Nell’articolo precedente abbiamo visto come utilizzare la parallasse per ricavare la distanza di astri non troppo lontani. Faremo ora un passo indietro nel tempo fino agli astronomi greci, per capire come il metodo è stato ideato e si è sviluppato, quali sono gli ostacoli che ne complicano l’applicazione e, infine, quali sono stati i contributi dei satelliti astrometrici Hipparcos e Gaia.
Cenni storici e principali ostacoli
L’idea di ricavare le distanze dagli angoli di parallasse risale a molto tempo fa. Già Aristarco aveva usato le proprietà dei triangoli rettangoli per ricavare la distanza della Luna e del Sole. Nella figura che illustra il metodo di calcolo ideato dall’astronomo (vedere l’articolo “La distanza della Luna e del Sole”), l’angolo Ps, sotto cui dal Sole si vede il raggio terrestre, è proprio la parallasse terrestre! Ma i calcoli di Aristarco ed Ipparco erano riferiti a due astri prossimi alla Terra, mentre le stelle, anche quelle più vicine, sono poste a distanze enormi. Risulta quindi molto più difficile valutarne la parallasse: infatti la parallasse diurna della Luna (circa 1 grado) è oltre 4000 volte quella della stella più vicina al sistema solare, Proxima Centauri (0,750 secondi d’arco).
Né Aristarco, né Ipparco disponevano di strumenti idonei a misurare angoli così piccoli a occhio nudo. L’invenzione del telescopio ampliò enormemente le conoscenze astronomiche, ma dovremo attendere fino al 19° secolo per ottenere valori attendibili delle parallassi stellari.
Nel 1718 Edmond Halley, esaminando i cataloghi stellari di Tolomeo e Ipparco, notò che la posizione di quattro tra le stelle più brillanti del cielo non corrispondeva alla posizione che avrebbero dovuto avere, anche tenendo conto del moto di precessione degli equinozi scoperto da Ipparco. Concluse che lo spostamento rilevato doveva essere attribuito al lento moto delle stelle stesse.

Negli stessi anni un sacerdote, James Bradley, si dedicò allo studio della parallasse di alcune stelle e scoprì che, a causa del moto della Terra attorno al Sole, le stelle descrivono nella volta celeste una piccola ellisse, i cui assi hanno dimensioni molto maggiori della loro parallasse. Il fenomeno è detto “aberrazione della luce”([1]). Un’ulteriore complicazione è dovuta al moto di nutazione, un moto oscillatorio dell’asse terrestre che si somma alla precessione degli equinozi e di cui bisogna tener conto per evitare ulteriori errori.
Un ultimo, ben noto ostacolo è la rifrazione atmosferica che devia la luce dal suo percorso rettilineo, quando attraversa l’atmosfera terrestre.
Malgrado queste numerose complicazioni, nel 1838 l’astronomo tedesco Friedrich W. Bessel riuscì nella storica impresa di misurare la parallasse stellare di 61 Cygni, un sistema binario nella costellazione del Cigno; egli la valutò 0,314 secondi d’arco, valore vicino a quello che oggi conosciamo (0,285“).
Negli stessi anni Friedrich G. W. von Struve misurò la parallasse della stella Vega (0,262”) e Thomas Hendersonquella di Alfa Centauri (1,16”). I valori risultarono di poco superiori a quelli che oggi conosciamo.
Agli inizi del ‘900, l’avvento della fotografia migliorò notevolmente la precisione delle misure della parallasse stellare. Crebbe così rapidamente il numero delle parallassi conosciute: nel 1910 si riferivano a 365 stelle, nel 1935 a oltre 7000.

I satelliti Hipparcos e Gaia
Ma il vero salto di qualità si ebbe nel 1989, quando venne messo in orbita il satellite Hipparcos, dedicato proprio alle misure astrometriche. In quattro anni il satellite rilevò la parallasse di 118.000 stelle con errori inferiori al 10 – 20% e di 2,5 milioni di altre stelle con precisione di poco inferiore.

Nel 2013 venne lanciato il satellite Gaia dell’ESA con l’obiettivo di realizzare la mappa tridimensionale più grande e precisa della nostra Galassia. Gaia è in grado di misurare la velocità radiale delle stelle e la loro posizione con errori inferiori al millesimo di secondo d’arco. Il catalogo delle misure di Gaia, pubblicato nel 2018, contiene la parallasse e il moto proprio di 1,3 miliardi (avete letto bene: miliardi!) di stelle fino alla magnitudine 20, la posizione e la luminosità di 1,7 miliardi di stelle. Il catalogo pubblicato alla fine del 2020 comprende posizione e luminosità di oltre 1,8 miliardi di stelle, parallasse e moto proprio di 1,5 miliardi di stelle. E la raccolta di informazioni continua ancora.
Per capire quale sia il livello di precisione a cui può giungere Gaia, Wikipedia scrive che “equivale a quella di osservatori a terra in grado di individuare una moneta da un euro situata sulla superficie della Luna”. Incredibile!

L’immagine della Via Lattea riprodotta dalla figura riassume visivamente l’enorme lavoro di Gaia: tutti gli oggetti esaminati dal satellite sono collocati nella posizione rilevata e formano una mappa di forma ellittica che rappresenta la volta celeste in due dimensioni (proiezione di Hammer), come avviene con i planisferi che raffigurano la Terra.
Ecco la descrizione dell’immagine, tratta dal sito dell’ESA.
“Le regioni più luminose rappresentano concentrazioni più dense di stelle luminose, mentre le regioni più scure corrispondono a zone di cielo in cui si osservano meno stelle e più deboli. La luminosa struttura orizzontale che domina l’immagine è il piano della nostra galassia, la Via Lattea, un disco appiattito visto di taglio che contiene la maggior parte delle stelle della galassia. Al centro dell’immagine, il centro galattico appare luminoso e gremito di stelle.
Le regioni più scure del piano galattico corrispondono a nubi in primo piano di gas e polvere interstellari, che assorbono la luce di stelle più lontane. Molte di queste nuvole nascondono vivai stellari dove stanno attualmente nascendo nuove generazioni di stelle. I due oggetti luminosi in basso a destra dell’immagine sono la Grande e la Piccola Nube di Magellano, due galassie nane in orbita attorno alla Via Lattea”.
Grazie alle misure di parallasse è possibile calcolare, come abbiamo visto, la distanza di una stella. Consideriamo, ad esempio, la luminosa stella Vega, la cui parallasse p vale 0,129”. La distanza d, espressa in parsec, vale d=1/p= 7,75 parsec, cioè 25 anni luce.
Nota la distanza d e la magnitudine apparente m (0,03), possiamo anche calcolare la magnitudine assoluta M, che vale M=m+5-5Log d = 0,583 (d in parsec).
Consideriamo ora la stella Rigel e supponiamo di conoscere la magnitudine assoluta M (-6,98) e quella apparente m (0,12). Vogliamo calcolare la distanza utilizzando di nuovo la formula M=m+5-5Log d, da cui si ricava Log d = (m-M+5)/5 = 2,422 e infine d=102,422 = 264 parsec= 860 al.
Nel prossimo articolo dovremo cominciare ad occuparci delle “candele standard”, cioè di oggetti celesti dei quali sono noti alcuni parametri che permettono di determinarne la distanza dalla Terra.
[1] Wikipedia spiega il fenomeno in questo modo. “Immaginiamo di passeggiare sotto la pioggia. Se, mentre ci muoviamo, guardiamo alla nostra destra o sinistra, noteremo che le gocce descrivono una traiettoria obliqua e provengono apparentemente da un punto del cielo davanti a noi. Se ci fermiamo vediamo invece la pioggia cadere verticalmente. Quindi quando ci muoviamo la pioggia sembra pervenire da una zona di cielo davanti a noi, mentre in effetti proviene dalla nostra perpendicolare. Lo stesso effetto si verifica per la luce che raggiunge la Terra, e che, a causa del movimento del pianeta intorno al Sole, fa sembrare che essa provenga da una zona di cielo leggermente diversa da quella reale, causando uno spostamento apparente della stella”.