rassicura, ma interroga: cosa resta del nostro passato quando lo isoliamo dal contesto che gli dava vita?

Kehinde Wiley: rovesciare i codici dell’arte occidentale

Nel XXI secolo, il mito torna di nuovo a parlare, ma con un linguaggio dirompente. Kehinde Wiley, artista statunitense, prende modelli della pittura classica europea e li popola di corpi neri, giovani afroamericani che posano con la stessa imponenza dei sovrani, degli eroi e delle eroine dell’arte antica.

In opere come Judith and Holofernes, la protagonista è una donna nera che impugna la testa di Oloferne, sovvertendo un’immagine tradizionalmente riservata a figure bianche. Non si tratta solo di una sostituzione estetica: è un gesto politico e identitario. Wiley costringe l’osservatore a fare i conti con secoli di esclusione e invisibilità nella rappresentazione artistica.

Il suo stile, ricco di fondali decorativi e di colori saturi, richiama il lusso della pittura barocca e rinascimentale, ma allo stesso tempo lo trasforma in un campo di battaglia simbolico. Qui il mito è ancora vivo, ma è al servizio di un discorso urgente sul potere e sulla rappresentazione.

Un linguaggio che non smette di parlarci

Dalla grazia rinascimentale di Botticelli, al silenzio enigmatico di de Chirico, fino alla provocazione politica di Wiley, il mito si dimostra un organismo vivo. Si piega e si trasforma, mantenendo intatto il suo nucleo: la capacità di dare forma visibile alle domande fondamentali dell’uomo.

Forse è proprio per questo che continua ad affascinarci. Perché nelle storie di dei e di eroi, di amori e di vendette, riconosciamo frammenti di noi stessi. E nell’arte, questi frammenti si trasformano in immagini che ci parlano, ora come ieri, con la stessa forza.