Sono ormai parecchi anni che nei nostri incontri pomeridiani parliamo di Storia, pertanto concedetemi qualche considerazione sull’argomento.
Non so se ve ne siete accorti ma è sparita la Storia. Dissolta nei programmi scolastici di istruzione secondaria, e mentre questo avveniva, studiosi e politici, fino ai massimi gradi delle gerarchie statali, in occasione di pomposi convegni o commemorazioni, si sgolavano a dirci che non dobbiamo “essere prigionieri del presente” e che occorre “tener viva la memoria”. Invece la verità è che mentre viaggiamo nell’amnesia di ciò che siamo stati, politici e studiosi ci rimandano continuamente alle provenienze storiche. A mio parere è che neppure loro sappiano bene a cosa si riferiscono. Il fatto è che la Storia si è rimpicciolita, ridotta all’età contemporanea, salvo riapparire, ogni tanto, per revocare la toponomastica o cancellare cittadinanze onorarie. Sul pianeta storia la vita si sta estinguendo. Certo è ancora l’onda lunga di quel ’68 che dichiarò guerra al passato, visto solo come cimitero di soprusi da cui liberaci. Ma la responsabilità maggiore credo l’abbia la “storiografia ufficiale” e “accademica” che vigila sul Canone e sulla sua osservanza, respingendo il revisionismo e riconoscendo la ricerca solo se non smentisce il pregiudizio dominante.Abbiamo dovuto aspettare gli storici divulgatori, tali perché giornalisti, come Paolo Pansae Arrigo Petaccoe altri per saperne di più sul fascismo, sulla guerra partigiana, sulle foibe, sul caso Mattei o su altre pagine nere della nostra Repubblica. La distratta storiografia ufficiale non ha mai raccontato i lati in ombra, si è limitata a certificare verità prestabilite. Ecco la colpa grave. C’è poi un altro aspetto che allontana dalla storia e riguarda lo stile ed il metodo.Gioacchino Volpe, ispirandosi a sua volta ad Antonio Labriola, diceva che la storia, per essere appetibile deve essere “scienza del procedimento e arte di narrazione”. Ossia rigorosa ricostruzione di come sono andate le cose e capacità di raccontare coinvolgendo, con metodo giornalistico, chi legge o ascolta.Facciamo degli esempi: Renzo de Felice, cui si deve tutta la ricerca storica italiana e non solo, sul fascismo e su Mussolini, era dotato di grande rigore scientifico però era del tutto privo di capacità di racconto. Indro Montanelli, storico, ma prima di tutto giornalista, seppe raccontare De Felice prendendone l’enorme mole di materiale e trasmigrandolo in racconto. Quarant’anni fa si gridò allo scandalo, poi però il suo esempio venne raccolto da decine di autori, con risultati sorprendenti. Non consola il fatto che sparita la storia, nella maggior parte dei programmi scolastici, sia riapparsa l’educazione civica, sotto forma di “cittadinanza e costituzione”. Sulla carta una ma col rischio che diventi l’ora del politicamente corretto, che venga a suggerire che la nostra storia cominci con la costituzione e la sua agiografia. Un errore per rimediarne un altro: il “taccone” peggio del buco.