Dachau – Capitolo 4: verso la liberazione

Negli ultimi giorni del 1945, nel campo di Dachau regnava la disorganizzazione. Il lager era stato continuamente invaso da un continuo afflusso di prigionieri provenienti dai campi di Buchenwald, Natzweiler, Flossenburg e Auschwitz. Contemporaneamente anche lo stesso campo di Dachau doveva essere evacuato per evitare che migliaia di detenuti venissero liberati dall’arrivo, oramai imminente, delle forze americane.

A tal proposito il 14 aprile 1945 il Reichführer Himmler aveva inviato ai comandanti del lager un ordine telegrafico in cui veniva chiaramente specificato che il campo doveva 7essere immediatamente evacuato e che nessun prigioniero avrebbe dovuto cadere vivo nelle mani del nemico. Nel frattempo però la guarnigione del campo era stata ridotta per esigenze belliche, mentre alcune SS seriamente preoccupate per la loro sorte si erano già date alla fuga travestite da civili se non addirittura da prigionieri. Fu così che molti di loro vennero rimpiazzati da uomini provenienti dalla divisione Viking, composta da ragazzi tra i 14 e i 16 anni.

Nel piazzale dell’appello cominciarono ad accendere dei falò al fine di bruciare le documentazioni compromettenti, tuttavia, nella confusione vennero risparmiati diversi registri di detenzione, dove tra l’altro venivano riportati i decessi e le ragioni degli arresti di vari detenuti.

Nella confusione generale molte barriere erano cadute e i detenuti, prima rigidamente inquadrati nelle loro squadre di lavoro e nelle baracche di appartenenza, avevano ora maggiori occasioni di frequentarsi e di trasmettersi notizie. Nonostante il gran numero di decessi avvenuti nel lager dovuti a deperimento fisico, alla denutrizione, ai maltrattamenti, al lavoro sfibrante, alle esecuzioni, ai criminali esperimenti medici attuati dai dottori Schilling e Rascher, ed infine da un’epidemia di tifo petecchiale scoppiata in gennaio e mai seriamente fronteggiata, con gli ultimi arrivi la popolazione dei detenuti era sensibilmente aumentata.

Erano però contemporaneamente cresciuti anche i cumuli di cadaveri che oramai andavano decomponendosi all’aperto, dal momento che i  Leichen Commandos, cioè le squadre addette alla rimozione dei cadaveri non erano più in grado di provvedere. Mentre da una parte alcuni detenuti pensavano di ribellarsi altri consigliavano di attendere nel timore che ciò potesse portare le SS ad anticipare uno sterminio di massa. 5Un’importante decisione venne comunque presa: aumentare ad ogni costo il caos che dilagava e sfruttando la confusione e l’indecisione dei comandanti tentare, per quanto possibile, di nascondersi e mescolarsi con prigionieri di altre baracche, nascondendo le proprie sigle indicanti la nazionalità.

Si arrivò cosi al 26 aprile del 1945 quando, nelle prime ore del pomeriggio, giunse l’ordine di evacuazione per gli ebrei, 2.400 circa, molti dei quali non erano neppure più in grado di reggersi in piedi.  Ore dopo arrivò un secondo ordine di adunata, questa volta per gli anti-nazisti austriaci e tedeschi, ex combattenti repubblicani in Spagna e per un primo contingente di russi, in tutto circa 7.000 uomini.

I 7.000 furono costretti ad intraprendere il viaggio scortati dalle SS, probabilmente diretti verso Innsbruck nel Tirolo. I kapò la sera comunicarono che il giorno dopo tutti i deportati russi e italiani avrebbero dovuto lasciare il campo ma a causa di un violento temporale la partenza fu rimandata e i detenuti escogitarono un piano per boicottare la successiva partenza nascondendosi nelle varie baracche, fu così che nuovamente adunati, molti di loro, grazie a scambi di nazionalità, non furono più reperibili. Ricercare in quel momento tutti coloro che mancavano all’appello era a dir poco impossibile e fu così che fecero ritornare tutti nelle baracche.

All’alba del 28 aprile un deportato di nome Karl Riemer dopo un’estenuante fuga riuscì a raggiungere le truppe americane tentando di convincere gli ufficiali alleati a inviare velocemente truppe verso il lager al fine di evitare lo sterminio di massa che oramai incombeva. I piani degli alleati però prevedevano di dirigersi verso Monaco se non che grazie a coloro che sorvolarono il campo fu possibile comprendere che la situazione a Dachau era realmente pessima e che laggiù stava sicuramente accadendo qualcosa di strano e di insolito. Alla fine la spedizione fu organizzata per il mattino successivo.

Domenica 29 aprile un distaccamento motorizzato della fanteria americana appartenente alla divisione Rainbow della 7° armata puntò dritto verso Dachau e dopo aver superato qualche resistenza delle truppe regolari tedesche oramai allo sbando, giunse nella cittadina verso le 10:30, a seguito però della distruzione del ponte sul fiume Amper fu pressoché impossibile raggiungere il campo velocemente. Il genio militare si attivò dunque per costruire il più velocemente possibile un ponte di fortuna. Giunti al lager sulla torretta di guardia già sventolava una bandiera bianca, simbolo di resa. Nonostante la resa, molti nazisti furono uccisi e i loro cadaveri percossi, vilipesi e calpestati dai detenuti. In seguito si venne a sapere che la stessa sera, quella del 29 aprile alle ore 20, tutti i deportati sarebbero stati uccisi mediante un lancio di bombe sul lager. Un colonnello americano sottolineò che a Dachau al momento della liberazione vi erano circa 32.000 prigionieri e che la mortalità era di circa 200 uomini al giorno principalmente per fame e tifo. Gli italiani vivi al momento erano 2.184 ma ne morirono circa 300 in seguito. Il lager più vecchio di tutti finiva di esistere ma non cessava di uccidere.

6

Dopo la liberazione del campo fu necessario occuparsi di 60.000 sopravvissuti e del loro rimpatrio nei paesi d’origine. Si dovette combattere l’epidemia di tifo, assistere i malati e provvedere alla sepoltura di centinaia di morti. Solo alla fine di luglio del 1945 anche l’ultimo gruppo di ex detenuti poté lasciare il campo. Per molti tuttavia non ci fu un ritorno a casa dato che i loro famigliari erano stati sterminati. Gli alleati si videro così costretti ad allestire per loro un campo separato “Displaced Person DP”e molti restarono in Germania per anni prima di poter emigrare in Palestina, negli USA o in qualche altro paese occidentale. Il 3 maggio del 1945 gli alleati obbligarono gli abitanti di Dachau a visitare il campo, il crematorio e a vedere la montagna di cadaveri in attesa di essere sepolti.

Al termine della guerra gli alleati istituirono dei tribunali militari con il compito di giudicare crimini e criminali nazisti. A Dachau uno di questi tribunali tenne la sua prima seduta già alla fine del 1945 e i processi che si tennero nell’ex lager servirono da modello per i seguenti. Con l’inizio della Guerra Fredda, tuttavia, l’interesse a perseguire penalmente i crimini nazisti diminuì e nonostante vennero aperti numerosi provvedimenti poche furono le sentenze di condanna. Molti crimini rimasero impuniti. All’interno dell’ex lager vennero internati, in un campo appositamente allestito, un gran numero di responsabili nazisti, alti funzionari e appartenenti alle SS. Arrivarono a contarne 25.000. Molti di loro con le prime avvisaglie della Guerra Fredda vennero rimessi in libertà.

Nel 1948 l’amministrazione bavarese, responsabile dell’assistenza ai profughi, prese possesso delle baracche e ne fece delle abitazioni. Il campo perciò rimase aperto per circa 20 anni sviluppando una propria infrastruttura urbana. All’inizio di questo utilizzo ci fu la catastrofica penuria di abitazioni, ma anche la tendenza a non volere fare i conti con la reale storia del lager. Nel 1955 il CID intenzionato a creare un memoriale, chiese lo sgombero del campo profughi e la demolizione dei numerosi edifici costruiti nell’immediato dopoguerra.

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