Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità.
Virginia Woolf
In questi brevi versi è racchiuso un concetto di felicità: la pace interiore, eudaimonia in greco, per voce di Platone, Socrate, maestro di virtù, predicava come la felicità interiore fosse congiunta alla rettitudine e alla virtù.
poichè tutti desideriamo essere felici ed è apparso che diventiamo tali usando le cose e servendocene rettamente e che la scienza è lo strumento che procura il retto uso e la buona fortuna, eutakia, bisogna, sembra, che tutti gli uomini in ogni modo si impegnino in questo, a divenire quanto più possibile sapienti: o no?
Per Aristotele, la felicità sta nel giusto mezzo che coincide con la virtù e quindi felice è colui che conduce una vita virtuosa.
I filosofi dell’antichità, ellenistici, romani, cinici, stoici ed epicurei avevano diverse visioni del concetto di felicità, come
serenità d’animo, imperturbabilità, atarassia e godimento dei piaceri della vita
… nei momenti difficili ricordati di conservare l’imperturbabilità e in quelli favorevoli un cuore assennato che domina la gioia eccessiva.
Orazio, Ode II
DUM LOQUIMUR
Carpe diem, Orazio, Odi 1, 11, 8
fugerit invida
Aetas: carpe diem
quam minimum
Credula
postero
Mentre parliamo
il tempo è già in
fuga, come se
provasse invidia di
noi. Afferra
giornata sperando
il meno possibile
nel domani.
È un invito a godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita: il futuro non è prevedibile, è un invito sì alla ricerca del piacere ma ad apprezzare ciò che si ha.

In occasione del carnevale del 1490 Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico scrisse un trionfo, composizione scritta per essere cantata da un corteo, Canzona di Bacco:
Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia
chi vuol essere lieto, sia
del doman non v’è certezza.
Noi passiamo di desiderio in desiderio e sebbene ogni soddisfazione tuttavia non ci appaga, ci affrettiamo a correre dietro a desideri sempre nuovi
ma, finchè è lontano, ciò che desideriamo ci sembra superare ogni altra cosa, poi, quando quello ci è dato, aneliamo ad altro ancora, e un’uguale sete di vita perennemente ci affanna…
Lucrezio, De rerum natura III, vv 1082-84
Dal cristianesimo apprendiamo il principio del sacrificio che porta alla felicità, ricompensa nell’al di là ma non solo, dal vangelo secondo Matteo: “Beati i poveri di spirito…” e per beati s’intende felici. La felicità è un dono non una conquista, la felicità è prendere consapevolezza di ciò che sei.
Nella filosofia moderna l’eudemonismo ritorna con il significato di ricerca del benessere sociale ma in questo senso è più corretto parlare di utilitarismo.
Il filosofo inglese Bentham Jeremy (XIX sec) definì l’utilità come ciò che produce vantaggio, piacere, bene o felicità, termini usati come sinonimi.
Utile, quindi, è ciò che ,“minimizzando” il dolore, “massimizza” il piacere, il che comporta l’esigenza di distinguere nelle cose e nelle azioni, cioè di “calcolare” non le conseguenze prossime o immediate ma quegli effetti che contribuiscono realmente ad un benessere ampio e durevole.
La massima felicità del maggior numero possibile di persone
J.Priesley, Saggio sul governo (1786)
Per bene si intende ciò che sappiamo in modo certo esserci utile.
Spinoza, Etica, IV, definizione 1670
Narra il mito che gli dei vollero creare l’uomo e la donna a loro immagine e somiglianza, ma un dubbio sorse: oltre al corpo anche lo spirito saranno simili e quindi si creerebbero nuovi Dei.
Herman Hesse
Cosa fare? Togliamo la felicità e nascondiamola in un luogo segreto. Dove? Sulla cima più alta, in fondo al mare, su un pianeta lontano? L’uomo, però, sarà in grado di scalare, di nuotare, di costruire astronavi.
Allora dove? La felicità sarà nascosta dentro loro stessi, saranno così occupati a cercarla altrove che non sospetteranno che è nascosta nella loro anima!
“Fin quando dai la caccia alla felicità, non sei maturo per essere felice, anche se quello che più ami è già tuo.
Fin quando ti lamenti del perduto e hai solo mete e nessuna quiete, non conosci ancora cos’è pace, solo quando rinunci ad ogni desiderio e non conosci né meta né brama e non chiami per nome
la felicità, allora le onde dell’accadere non ti raggiungono più e il tuo cuore e la tua anima hanno pace.”
La felicità si inscrive nel tempo, la felicità come fertilità, “ubertosa”, quindi qualcosa di già realizzato, e felicità legata al passato e quindi custodita dalla nostalgia.
Felicità raggiunta
Eugenio Montale
si cammina per te su fil di lana
agli occhi un barlume che vacilla
il piede teso ghiaccio che s’incrina
e dunque non tocchi più chi più t’ama
Passare accanto alla felicità, sentirne il profumo inebriante e tentare di trattenerla tra le nostre mani è un’esperienza che non si dimentica.
Il film Orfeo Negro (1959), da un’opera teatrale di Vinicius de Moraes, testimonia la fragilità e precarietà dell’esistenza: Orfeo scende agli Inferi per riavere sua moglie Euridice ma, disubbidendo al dio, la perde girandosi a guardarla.
Orfeo Negro si svolge durante il carnevale di Rio in un’esplosione di musica e di energie vitali: è l’unico momento dell’anno in cui i poveri delle favelas si illudono di essere protagonisti e di compensare in qualche modo la loro misera quotidianità, almeno finché, dopo l’ultima notte di carnevale, non spunta l’alba di un nuovo giorno: l’esistenza appare per quello che è, un intreccio di amore, vita e morte.
Euridice è svanita, resta la “saudade”, solitudine, che ha in sé nostalgia, rimpianto, tristezza, rimembranza e felicità, qualcosa che assomiglia alla “malinconia fertile”.
La felicità, nel film, è rappresentata dalla musica che resiste alla morte e dai tre bambini, due dei quali potrebbero diventare i nuovi Orfeo e Euridice, che salutano danzando l’arrivo del nuovo giorno.
Sì, ma la felicità
Adieu tristesse, colonna sonora del film
non è che una lacrima
che trema sul ciglio di ogni fiore.
Brillando nell’ombra
alla fine cade.
Sono i primi pianti del nostro cuore
La felicità può essere avvicinata, talvolta sfiorata e persino per qualche istante assaporata: una meta dal fascino potente e ispiratore e pur tuttavia sfuggente. Uno “spasimo dell’anima” l’ha definita Carlo Cassola in Un cuore arido.
Fecundus, felix e felicitas hanno radice comune in latino e indicano propriamente ciò che è fertile e nutriente, si parlava di Campania felix non in riferimento al presunto carattere allegro dei suoi abitanti ma alla fecondità delle sue terre.
Te beata, gridai, per le felici
Ugo Foscolo Dei sepolcri (1807)
aure pregne di vita
Il grande poeta Giacomo Leopardi, la cui vita è contrassegnata da un destino avverso, lascia un memorabile scritto sulla felicità.
La felicità, considerandola bene, è tutt’uno col piacere… il sommo bene è la felicità… si realizza quando vive quietamente nel suo stato con una speranza riposata e certa di un avvenire molto migliore… la felicità dell’uomo consiste nella vivacità delle sensazioni e della vita, perciocch’egli ama la vita… felicità non è altro che contentezza del proprio essere e del proprio modo di essere, soddisfazione, amore perfetto del proprio stato, qualunque del resto esso stato sia, e fosse anco il più spregevole…
Giacomo Leopardi – Lo Zibaldone
E una dichiarazione in assoluto condivisibile a conclusione di questo intenso momento di “felicità”…
… Tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati di alcuni diritti inalienabili, che tra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità…
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America
Sempre sorprendente! E appassionata ! Dal sottotetto di Taino al cantiere di lisanza . Dal cortile di porta ticinese alla mansarda GUERRAZZI! Ciao
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