Le tavolette di argilla dell’antica Mesopotamia sono giunte a noi molto numerose perché abbastanza resistenti.

Il papiro, molto usato dagli Egizi, era preparato con sottili strisce del midollo fibroso di una canna che cresceva lungo il Nilo: due strati di strisce, sovrapposte ad angolo retto, erano compressi insieme per formare i fogli, che potevano poi essere incollati in una lunga fila a formare un rotolo. Era però soggetto a danni e distruzione a causa dell’acqua o del fuoco, molto più dell’argilla.
Le tavolette cerate furono usate inizialmente in Grecia e successivamente nel mondo romano, per scrivere testi correnti. Le tavolette erano di legno con una faccia molto liscia e l’altra contornata da una cornice; lo spazio all’interno di questa era ricoperto di cera molto dura sulla quale si scriveva incidendo i segni con uno stilo di metallo appuntito a una estremità.
Le pergamene: nel Medioevo i monaci copiavano a mano i libri, utilizzando una bella calligrafia e riproducendo alcune lettere in caratteri molto decorati, chiamati lettere miniate. Scrivevano con le penne d’ocae utilizzavano fogli (le pergamene) ricavati dalle pelli di animali.
La stampa a caratteri mobili fu introdotta in Europa dal tedesco Johannes Gutenberg nel 1455. La lega dei caratteri era formata da piombo, antimonio e stagno, che resisteva bene alla pressione esercitata da una macchina derivata dalla pressa a vite utilizzata per la produzione del vino. L’innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri. Questa tecnica si rivelò di gran lunga migliore rispetto ai procedimenti tradizionali e si diffuse in pochi decenni: solo 50 anni dopo erano stati stampati 30.000 titoli per una tiratura complessiva superiore ai 12 milioni di copie. I libri stampati con la nuova tecnica tra il 1453-55 e il 1500 vengono chiamati incunaboli. Con il procedimento di Gutenberg, i testi potevano essere pubblicati in modo più veloce, economico e in maggiore quantità, e questo diede un contributo decisivo all’alfabetizzazione di massa.
