Giovanni Scoto Eriugena, ovvero come conciliare Fede e Ragione

Per qualcuno era detto Scoto perché era nato in Scozia, per altri era detto Eriugena perché nato in Irlanda, quindi va a sapere dove, attorno all’810, fosse nato di preciso. Di sicuro c’è che entrò in convento e si fece monaco.

Lo  si ritrova poi in Francia, alla corte di Carlo I (detto il Calvo) a dirigere la Schola Palatina. Le sue origini saranno state anche incerte ma il suo pensiero era molto chiaro e lo rese il filosofo di maggior rilievo nell’ambito del così detto Rinascimento carolingio.

Scoto mescolò, nelle sue opere, la tradizione teologica agostiniana con la speculazione filosofica greco-bizantina, soprattutto in ordine alla questione della predestinazione. Scrisse le Glossae divinae historiae, un commento in forma di glossario alla Bibbia e tradusse alcune delle più importanti opere dei Padri della Chiesa orientale.  Per lui Fede e Ragione dovevano per forza andare d’accordo, soleva dire:

che si creda in Dio per Fede o a Lui si arrivi con ragionamenti complessi, sempre al punto si arriva: la necessità di avere un Creatore che ha dato l’avvio a tutto.

Agli inizi parve parteggiare un po’ troppo per la ragione, guadagnandosi non poche critiche e alcune severe censure.

Sosteneva che Dio è nella Natura, basta osservarla per credere:

guardatevi attorno, se vedete un mondo che vi stimola dovete ammettere che qualcuno ha dato il via a tutto questo e quel qualcuno è Dio perché egli è tutto ciò che ci circonda : aria, terra, acqua, fuoco, sole e stelle. Ma non solo, Dio è anche verità, bontà, luce e giustizia.

Nella sua opera più famosa il De divisione naturae distingue quattro tipi di natura:

  • la Natura Creante – che è Dio che sta all’origine di tutto;
  • la Natura Creata e Creante – che è il Verbo, ossia Gesù che è stato generato e che ha diffuso la sua religione;
  • la Natura Creata e non Creante – che è Il mondo in tutte le sue manifestazioni;
  • la Natura non Creata ed Eterna – che è di nuovo  Dio sotto forma di vita eterna.

Queste quattro nature formano un Circolo Divino, nel quale Dio è il centro che si manifesta eternamente e che tutto crea da Sé, in Sé e per Sé. Il Circolo Divino parte dal Padre, muove al mondo e all’uomo attraverso il Figlio e a Lui ritorna. Qui si vede il rimando a quanto diceva  Sant’Agostino il quale  riguardo alla Fede parla di Circolo Ermeneutico.

Giovanni Scoto fu anche un grande sostenitore della libertà umana di fronte al peccato. Alcuni, diceva, son convinti che Dio, che è onnipotente, potrebbe far in modo che non ci fosse il peccato, poi obietta: ma che valore avrebbe una vita senza peccato se non ci fosse la possibilità di commetterlo? La risposta qui, ognuno deve trovarsela da solo.

Nel De Divina Praedestinatione difese le libertà dell’uomo compresa quella di peccare:

non avrebbe senso proibire quello che non è possibile commettere.

Su questa affermazione si scatenò una appassionata discussione cui parteciparono anche il monaco e teologo sassone Gotescalco di Fulda (Gotescalco d’Orbais, detto di Fulda perché a quel monastero venne mandato fin da bambino a studiare e a formarsi alla vita monastica) e il Vescovo Icmaro di Reims. Per Gotescalco, il Signore ha già stabilito tutto sin da prima della nascita, Icmaro, il Vescovo, ribatteva che grazie al Libero Arbitrio ognuno prepara da sé il proprio destino, il Signore infatti tutto conosce, ma non decide prima, si limita a conoscere per primo. Scoto obietta che non è possibile attribuire a Dio un destinare prima (una predestinazione) poiché Egli è eterno e non ha senso attribuirgli i termini prima e poi. Rifacendosi ancora a Sant’Agostino, sostiene che il male è un non essere e pertanto Dio non lo conosce, poiché se lo conoscesse lo creerebbe, dato che in Lui pensiero ed azione si identificano. Il male è assenza di perfezione quindi in Dio, assoluta perfezione, non vi può essere prescienza del male, né predestinazione al male. Il Libero Arbitrio è insito nell’uomo e implica la possibilità di scegliere se peccare o no e in tale scelta può essere d’aiuto la Grazia Divina. Una tesi che gli valse l’accusa di Pelagianesimo(1) e la condanna di due Sinodi.

Come sia morto Giovanni Scoto non è ben chiaro, non si sa né il luogo né la data precisa del decesso (prima o dopo l’877?). Al riguardo girano varie leggende, per alcuni venne assassinato per strada da un suo allievo. Per altri, dopo la morte di Carlo il Calvo (avvenuta nel 877) si sarebbe trasferito in Inghilterra ove venne ammazzato da alcuni monaci che lo consideravano un eretico. Secondo altri venne assassinato a Malmesbury, nel sud ovest dell’Inghilterra, dai suoi studenti che lo avrebbero pugnalato con le loro penne. Giovanni De Crescenzo, simpatico divulgatore di storia della filosofia nella sua Storia della Filosofia Medioevale ci racconta un’altra versione: il filosofo venne assassinato da un suo allievo, assoldato dall’imperatore che si era sentito offeso per una battuta scappata al filosofo durante una cena. Scoto e Carlo il Calvo sedevano ai due capi di una lunga tavola, forse avevano alzato un po’ il gomito e ad un certo punto il sovrano gli chiese: “indicatemi la differenza tra voi e uno sciocco”“la lunghezza di questa tavola” fu la risposta di Scoto. Il giorno dopo lo raccolsero per strada con un coltello nella schiena.

Se non si sa come Giovanni Scoto sia morto, e ognuno racconta  la sua, è storicamente provato invece che tre secoli, subì una condanna postuma per le sue idee, il suo De Divinae Natura venne messo al bando e Papa Onorio III ordinò che ogni copia venisse bruciata.

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1)Pelagianesimo: dottrina secondo la quale, come sostenuto anche dalla Dottrina ebraica, il peccato originale fu solo dei progenitori, non dei discendenti, e come tale non ha macchiato la natura umana, che ne subisce solo le conseguenze.  Il peccato di Adamo fu certamente un “cattivo esempio” per i discendenti ma non valse come “peccato” trasmesso al genere umano per il quale occorre una redenzione. 

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