Ulisse, simbolo dell’uomo

Risultato immagini per odissea Xi

Ulisse, l’eroe. La sua immagine è unica, inimitabile, irripetibile, inarrivabile. Lui, il re di Itaca, giunto nell’Ade incontra la madre e chiede com’è giunta sotto l’ombra cupa:

 Su via, mi narra, e schiettamente, come
Te la di lunghi sonni apportatrice
Parca domò. Ti vinse un lungo morbo,
O te Diana faretrata assalse
Con improvvisa non amara freccia?

Compassionevole, la madre, risponde che non un morbo, non un dardo di Artemide, infallibile sagittaria, la trafisse, ma il desiderio del figlio le ha tolto la vita:

Giunse il termine a me, cui non Diana,
Sagittaria infallibile, di un sordo
Quadrello assalse, o di que’ morbi invase,
Che soglion trar delle consunte membra
L’anima fuor con odiosa tabe:
Ma il desìo di vederti, ma l’affanno
Della tua lontananza, ma i gentili
Modi e costumi tuoi, nobile Ulisse,
La vita un dì sì dolce hannomi tolta”.

Il canto, l’undicesimo dell’Odissea, quello della evocazione dei morti, ha ispirato il sesto canto dell’Eneide di Virgilio, che a sua volta ha ispirato l’Inferno di Dante. La triangolazione Omero – Virgilio – Dante è straordinaria, dà la vertigine.

Da quando fu composta la sua prima storia, e non sappiamo quando avvenne, come avvenne e chi sia stato a comporla, il personaggio di Ulisse è stato reinventato, riciclato, deformato, distorto di continuo, quasi ad ogni generazione. Probabilmente il fu un poeta del VII secolo, Eugammone di Cirene, che scrisse una Telegonia cercando di dare un seguito alla enigmatica profezia di Tiresia. Poi ci furono i grandi tragici del V secolo, che lo rappresentarono sotto una luce cupa, quasi un criminale di guerra: prototipo dei sofisti che usano l’intelligenza per prevalere su qualcuno più forte. Poi la criptica opera sulla profezia di Alessandra (Cassandra) circa la distruzione di Troia e le sue conseguenze, composta, così pare, da Licofrone di Calcide (III secolo), che mostra l’eroe in chiave profondamente negativa. E infine Dante, che ci mostra un Ulisse medioevale, certo punito  per l’inganno che distrusse Troia ma che donò seme a Roma ma soprattutto per l’orgoglio di aver cercato di varcare con la sola forza del suo intelletto i confini posti a guardia dell’umano.

Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,

acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.

“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,dvinfernoflamingspiritsofevilcounsellors_m
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.

Solo il pugno di Dio può infrangere la nave del re di Itaca che ha osato sfidare con superbia tutte le potenze dell’universo.

Ulisse non lo si può prescindere, se il poema fosse andato perso, non avremmo avuto Virgilio, Dante, Tennyson, Konstantinos Kavafis, Joyce e tanti altri. Ma come mai Ulisse è dotato di tale potenza?  Forse il motivo va ricercato in una combinazione di forze e di energie possenti da cui è venuto alla luce un personaggio in cui l’umanità tutta, di ogni tempo si è potuta specchiare. Ulisse è un uomo, non un monolite come Achille, è fragile, può essere preso dal panico, fuggire come un codardo o battersi come un leone; lui che adora la sua sposa, che, pur di tornare, sfida qualunque forza del cielo, della terra e del mare, ma poi ha tante amanti, come un qualunque marinaio, in luoghi misteriosi, remoti, ai confini del mondo, figure femminili cariche di sensualità, di mistero e solitudine, che lo aspettano. Non c’è pagina, non c’è verso nel poema che non ricordi qualcosa di noi. La meschinità, l’eroismo, l’amore, l’affetto, il desiderio carnale, i sentimenti più delicati: il vecchio padre, la madre che non c’è più, il figlio che non ha potuto veder crescere. Per molti anni gli studiosi si sono sforzati di dimostrare che la storia di Odysseo fosse una antologia di storie di mare. Probabilmente è vero, ma Ulisse resta l’umanissimo simbolo dell’uomo che vuole andare, ma anche tornare e ogni volta che arriva in vista della sua isola, accade qualche cosa. Beffardi gli dei soffiano sulla sua vela e lo risospingono al largo e questo accade non senza che lui, segretamente dentro di sé, lo desideri.

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