Ne sono certo: nel firmamento dei grandi miti fondanti d’occidente due sono le stelle, Achille e Odysseo. In qualche modo, però, Odysseo è superiore ad Achille. È già protagonista assoluto della prima delle vicende omeriche: il rapimento di Elena, il viaggio a Troia, l’assedio, il progetto dell’insidia che farà cadere la città. E poi Ulisse ha un intero poema tutto per sé: l’Odissea, in cui vive avventure incredibili. Dopo di lui niente più in narrativa è stato inventato, perché lui è la narrativa, con lui è nata la narrativa moderna. Ulisse è tutto, è un esploratore, un avventuriero, un amante travolgente, un padre d’infinito amore, uno sposo che non dimentica la sua donna, neppure quand’ è tra le braccia di un’altra, foss’anche dea o maga. Ulisse è uno sciamano che evoca le ombre dei morti dall’aldilà, è il predestinato che può visitare l’ade e tornare tra i vivi per compiere quanto gli è stato ordinato. Davvero Ulisse è un personaggio incredibile, anzi è “il personaggio” letterario completo.
Oggi sappiamo che la stragrande maggioranza dei poemi del ciclo troiano, che ai tempi di Virgilio si potevano ancora leggere, è andata persa ma la narrazione della sua vita presenta culmini letterari inavvicinabili. Chiunque narri e qualsiasi cosa narri, narra un po’ di Odysseo. Ed è straordinario come termini il suo racconto: con l’enigma letterario più affascinante di tutta la letteratura universale: il mistero del suo ultimo viaggio e della sua morte. Su questo fascinoso mistero son tornati innumerevoli poeti e scrittori dai cantori di strada a quelli di corte, rapsodi e aedi, i grandi tragici del V° secolo come Eschilo ed Euripide, poi Virgilio e Dante Alighieri, Alfred Tennyson, Konstantinos Kavafis e James Joyce.
In quello che ritengo uno dei più toccanti episodi l’eroe è con Circe (figlia di Helios, il dio Sole e di Perseide che ha il potere di preparare dei potenti “pharmaka” con i quali trasforma a sua volontà gli uomini in animali facendo loro perdere il proprio noos, ossia la loro consapevolezza). Chiede alla maga (com’è umana questa sua domanda): se potrà mai tornare ad Itaca coi suoi compagni. Ma Circe non sa rispondere e per conoscere la verità egli dovrà evocare dall’Ade l’ombra di Tiresia. Solo il profeta di Tebe potrà rivelare. Così Circe insegna all’eroe il tetro rituale d’evocazione dei morti e Tiresia giungerà pallido d’ombra:
Divino Laerzìade, ingegnoso Odisseo,
perché infelice, lasciando la luce del sole,
venisti a vedere i morti e questo lugubre luogo?
Ma levati dalla fossa, ritira la spada affilata,
che beva il sangue (delle vittime sacrificali) e poi il vero ti dica.
Ma la rivelazione sarà un misto di mistico svelare e di magnifico sottointeso occultare. Tornerà, sì, ma tardi e male, senza più compagni e troverà la casa invasa da chi insidia la sua sposa e tutti li dovrà “spegnere”o a viso aperto col bronzo spietato o di nascosto con l’inganno. Ed ecco la seconda parte, la più oscura, il preannuncio dell’ultimo viaggio: non gli sarà dato di godere della dolce sposa e il caro figlio, dovrà ripartire con un remo in spalla verso genti lontane che non conoscono il mare, né il sale e che gli chiederanno se quello che porta sulla spalla sia un ventilabro. E lui che non è giunto per spargere pula, ma anime, solo allora potrà sgravarsi del suo peso:
in terra piantato il maneggevole remo,
offerti bei sacrifici a Poseidone sovrano
– ariete, toro e verro marito di scrofe –
torna a casa e celebra sacre ecatombi
ai numi immortali che il cielo vasto possiedono,
a tutti per ordine. Morte dal mare
ti verrà, molto dolce, a ucciderti vinto
da una serena vecchiezza. Intorno a te popoli
beati saranno. Questo con verità ti predico.
Una immagine di incredibile fascino: annuncio dell’ultimo viaggio e presagio oscuro della dolce morte che verrà dal mare. Rivelazione. Rivelare, cioè l’inverso di velare. Togliere il velo.
Abbiamo parlato del poeta Konstantinos Kavafis, gustiamoci allora i meravigliosi versi della sua poesia “Itaca” (1911)
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Posidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l’emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.
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