“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli e ogni cosa ne nasconde un’altra”.
Le città invisibili è un’opera onirica, spiazzante: 55 sono le città invisibili costruite da Calvino con la leggerezza di un architetto fantastico. Il libro scritto ad intervalli di tempo anche molto lunghi, tra il 1964 e il 1970, durante il suo soggiorno a Parigi, viene pubblicato nel 1972.
“Un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti suoi spigoli.” – Pier Paolo Pasolini

Città immaginarie, “città mentali” con nomi di donna in un dialogo immaginario tra Kublai Khan, imperatore dei Tartari, padrone di un immenso territorio e Marco Polo, grande viaggiatore, padrone della mimica e della parola. Infatti Polo
“con gesti, salti, grida di meraviglia e di orrore, o imitando il latrato dello sciacallo e il chiurlio del barbagianni”
oppure con oggetti estratti dalle bisacce e disposti come pezzi di scacchi, crea connessioni tra un elemento, comprensibili all’imperatore:
“un turcasso pieno di frecce è l’approssimarsi d’una guerra o abbondanza di cacciaggione […], una clessidra è il tempo che passa o è passato […]”

È un gioco “combinatorio”: lo scrittore sceglie di rendere “visibile” ai lettori la struttura della narrazione, formata da brevi testi che si susseguono all’interno di una cornice più ampia. Calvino lascia al lettore la possibilità di scegliere la direzione di lettura, o il susseguirsi di capitoli o la divisione in categorie delle città narrate.

Divertente è scorrere prima i paragrafi con lo stesso titolo, per una lettura tematica, oppure seguire l’ordine consueto, pagina dopo pagina, finendo col perdersi in un variegato labirinto dove temi e soggetti intricandosi in un fantastico groviglio, si ricombinano tra di loro.
“Le descrizioni delle città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo con il pensiero, perdercisi, fermare a prendere il fresco, o scappare via di corsa.” – Italo Calvino
Calvino si diverte con i suoi lettori: il gioco “combinatorio” è la fusione tra strutturalismo e semiotica.
Lo strutturalismo mira a “scomporre” la narrazione in tanti piccoli tasselli da ricollegare fra loro fino ad assumere -e qui l’influenza della semiotica- un senso sia da soli, leggendo un paragrafo senza sentire incompletezza, oppure leggere il testo completo, in un senso di più ampio respiro.
Le città sono invisibili, esistono solo nella mente del viaggiatore, e il lettore rimane sospeso tra l’idea di qualcosa che non c’è e la realtà tangibile che le località trasmettono.
“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.
Chiunque infatti può immedesimarsi nella descrizione offerta da Polo poiché
“le città sono un insieme […] di memoria, di desideri, di segni di un linguaggio; sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.”
La città e gli scambi
Nella città di Eufemia, dalla bella parola,
“i mercanti di sette nazioni convengono ad ogni solstizio ed equinozio, e dove a ogni parola che uno dice […] gli altri raccontano ognuno la sua storia.”
Le città e il desiderio
Anastasia dove
“i desideri si risvegliano tutti insieme e ti circondano. La città ti appare come un tutto in cui nessun desiderio va perduto e di cui tu fai parte, e poiché essa gode tutto quello che tu non godi, a te non resta che abitare questo desiderio ed esserne contento.”

E Despina che si presenta
“differente a chi viene da terra e a chi dal mare. Il cammelliere e il marinaio giungono a Despina con il desiderio di trovare un luogo meraviglioso, diverso dalla realtà da cui provengono”.
Entrambi lo immaginano in maniera diversa come due modi differenti di percepire la realtà, quindi pregnante è l’aspetto di soggettività che ricorre in gran parte del libro: Despina è “confine tra due deserti”, la realtà vista da due punti di vista differenti e opposti che alla fine convergono.
“Io non ho desideri né paure, – dichiarò il Kan, – e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso”.
Le città e la memoria
Isidora
“è la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro”.
“I desideri sono già ricordi”.
Zaira è
“la città che non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre […] nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli , svirgole.”

“La città è fatta di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”.
“Ne resta una di cui non parli mai….Venezia – disse il Kan”
“Ogni volta – rispose Polo – che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia […] le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco”.
Le città invisibili assurgono a simbolo della complessità e del disordine della realtà e della possibilità di viverci dentro e scamparne:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. – Italo Calvino

L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.
"Mi piace""Mi piace"