Le supernovae di tipo Ia

Nel precedente articolo abbiamo illustrato l’utilizzo delle variabili cefeidi per misurare la distanza di astri lontani migliaia di anni luce (con piccoli telescopi) o milioni di anni luce (con grandi telescopi). Quando le distanze aumentano, fino a raggiungere qualche miliardo di anni luce, le Cefeidi diventano troppo deboli e non possono più essere utilizzate. Si devono quindi escogitare altri metodi o scovare delle candele standard di luminosità più elevata, ancora ben visibili a quelle enormi distanze. Le candele standard, come abbiamo visto, sono oggetti celesti dei quali è possibile conoscere la luminosità assoluta.

Tra i metodi che sono stati ideati, per distanze così elevate, quello più affidabile è l’impiego delle supernovae di Tipo Ia (primo a), oggetti che derivano da eventi catastrofici ed hanno elevatissima luminosità. Vediamo di che cosa si tratta.

Novae e supernovae

Si indica con il termine “nova” (plurale novae) un oggetto celeste di elevata luminosità, che appare improvvisamente nel cielo, per poi scomparire dopo un certo periodo di tempo. Il termine “supernova” si riferisce a un oggetto celeste ancor più luminoso di una nova, tanto che supera talvolta la luminosità dell’intera galassia che la ospita ed è spesso visibile ad occhio nudo. Una nova può essere distinta da una supernova osservando la durata della visibilità del fenomeno: pochi giorni o settimane per una nova, qualche mese o anche qualche anno per una supernova. Ma vi sono anche altre differenze, ancora più importanti dal punto di vista fisico.

La nova, secondo i modelli più accreditati, è generata dall’esplosione dell’idrogeno accumulato negli strati superficiali di una nana bianca che fa parte di un sistema binario. La stella più massiccia si evolve più rapidamente e collassa in una nana bianca, mentre la stella meno massiccia perde parte della sua atmosfera esterna ricca di idrogeno, che viene accumulato negli strati superficiali della nana bianca. Quando la quantità di idrogeno è sufficiente, l’elevata gravità e temperatura della nana bianca ne rendono possibile la fusione in elio, generando una esplosione che provoca un aumento improvviso della luminosità della stella. Dopo l’esplosione la nana bianca ritorna alle condizioni iniziali e continua la sua vita, il fenomeno è dunque transitorio.

Una supernova, invece, ha origine dal collasso gravitazionale di una stella massiccia o di una nana bianca che ha sottratto materiale ad una compagna con la quale forma un sistema binario. Dopo l’esplosione si forma una nebulosa detta resto di supernova, mentre l’oggetto originale collassa in una stella di neutroni o in un buco nero, a seconda della massa iniziale. L’esplosione di una supernova è quindi il risultato della morte di una stella.

La prima supernova di cui si ha notizia fu osservata dagli astronomi cinesi nel 185 d.C. e, in base alle convenzioni internazionali, ha la sigla SN 185, dove SN sta per supernova e 185 è l’anno in cui è comparsa. Una supernova di particolare interesse, osservata anch’essa in Cina, è SN 1054, che ha dato origine alla ben nota Nebulosa Granchio (M1), il primo oggetto del catalogo di Messier.

Le supernovae vengono suddivise in due tipologie principali in base alle caratteristiche del loro spettro. Prima di continuare dovremo quindi rispolverare qualche nozione sulla spettroscopia, limitandoci agli aspetti che riguardano l’argomento dell’articolo. Gli affezionati lettori ricorderanno che ne avevamo già accennato in uno dei primi articoli proposti.

Lo spettro di assorbimento

Nel 1665 Isaac Newton, dirigendo la luce del Sole attraverso un prisma di vetro, notò che questa si disperde nelle sue componenti cromatiche, l’insieme delle quali ne costituisce lo spettro. La luce è un caso particolare di radiazione,termine col quale si indica l’insieme dei fenomeni legati al trasporto di energia nello spazio, come appunto la luce ed il calore. L’insieme delle radiazioni emesse da una sorgente ne costituisce lo spettro. Si dice poi radiazione elettromagnetica quella caratterizzata da una velocità nel vuoto costante, di circa 300000 Km/s. La luce visibile è una piccola porzione dello spettro elettromagnetico. Le differenti lunghezze d’onda vengono interpretate dall’occhio umano come colori.

Nel 1814 Fraunhofer collimò la luce solare con una stretta fenditura parallela agli spigoli di un prisma a sezione triangolare e osservando lo spettro in uscita dal prisma, notò che era solcato da numerose righe oscure verticali (ben 576), chiamate ancora oggi linee di Fraunhofer in suo onore. Dopo aver osservato altre stelle, che presentavano fenomeni simili, comprese che la causa di queste righe oscure non è da attribuire all’atmosfera terrestre attraversata dalla luce, ma è legata alle caratteristiche fisico-chimiche della stella esaminata. Ogni elemento chimico, infatti, quando è attraversato dalla luce, assorbe la radiazione elettromagnetica solo a determinate frequenze che sono tipiche di quell’elemento e, a quelle frequenze, compare nello spettro una linea scura, perché i fotoni che hanno quella frequenza vengono assorbiti.

Le linee di Fraunhofer assomigliano al codice a barre che identifica un prodotto commerciale al supermercato: sono, in un certo senso, il codice a barre degli elementi chimici. L’analisi delle lunghezze d’onda delle righe oscure permette, infatti, di determinare la composizione chimica degli strati esterni degli astri o di una nube attraversata da una radiazione.

Fraunhofer fondò in tal modo la spettroscopia, anche se per spiegare quel fenomeno bisognerà aspettare l’avvento della meccanica quantistica.

Le supernovae di tipo Ia 

Torniamo dunque all’argomento di questo articolo. Osservando lo spettro emesso da una supernova potremo quindi avere informazioni precise sulla composizione del materiale che viene espulso e che è attraversato dalla forte radiazione dovuta al collasso della stella madre.

Una prima suddivisione delle supernovae prende in considerazione la presenza o l’assenza delle linee di assorbimento dell’idrogeno nel loro spettro. Quando le linee sono presenti si tratta di una supernova di Tipo II, altrimenti è di Tipo I.

Mi chiederete, come si fa a sapere quali sono le linee di assorbimento dell’idrogeno? Ebbene, tali linee sono note, perché sono state ottenute mediante esperimenti in laboratorio e sono quelle illustrate dalla figura 3.

Tra le supernovae di Tipo I, sono dette di Tipo Ia quelle che presentano la linea di assorbimento del silicio (lunghezza d’onda 615,0 nm). Queste supernovae hanno curve di luce molto simili, con valori massimi pressoché uguali, condizione questa che le rende preziose per determinarne la distanza.

Tale comportamento può essere spiegato dal meccanismo che le genera: secondo il modello generalmente accreditato, infatti, queste esplosioni avvengono quando una nana bianca, che forma con un’altra stella un sistema binario, estrae materia dalla sua compagna crescendo fino a raggiungere la massa critica di Chandrasekhar pari a 1,4 masse solari (fenomeno che abbiamo descritto in un precedente articolo). A questo punto la stella collassa generando l’esplosione di supernova. Al momento dell’esplosione le stelle “madri” hanno quindi masse molto simili, perché il limite di Chandrasekhar è un valore ben definito e costante, e di conseguenza anche le magnitudini assolute raggiunte dall’evento sono pressoché uguali. Il valore della magnitudine assoluta raggiunta al momento del massimo vale, secondo i modelli più accreditati, -19,3 ± 0,3 sia nella banda Blu (MB), sia in luce Visibile (MV), quindi: MB ≈ MV ≈ -19,3 ± 0,3 (si noti il segno meno: indica un fenomeno molto luminoso).

L’uso delle supernovae di Tipo Ia è uno dei metodi migliori per calcolare le distanze di astri molto lontani, grazie alla forte luminosità delle supernovae, che spesso rivaleggia con quella della galassia che le ospita e che le rende visibili a distanze 500 volte maggiori rispetto alle variabili cefeidi.

A questo punto, conoscendo la magnitudine assoluta della supernova e misurando quella apparente dalla Terra, è possibile calcolarne la distanza mediante la relazione M = m – 5 Log d + 5, già utilizzata nei precedenti articoli.

A titolo di esempio calcoliamo la distanza della supernova di Tipo Ia SN 1998aq, apparsa nel 1998 nella galassia a spirale NGC 3982 e scoperta dall’astronomo dilettante Mark Armstrong.

Come si intuisce dalla foto della figura 4, la supernova mostra una brillantezza che rivaleggia con quella dell’intera galassia, che ha magnitudine 12.

La figura 5 rappresenta la curva di luce di SN 1998aq: dopo una rapida salita, la curva raggiunge il massimo e poi scende lentamente.

Il valore massimo misurato della magnitudine apparente è stato 12,36 e quindi la sua distanza d vale:

Log d = (m – M + 5) / 5 = k, da cui d=10k

Log d=(12,3+19,3+5)/5 = 7,332, da cui

d = 21.478.000 parsec, in ottimo accordo con il valore fornito (21,58 Mpc).

Nel prossimo articolo esamineremo altri metodi che permettono di calcolare le distanze degli oggetti più remoti.

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